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 2008  ottobre 29 Mercoledì calendario

L’ultimo a credere che il Parlamento conti ancora qualcosa, in fondo è rimasto lui, Berlusconi. Più tenta di piegarlo a colpi di decreto, di irreggimentarlo nel muro contro muro, di confonderlo coi maxi-emendamenti, di soffocarlo col cuscino dei dibattiti contingentati, e più paradossalmente il premier accredita le Camere di un ruolo attivo, propositivo, decisivo che queste hanno scordato di avere

L’ultimo a credere che il Parlamento conti ancora qualcosa, in fondo è rimasto lui, Berlusconi. Più tenta di piegarlo a colpi di decreto, di irreggimentarlo nel muro contro muro, di confonderlo coi maxi-emendamenti, di soffocarlo col cuscino dei dibattiti contingentati, e più paradossalmente il premier accredita le Camere di un ruolo attivo, propositivo, decisivo che queste hanno scordato di avere... Percorri i corridoi di Montecitorio, i saloni di Palazzo Madama, e ti colpisce lo sguardo spaesato degli onorevoli, l’aria frustrata che accomuna rappresentanti di destra e di sinistra. Sono quasi un migliaio (952), succhiano alla collettività un miliardo e mezzo di euro l’anno, si limitano ad apporre il timbro. Ritmi da ufficio postale. Le leggi promulgate in sei mesi, dacché il Cavaliere è tornato in sella, sono 42 di cui: 41 i decreti e le proposte del governo, una sola iniziativa parlamentare andata a segno per istituire la commissione Antimafia. Nemmeno la maggioranza riesce a dire la sua. Appena ci prova, mette un veto il governo. Sfiori l’economia? Tremonti s’impunta, vietato contraddirlo. In commissione al Senato, sulla scuola, non è passato un solo emendamento di centrodestra. Alla Camera, sullo stalking, si erano sbizzarriti in molti sperando che fosse zona franca, fino a quando il governo ha presentato il suo progetto, e fine della festa. Parlamento organo di ratifica, voce in capitolo zero. Casini, da presidente onorario dell’Unione Interparlamentare mondiale, segnala che «negli Usa Bush ha dovuto contrattare coi membri del Congresso l’appoggio al piano Paulson, chiamandoli ad uno ad uno. E il Francia Sarkozy ha appena attribuito più poteri all’Assemblea Nazionale». Da noi, l’esatto contrario, il peso politico delle Camere è inversamente proporzionale alla loro acquiescenza. L’Italia comincerà a domandarsi che cosa lo teniamo a fare, un organismo pletorico, ridondante, costoso. Brividi di anti-parlamentarismo percorrono il paese. Fini l’ha capito, forse perché certi umori non sono estranei alla sua estrazione politica. S’è ribellato sui troppi decreti, ha insistito nelle sedute a oltranza per sbloccare la nomina del giudice costituzionale, ha annunciato il voto segreto sulla legge per il Parlamento europeo... E ieri ha ammesso: «Se è una fatica convincere un parlamentare a stare qui 2 o 3 giorni alla settimana e se talvolta il Parlamento non brilla per efficienza, possiamo lamentarci dell’antipolitica?». Cicchitto, capogruppo Pdl, trascinandosi sulle stampelle, ne ricava la prova che il Parlamento resta libero e sovrano: «Ogni giorno è scontro, altroché se le Camere condizionano il governo». Ma i grandi «rompiscatole» non ci sono più, l’esercito dei peones ricorda all’ex-dc Tabacci i polli da batteria, «tutti nominati dall’alto, e in fondo contenti di non contare». Effetto del Porcellum che prevede liste bloccate. Gli dà ragione un reduce della Prima repubblica, Cirino Pomicino: «L’80 per cento dei deputati attuali, con le preferenze non entrerebbe neppure in consiglio comunale». Ci fu un tempo in cui veniva celebrata la «centralità» del Parlamento. Lì nascevano e morivano i governi, lì si forgiavano le alleanze, lì si rovesciavano le manovre economiche. Spiega al telefono Cossiga, che tutte le ha viste: «E’ stato il nostro modo di evitare la guerra civile. Nel resto del mondo, lo scontro tra opposizione e governo è l’anima delle democrazie, ovunque le maggioranze schiacciano letteralmente l’opposizione, avendone la possibilità. Qui da noi invece no: avevamo un Pci con il diritto di veto. La Repubblica è nata sul modello Cln, sul presupposto che nulla si poteva fare se non era d’accordo Botteghe Oscure. Il Parlamento era il luogo di ratifica dell’accordo. Il top? Agli albori del compromesso storico. Andreotti, il più grande statista del dopoguerra, favorì la riforma dei Regolamenti in senso consociativo». Ora la maggioranza vorrebbe smontare quei Regolamenti, riscriverli nel nome dell’efficienza, del «continuum» (in latinorum) tra governo e Parlamento. Perché a Re Silvio l’obbedienza non basta. E’ in preda all’«ansia da prestazione» (come l’identifica con malizia il centrista Rao), vuole stupire col piglio decisionista. Nove minuti per approvare la manovra economica, nemmeno i ministri l’avevano letta. «Con noi Dc», scuote la testa Pomicino, «se lo sarebbe sognato». Stampa Articolo