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 2008  ottobre 28 Martedì calendario

FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA
Non sembri una vecchia polemica antiparlamentare, però il primo dei tornelli, il Tornello Numero 1, il ministro Brunetta dovrebbe impiantarlo alla Camera. Là c’è un presidente volitivo come Gianfranco Fini che si sgola invano. L’ultima uscita è del 3 ottobre: «Il mio auspicio - dice a margine di un convegno tenutosi a Verona - è che i tempi e i ritmi di lavoro in Parlamento siano un po’ più in sintonia con quelli della società reale. Se i deputati pensano di lavorare due giorni a settimana e poi se ne vanno, non c’è nessuna riforma del regolamento che tenga».
Parole al vento. Parlano chiaro i resoconti ufficiali. Nel settembre di quest’anno, la Camera dei deputati ha «lavorato», nel senso di aver condotto un dibattito con votazioni in Aula, appena nove giorni. Erano stati 13 nel settembre scorso, quando a presiedere c’era il comunista Fausto Bertinotti. Uguale ritmo ad ottobre: anche per via delle convocazioni straordinarie per eleggere il giudice costituzionale sono state 15 le sedute finora svoltesi a Montecitorio, compresa quella di ieri mattina; sono state 21 le sedute di ottobre 2007.
Ieri, nonostante fosse lunedì, la Camera era stata convocata per dedicarsi a un grande tema come la riforma della legge elettorale europea. Deputati intervenuti, tra mattina e pomeriggio: ventisei. Corridoi vuoti. Buvette deserta. C’erano all’inizio il relatore Giuseppe Calderisi e il ministro Roberto Calderoli. Arturo Parisi ha aperto la discussione per conto del Pd, con il professor Salvatore Vassallo e Pino Pisicchio. Ascoltava Massimo D’Alema. Per la maggioranza, sono intervenuti Giorgio Stracquadanio, Iole Santelli e Fabio Rampelli. Ma faceva una certa impressione lo scarto tra un tema così alto e un’Aula tanto vuota. Se n’è lamentato Lino Duilio, Pd: «Signor Presidente, onorevoli colleghi, se posso, vorrei rivolgermi anche ai cittadini che ascoltano... magari vi è qualcuno in ascolto in giro per l’Italia... i quali, non potendo vedere, possono beneficiare di una descrizione plastica della situazione in cui ci troviamo: un’Aula deserta in cui vi sono cinque o sei deputati e non vi è il ministro competente». La forzista Santelli esce e si guarda intorno. Sperava anche lei in qualche presenza in più: «Ma siccome sappiamo tutti che ora c’è una settimana di stand-by su questa legge, i colleghi l’hanno presa sottogamba...».
Eppure Gianfranco Fini ne aveva fatto un cavallo di battaglia. «Dobbiamo lavorare di più», il suo slogan. Una minaccia verso i deputati lavativi che ripete fin troppo spesso. «Domenica - tuonò davanti ai giornalisti ai primi di luglio, quando si discuteva del Lodo Alfano - non ho difficoltà a lavorare... Voi sapete bene che di solito il sabato e la domenica faccio cose molto più divertenti, ma chi l’ha detto che la domenica si debba per forza andare in vacanza?».
Il presidente della Camera era reduce da un aspro braccio di ferro per imporre il cosiddetto Schema Fini che prevede cinque sedute piene a settimana (dal lunedì pomeriggio al venerdì mattina; 85 le ore di lavoro previsto) e poi una settimana «bianca» per «curare il territorio» ogni tre d’Aula a Roma. E così annunciò, al termine di una gloriosa riunione dei capigruppo: «Da settembre, si lavora cinque giorni su sette». Era il 4 giugno. I capigruppo apprezzarono lo Schema. Lo votarono persino. E poi, all’italica maniera, non successe nulla.
«Di settimana lunga se ne parla dopo Natale», è ora la spiegazione ufficiale che viene dallo staff della presidenza. «L’esperimento resta in piedi, c’è un interesse generale. Ma è in corso la sessione di bilancio e non si può fare».
La «sessione di bilancio»: significa che i deputati hanno da esaminare la Finanziaria, con i testi allegati. Ed è un lavoro che tradizionalmente occupa il Parlamento per i mesi dell’autunno. Ci sarebbe pure uno specifico codicillo del regolamento, l’articolo 23, comma dieci, che regola i lavori. Ma forse, il 4 giugno, quando trionfalmente annunciarono l’introduzione della settimana lunga, se l’erano dimenticata, la Finanziaria?
Non sarà un caso, insomma, se lui stesso, il presidente Fini, deve farsi sentire così spesso con le sue rampogne. E poi è curioso che ci abbiano provato nella Dodicesima legislatura per subito abbandonare la novità. Pure sotto la gestione Bertinotti si discusse di lavorare di venerdì, ma fu bloccata con un argomento a cui proprio lui, il Subcomandante Fausto, non potè sottrarsi: «E i comizi?». Già, i comizi...
«Altro che lavorare di venerdì. Qui la Camera si squaglia già il giovedì all’ora di pranzo». Roberto Giachetti, Pd, è un noto rompiscatole che s’è formato alla scuola di Pannella. «Sarà forse un caso, ma da quando la maggioranza è andata sotto un paio di volte, ed è sempre è accaduto di giovedì pomeriggio, regolarmente si arriva a un certo punto e poi si rinvia alla settimana prossima». E’ stato proprio Giachetti, il mercoledì che s’è votato il decreto Alitalia ad aver sollevato il caso delle presenze e delle assenze. «Alle 15, il governo ha incassato un voto di fiducia. Alle 19, la maggioranza non avrebbe potuto nemmeno garantire il numero legale».

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