Grazia Longo, La Stampa 29/10/2008, 29 ottobre 2008
L’amore che strappa i capelli. L’amore che vince. Su tutto. Anche su un vuoto lancinante e profondo per un fratello che non c’è più
L’amore che strappa i capelli. L’amore che vince. Su tutto. Anche su un vuoto lancinante e profondo per un fratello che non c’è più. Il dolore spesso separa una coppia, anche la più affiatata. Nel caso di Laura e Marco no, anzi. Lo ha fatto nascere. Laura, 23 anni, maestra d’asilo, è la sorella di Giuseppe Demasi, l’ultimo dei 7 operai Thyssen a morire, a soli 26 anni, per le ustioni del rogo del 6 dicembre scorso. Marco, 30 anni, corriere, è il fratello di Antonio Schiavone, il primo a perdere la vita nella fabbrica, quella maledetta notte. Oggi Laura e Marco sono innamorati. All’inizio non ci sono state classiche cenette a lume di candela o spensierate gite al mare. Solo incontri in ospedale, poi al cimitero. Romanticismo zero, ma l’amore, al di là di ogni retorica, ha vinto comunque. «Siamo una coppia un po’ strana, lo so - prova a scherzare lei, minuta, bionda, grandi occhi nocciola ombreggiati da ciglia lunghissime -. Ci siamo fidanzati a dispetto di noi stessi, perché per il modo in cui ci siamo conosciuti mai avremmo immaginato che nella nostra vita ci sarebbe stato posto per l’amore». E invece è successo. La vita ti sorprende, ti avvolge, ti conquista. «Come mi ha conquistato Marco: è stata la prima persona con cui, a fine agosto, sono riuscita a ridere. Non lo facevo più da quando era morto mio fratello». Marco, occhi verdi, fisico atletico allenato in palestra, la guarda, l’accarezza e dice che «forse è stato proprio tutta quella disperazione che avevamo e abbiamo dentro ad unirci. Nessuno meglio di noi due sa cosa vuol dire essere privati dell’unico fratello che hai in un modo tanto assurdo e crudele. Antonio aveva 36 anni, una moglie e tre figli piccoli che non fanno che chiedermi ”quando torna papà?”. Laura capisce quanto sto male. Non so se un’altra ragazza avrebbe potuto sopportarmi». Laura abbassa lo sguardo, gli prende la mano e ammette che «sì, vale anche per me: a lungo andare, a forza di vedermi piangere, un altro ragazzo potrebbe dirmi che devo guardare avanti, pensare al futuro, smettere di pensare a mio fratello. Marco non me lo dice e non me lo dirà mai. Lui sta male come e quanto me». Ma non c’è soltanto sofferenza. Non ci sono solo lacrime e malinconia. La vita accade, scandita al tempo dei sogni e dei desideri. «Vogliamo due figli - azzarda Laura -. Due figli maschi, così non scontentiamo nessuno: uno lo chiameremo Giuseppe, l’altro Antonio. Lo dico veramente, sai? E non pensare che sono poco più di una ragazzina. Mio fratello è sempre nel mio cuore e un figlio col nome suo sarebbe il regalo più bello. Non credo che avrei potuto sognare una cosa così se non avessi incontrato Marco. un ragazzo meraviglioso, che mi aiuta a colmare il vuoto lasciato da Giuseppe. Ecco, vedi, se c’è una cosa triste nella nostra storia d’amore è proprio questo: il senso di colpa per esserci conosciuti a causa della morte dei nostri fratelli». Gli occhi nocciola si scuriscono e la voce si incrina, ma Laura non cede al pianto: «Si vede che doveva andare così, ce lo dicono anche le nostre mamme, contente che siamo fidanzati». L’unico a saperlo all’ultimo minuto è stato il padre della ragazza. «Non me la sono sentita di dirglielo subito, non so come spiegare, non volevo che fraintendesse. Però sono sicura che adesso approva anche lui». La storia di Laura e Marco va avanti come quella di tanti altri ragazzi, qualche serata con gli amici, qualche altra in pizzeria. Una vita di luci e ombre, come tutti. Solo che qui le ombre sono più lunghe e difficili da cancellare. Continuano ad andare al cimitero quasi ogni giorno. Lo hanno fatto anche ieri pomeriggio, dopo una mattinata trascorsa in tribunale, per l’udienza preliminare contro i vertici dell’acciaieria che ha inghiottito i loro fratelli. «Tra poco più di un mese sarà un anno esatto - sussurra Laura - e noi non abbiamo ancora la garanzia che i colpevoli paghino. Il processo va avanti, ma chissà come finirà». Ieri mattina, come tutti gli altri parenti delle 7 vittime Thyssen, Laura e Marco indossavano una T-shirt con la foto dei loro cari, «anche quello è un modo per ricordarli, per chiedere giustizia. Per far vedere quanto erano giovani e belli. Avevano tanta voglia di vivere, qualcuno gliene ha tolto la possibilità». Ieri pomeriggio, via la maglietta-denuncia, un salto al cimitero e poi un breve giro in macchina. Con il volume della radio a palla quando suona la loro canzone, «E», di Vasco Rossi. «La conosci? La senti quanto è bella?» chiede Laura. E forse, in fondo, è proprio nelle parole di Vasco che c’è il succo di questo giovane amore: «E...ho un pensiero che parla di te, tutto muore ma tu sei la cosa più cara che ho».