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 2008  ottobre 28 Martedì calendario

«Piove a Londra, mentre a Roma splende il sole». Era in questo modo che nell´Italia degli ultimi anni Trenta la stampa mussoliniana, sotto la guida del Minculpop, congegnava le notizie

«Piove a Londra, mentre a Roma splende il sole». Era in questo modo che nell´Italia degli ultimi anni Trenta la stampa mussoliniana, sotto la guida del Minculpop, congegnava le notizie. Non bisognava far sapere soltanto che a Londra c´era cattivo tempo: la cosa importante era far risaltare il contrasto tra la capitale inglese - piovosa, umida, avvolta nella nebbia - e la luce radiosa delle giornate romane. Ed è più o meno allo stesso modo, settant´anni dopo, che la televisione russa sta dando le notizie sulla tempesta finanziaria internazionale. La crisi sta scuotendo gli Stati Uniti, l´Europa, le economie asiatiche: ma non la Russia. Grazie alla preveggenza e capacità degli uomini del regime, e di Vladimir Putin sopra ogni altro, la Russia è appena sfiorata dall´uragano. Qualche refolo di vento, non altro. Le notizie sul crollo della Borsa di Mosca, sulla fuga degli investitori stranieri, sulla rovinosa esposizione verso le banche euro-americane dei magnati e delle industrie russe, sul brusco calo delle riserve della Banca centrale (70 miliardi di dollari sinora), sono monche, criptiche o addirittura assenti. La versione ufficiale dice che Putin e Medvedev hanno eretto un argine invalicabile contro la crisi che sta mettendo in ginocchio il resto del mondo. Né si tratta soltanto dei «mass media» di regime. E´ lo stesso governo, tramite un ministro incaricato della bisogna, che l´altro giorno ha riunito un folto gruppo di giornalisti russi per sostenere che a Mosca non piove, e anzi «splende il sole». Nella realtà le cose non stanno affatto così, perché gli effetti della crisi si stanno rivelando in Russia pesantissimi. La Borsa di Mosca è infatti arrivata a perdere il 74 per cento, gli investitori stranieri hanno riportato a casa da agosto ad oggi 75 miliardi di dollari, e il sistema bancario russo sta ondeggiando pericolosamente, certi giorni rasentando lo sfascio. Secondo la Banca centrale le banche in pericolo sono una sessantina (notizia ignorata dalla tv), gli esperti finanziari sostengono che il numero potrebbe arrivare a due o trecento. Ma la mazzata più violenta alle finanze russe, è venuta dal calo del prezzo del petrolio. Putin deve al petrolio, ai prezzi che esso ha avuto negli ultimi anni sul mercato, la gran parte del consolidamento del suo regime, e soprattutto il vasto consenso popolare di cui ha goduto sinora. Il barile di greggio costava infatti 19-20 dollari quando nel 2000 l´ex ufficiale del Kgb s´insediò al Cremlino, e a luglio scorso aveva toccato i 147. Era aumentato cioè di sette volte e più, aveva riversato in Russia un trilione e 300 milioni di dollari, né accennava - quando a luglio toccò i suoi massimi - a fermarsi. Mentre oggi il barile di greggio oscilla tra i 60 e il 70 dollari, e il petrolio a 70 dollari rappresenta per il regime russo una svolta molto inquietante. Appena sotto questo prezzo, infatti, il pareggio del bilancio statale non è più possibile. E´ vero, l´ottimo ministro delle Finanze Alexeij Kudrin aveva suggerito due anni fa la formazione d´un Fondo di stabilizzazione con cui soccorrere il bilancio nel malaugurato caso d´un caduta dei prezzi del greggio. Il consiglio era stato recepito, e ne era nato un Fondo di circa 140 miliardi dollari da usare nei giorni difficili. Nel breve termine, quindi, il regime dovrebbe riuscire a tenere in ordine i conti pubblici. Ma oltre il breve (e forse brevissimo) termine l´orizzonte finanziario russo è gravido di rischi, perché le previsioni sull´andamento del mercato petrolifero sono per i paesi produttori tutte pessime. E´ evidente, infatti, che la recessione in atto nei paesi più industrializzati comporterà una minore richiesta di petrolio e gas per il prossimo paio d´anni. Dinanzi all´enormità della crisi, e con il petrolio sotto i 70 dollari, il Fondo di stabilizzazione non basterà quindi a fronteggiare la crisi. Il governo di Mosca dovrà metter mano alle riserve della Banca centrale per tamponare i buchi, se non sono voragini, apertisi ormai da settimane in un sistema bancario che sta mostrando, così come altre istituzioni e strutture della Russia di Putin, d´esser fatto con la cartapesta. Il ruzzolone dei miliardari russi è in questo senso sintomatico. I Deripaska, gli Abramovich, gli Alepkerov e gli altri oligarchi che fanno parte della Kremlin Inc., la consorteria di governanti e finanzieri arricchitisi in questi anni grazie al controllo delle materie prime russe, hanno già perso 230 miliardi dollari con la disastrosa caduta della Borsa, e come se non bastasse sono esposti per cifre stratosferiche con le banche occidentali. Per rifinanziare i loro debiti interni ed esteri gli oligarchi dovranno perciò ricevere l´aiuto dello Stato, aiuto che andrà a sommarsi alla liquidità immessa nelle banche per evitarne il fallimento, e ai finanziamenti per tenere in piedi l´industria rimasta orfana degli investimenti stranieri. Il tutto su uno sfondo ormai pericolante. Impossibilitate a ottenere nuovi crediti, molte industrie hanno infatti già smesso di pagare l´energia elettrica. Il gigante Gazprom ha annunciato d´avere gravi difficoltà per rifinanziare i suoi debiti ed ottenere altri crediti. I prestiti agli studenti universitari sono congelati. E Standard & Poor ha abbassato ieri il rating Russia da «stabile» a «negativo». Il caso ha voluto che il terremoto finanziario e le inevitabili conseguenze che esso avrà sulla crescita economica, siano sopraggiunti in Russia all´indomani della vittoria militare contro la Georgia. Proprio mentre il regime di Putin si stava pavoneggiando sulla scena internazionale mostrando i muscoli verso gli stati ex sovietici, verso l´America e verso l´Europa, la voce sempre più forte, la grinta sempre più minacciosa. Ma a poche settimane dalla guerra d´agosto, mentre infuria la bufera finanziaria e il prezzo del petrolio è slittato sotto i 70 dollari, la muscolatura del regime russo si sta rivelando assai meno robusta di quel che Putin voleva far credere. La Russia resta infatti un paese sottosviluppato, e la crisi rischia di dissolvere quell´immagine di benessere diffuso, d´una classe media con consumi paragonabili a quelli dell´Occidente, che stava emergendo nelle grandi città. Un´immagine che aveva fatto dimenticare in questi anni la grande arretratezza russa, lo sfascio delle infrastrutture, la realtà della situazione al di là degli scenari di cartapesta (forza militare, prestigio internazionale, avvenire radioso) messi su dal regime. Tra l´altro, quel velo di benessere formatosi negli anni di Putin era dovuto anche alla corruzione. Centinaia di migliaia di russi in tutto l´immenso paese impinguavano i loro stipendi grazie alle loro funzioni nella burocrazia, imponendo su tutte le attività economiche piccole, medie e grosse taglie. Si calcola che la corruzione assorbiva oltre 100 miliardi di dollari all´anno. Ma se il prezzo del petrolio continuerà a scendere, se la recessione durerà, le dimensioni della torta si faranno più esigue: e anche dall´industria della corruzione uscirà una folla di disoccupati.