Flavio Vanetti, Corriere della Sera 28/10/2008, 28 ottobre 2008
MILANO
Era l’arma preferita di Enzo Ferrari, quando si trattava di fare la voce grossa sullo scenario politico della F1: minacciare di non schierare le sue Rosse nel campionato del mondo. E vedere quel che sarebbe successo. Poi, in realtà, non se n’è mai fatto nulla. Semmai è capitato che fossero gli altri a farsi da parte, ad esempio nel Gp di Imola del 1982, quando i team inglesi aderenti alla Foca (Formula One Constructors Association ) fecero retromarcia alla frontiera e disertarono la corsa. Era la rappresaglia di Bernie Ecclestone per le decisioni prese dal Tribunale d’appello della Fia, che accettò il reclamo sporto da Renault e Ferrari dopo il Gp del Brasile. Di mezzo la Brabham e la Williams, alle quali vennero tolti i primi due posti in classifica per i loro trucchi finalizzati a gareggiare sottopeso. Però oggi, a Maranello, si torna ai messaggi forti camuffati da precisazioni doverose. un passo significativo e chiaro in questi giorni di pura confusione, nel mondo della principale categoria dell’automobilismo. Si assiste ad accelerazioni, mediazioni, retromarce, partite a scacchi: ufficialmente si perseguono obiettivi nobili e condivisibili (una F1 più votata all’ecologia e alla riduzione dei costi), ma il sospetto è che, in realtà, ci si stia aggiustando per dividere meglio la gran torta dei quattrini. Anche perché, si sa, dopo la guerra viene la pace. Per dirne una: secondo voi Bernie Ecclestone chiederà meno soldi agli organizzatori, qualora si arrivasse davvero a economizzare su motori, personale da impiegare, spese futili? più probabile che ne chieda di più, anche perché Flavio Briatore, con il quale il Padrino dei motori è in perfetta sintonia su tante cose, ha già equiparato le scuderie a compagnie dello spettacolo mal pagate rispetto a quanto offrono.
Ma al di là di tutto, in F1 s’è creato un triangolo ben definito: su un lato Mosley e la Federazione, su un altro Ecclestone e la sua Fom, sul terzo i costruttori riuniti nella neonata Fota. Si politicheggia, ci si fa la guerra, poi si tratta e si ricuce, infine si riprende a menare le mani. Salvo tornare amici come prima. Quest’anno abbiamo visto Ecclestone passare con nonchalance
dalla sostanziale condanna di Mosley (per la nota vicenda del festino nel bordello di Chelsea) al pieno recupero delle relazioni diplomatiche con lui. Poi lo stesso Mosley, che pareva, se non intenzionato a farsi da parte, perlomeno disposto a tenere un basso profilo, si è rimesso a tuonare e a farsi catturare da furori decisionisti. L’ultima trovata è la spinta sul motore standard, anche se questo passo metterebbe in difficoltà una novità, quella del dispositivo per il recupero dell’energia, non ancora entrata in vigore.
Di fronte a questa confusione concettuale, l’unica lettura può essere politica. Ovvero: che cosa c’è dietro? Ognuno qui può dare l’interpretazione che preferisce. Eccone alcune: Mosley desidera più che mai governare e lo fa capire. Oppure: dopo che i team hanno presentato controproposte sensate al suo diktat circa il propulsore, e dopo che il 21 ottobre a Ginevra era stata trovata una convergenza, ha intuito il rischio di essere scavalcato; allora mostra di nuovo i muscoli. Eppure si vuole che la presa di posizione della Ferrari non nasca come reazione al comunicato con il quale la Fia fa capire di andare avanti sul motore unico.
Potrebbe allora essere che i team si stanno organizzando per un dopo Mosley (all’insegna di Jean Todt?) e che il segnale viene proprio da Maranello, a dispetto dell’ottima relationship con la Fia e con il suo presidente. O potrebbe anche darsi che la mossa ferrarista voglia saggiare la reale compattezza del cartello dei team. questa, infatti, la novità che nel passato non c’era: tutti d’accordo e uniti. Ma per essere vero, adesso, si attende che le altre scuderie seguano la Rossa nel pronunciamento. In attesa, magari, che dica la sua Ecclestone, terzo e non trascurabile lato del fatidico triangolo.
Presidente Max Mosley (Reuters)
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Flavio Vanetti