Giornali Vari, 13 ottobre 2008
Anno V - Duecentoquarantunesima settimanaDal 6 al 13 ottobre 2008Settimana terribile per le Borse. Anzi la più terribile della storia: i listini hanno bruciato 1
Anno V - Duecentoquarantunesima settimana
Dal 6 al 13 ottobre 2008
Settimana terribile per le Borse. Anzi la più terribile della storia: i listini hanno bruciato 1.400 miliardi di euro, i titoli sono andati giù ogni giorno a medie spaventose - il 5, il 6, il 7 per cento - Milano da sola ha polverizzato un quinto del Pil italiano. Generalmente i titoli hanno perso, in soli cinque giorni di contrattazione, un quinto almeno del loro valore.
Italia In questo quadro, colpisce la tenuta del sistema italiano, che in un anno (facciamo partire la crisi dal 9 agosto 2007, primo scossone serio a Wall Street) non ha visto tremare davvero nessuna banca e nessuna impresa. La risposta a questo quesito è sempre la solita: il nostro sistema è vecchiotto, ha adoperato i derivati - per ignoranza o pigrizia - con meno entusiasmo degli stranieri, la Banca d’Italia, sia con Fazio che con Draghi, ha esercitato bene la vigilanza impedendo che si commettessero troppe imprudenze. La solidità italiana s’è toccata con mano quando il governo ha preparato il decreto legge col quale si prepara ad affrontare eventuali problemi. Tremonti ha stanziato infatti appena 20 miliardi di euro «precauzionali», che serviranno allo Stato per diventar socio delle banche che piombassero in una crisi di liquidità e non trovassero i denari per aumentare il proprio capitale. In un bel discorso in Parlamento (la mattina di giovedì 9 ottobre) il ministro ha spiegato che quando una banca chiederà l’aiuto dello Stato, allora (e solo allora) lo Stato - previo parere positivo della Banca d’Italia - parteciperà all’aumento di capitale comprando azioni privilegiate, quelle che garantiscono il dividendo ma non dànno diritto di voto (e però alla fine valgono pure meno). I veri padroni dell’istituto in crisi resteranno perciò i privati che già lo possedevano prima. Il governo potrà solo chiedere che il management responsabile del default vada a casa, codicillo contro cui i democratici con in testa Scalfari hanno tuonato, dato che potrebbe mettere in pericolo i vertici di Unicredit, di Intesa e di Mps, tutti in mano a banchieri simpatizzanti con le varie sfumature della sinistra. Il decreto prevede anche la garanzia statale sul fondo interbancario che deve risarcire i clienti degli istituti eventualmente falliti (risarcimenti non oltre i 103 mila euro). La manovra verrà votata anche dall’opposizione, sempre più incerta e divisa sul da farsi: sabato 11 ottobre Di Pietro ha radunato i suoi e raccolto 250 mila firme - a suo dire - per il referendum che si propone di abrogare il lodo Alfano (quello che ha salvato Berlusconi dal processo Mills); nel Partito democratico è invece in corso un dibattito sempre più serrato, e imbarazzante per Veltroni, sull’opportunità, in un momento come questo, di andare in piazza il prossimo 25 ottobre a manifestare contro il governo.
