Glauco Maggi, La Stampa 28/10/2008, 28 ottobre 2008
Ho paura che il peggio debba ancora venire». Se lo dice il profeta del pessimismo Nouriel Roubini, l’economista della New York University che aveva previsto la crisi globale, la paura viene a chi ascolta
Ho paura che il peggio debba ancora venire». Se lo dice il profeta del pessimismo Nouriel Roubini, l’economista della New York University che aveva previsto la crisi globale, la paura viene a chi ascolta. Venti giorni fa aveva detto a New York che dopo le banche neppure i private equity sarebbero rimasti immuni da chiusure e fallimenti. La settimana scorsa ha previsto da Londra che centinaia di hedge fund moriranno e che le Borse saranno costrette a chiudere per una settimana di fila per fermare il panico verso il quale il pubblico degli investitori sta precipitando. E da Madrid ha parlato di «punto di rottura dell’economia». «Stiamo raggiungendo il punto di panico», è il suo messaggio. Roubini sta raccogliendo la fama mediatica di economista di successo di chi può dire «io l’avevo detto». Tecnico dei salvataggi dei Paesi in crisi quand’era al Fondo monetario, i collassi sono la sua specialità; e la fiducia nell’intervento dei governi e della spesa pubblica massiccia per salvare le economie è la ricetta che ha sempre prescritto: anche adesso la giudica l’unica giusta. Tra gli economisti internazionali è possibile udire letture più pacate e aperte a soluzioni. Per esempio quella di un collega di Roubini alla New York University, l’economista Mark Gertler, che a La Stampa dice che potremmo vedere segnali di ripresa già nel corso dell’anno venturo. «Penso ci sia la ragionevole possibilità che assisteremo a una ripresa che inizierà entro la metà o la fine del 2009, dopo che nel terzo trimestre del 2008 e in quello successivo la crescita del Pil risulterà negativa attorno al 3%». La recessione appare ormai inevitabile, insomma, «ma le recenti misure, compreso l’acquisto dei ”commercial paper” e l’iniezione di capitale nelle banche, avranno un effetto positivo. Cominciando a vedere un coordinamento tra i governi e le banche centrali. fondamentale che si taglino subito i tassi, ovunque». Anirvan Banerji, economista all’Istituto di Ricerca dei cicli economici, ricorda che in occasione di un discorso al Fondo monetario agli inizi del 2007 «Roubini è stato accurato nel prevedere ciò che è poi avvenuto, ma aveva anche detto allora che ci sarebbe stata una ”imminente” recessione e ha sbagliato. Parla di recessione da quattro anni e ha continuato a cambiare le motivazioni: prima il deficit commerciale, poi il picco dei prezzi del petrolio, poi il crollo del mattone». A parte le doti riconosciute o meno di indovino, è sulle prospettive che il Nobel Gary Becker dissente dall’iperpessimismo di Roubini: «Non mi aspetto che la crisi attuale si sviluppi in una Grande Depressione», ha scritto sul Wall Street Journal giorni fa e confermato ancora di recente nel suo blog di professore dell’Università di Chicago. Mentre Eugene White, che insegna alla Rutgers University e ha studiato i crash, dice che l’unica somiglianza che vede tra il ”29 e oggi è che «il mercato si muove sulla paura e non sui fatti». «La politica sta compiendo le scelte giuste e siamo lontanissimi dal presidente di allora Hoover. Stiamo andando nella giusta direzione», sostiene. Per Thomas Cooley, professore alla Stern-Nyu, anche se i sintomi iniziali di una Depressione e di una crisi finanziaria possono sembrare simili, importante è cogliere le differenze: e alla domanda se l’attuale è una Depressione stile Anni 30, la sua prima risposta è «no». Ci aggiunge un «ma...» perché la prudenza è saggezza, ma non è sicuramente iscritto nel partito del Finimondo. Stampa Articolo