Inghilterra I venti miliardi di euro italiani - oltre tutto precauzionali - fanno impressione per la loro pochezza se messi a confronto con i 500 miliardi di sterline tirati fuori da Gordon Brown. Con questi soldi, il primo ministro britannico si ripromette di dare liquidità alle banche, di entrare, se serve, nel loro capitale e di garantire, oltre ai depositi di tutti i cittadini, anche i prestiti che passano tra banca e banca. Otto istituti sono già stati semi-nazionalizzati. La veemenza con cui il premier ha reagito alla crisi, i suoi discorsi molto duri contro gli islandesi le cui banche, fallendo, hanno polverizzato 18 miliardi di fondi inglesi (Brown vuole applicare contro quel Paese le leggi anti-terrorismo) lo hanno fatto risalire nei sondaggi e adesso è persino possibile che alle elezioni del 2010 i laburisti battano i conservatori. Soprattutto, il suo piano è stato preso a modello dagli europei riuniti a Parigi domenica scorsa. Così come ha fatto Brown, gli europei hanno deciso di adottare, ciascuno a casa sua, un piano che garantisca soprattutto i prestiti tra banca e banca. La pervicacia con cui la crisi ha resistito finora ad ogni intervento è infatti dovuta alla sfiducia tra le banche: una volta presi i soldi dalla Bce, i banchieri si son guardati bene dal farli girare e li hanno tenuti fermi in cassaforte, congelando tutto il sistema e spingendolo rapidamente verso il collasso. Brown e gli altri europei, per tranquillizzare il mercato, si propongono di far così: la Banca A che chiede soldi in prestito dalla Banca B, li otterrà invece dallo Stato. E sarà lo Stato a farseli prestare dalla Banca B. Al momento della restituzione, se la Banca A non dovesse farcela, se la vedrà perciò col suo creditore vero, vale a dire lo Stato (che potrà ulteriormente finanziarla o entrare nel suo capitale). La Banca B invece, cioè la creditrice, riavrà senza problemi i suoi denari, sempre dallo Stato trasformato così in camera di compensazione.
Ottimismo Varato domenica a Parigi dai capi europei, questo progetto ha incontrato finalmente il favore delle piazze, almeno fino al momento in cui scriviamo (lunedì 13 ottobre, mattina): l’Asia e l’Europa stanno finalmente andando su. Naturalmente, c’è il trucco: gli stati garantiscono tutti i depositi e tutti i prestiti nella speranza che, grazie anche a questo loro impegno verbale (e sia pure contenuto in qualche legge), il contante ricominci a circolare e che la ripresa della circolazione basti a tener su il sistema. escluso invece, per un semplice calcolo matematico, che in caso di default complessivo gli stati possano davvero far fronte, soldi in mano, ai creditori. Si tratta infatti di cifre incommensurabili. L’Islanda, che aveva creduto di risolver tutto nazionalizzando le sue tre banche, si trova adesso con debiti per 126 miliardi di dollari avendo in riserva appena quattro milioni di euro (è un piccolo paese, con appena 300 mila abitanti). Un prestito russo di 4 miliardi è stato sufficiente agli analisti per decretare che Putin s’è comprato quella nazione, la cui indipendenza, come abbiamo visto, è a questo punto messa a rischio anche da Brown. La Merkel, impegnandosi a garantire i depositi dei tedeschi, ha sottoscritto una cambiale per almeno 570 miliardi, ma più probabilmente per mille. Tanto per avere un’idea: mille miliardi equivalgono a due terzi del nostro debito pubblico e di tutto il nostro Pil. A quanto ammonta l’impegno teorico preso dai politici quando la garanzia copre addirittura i prestiti tra banche? Sono cifre con talmente tanti zeri che è persino imbarazzante parlarne. In altri termini: non ci sarà Stato in grado di mantenere gli impegni presi negli ultimi giorni se la catena dei fallimenti dovesse allungarsi oltre un certo limite.
Tassi Tra le misure prese la scorsa settimana, c’è anche quella, eccezionale e mai sentita prima, di un accordo tra tutte le banche centrali del mondo per abbassare, tutti insieme e in un sol colpo, il tasso di sconto di mezzo punto (mercoledì 8 ottobre). servito a poco e soprattutto non è servito a dar sollievo ai mutui: i tassi dei mutui sono infatti legati all’Euribor, cioè agli interessi che si pagano le banche quando si prestano i soldi tra di loro (vedi sopra). Questo tasso viene deciso quotidianamente dal mercato e, specie in questo momento, ha un rapporto molto labile col tasso che le banche praticano alla clientela e che viene determinato dalle decisioni di Francoforte.
Auto L’altra questione è: le aziende diverse dalle banche, quando nei prossimi giorni si trovassero in crisi, avranno diritto alle stesse coccole riservate agli istituti di credito? Il tema è urgente perché il distretto automobilistico di Detroit sta con l’acqua alla gola. Stiamo parlando di General Motors, Ford e Chrysler, cioè della più grande concentrazione di capitale e lavoro presente sulla Terra. GM e Ford stanno disperatamente tentando di fondersi per sopravvivere ed è dubbio che possano farcela. Alla fine, la notizia della settimana potrebbe forse essere proprio questa.