Giornali Vari, 6 ottobre 2008
Anno V - Duecentoquarantesima settimanaDal 29 settembre al 6 ottobre 2008Papa Lunedì scorso le Borse venivano giù in un modo tale che a un certo punto è intervenuto il Papa, improvvisando un discorsetto al Sinodo dei vescovi: «Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi scompaiono, che sono niente, e tutte queste cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine
Anno V - Duecentoquarantesima settimana
Dal 29 settembre al 6 ottobre 2008
Papa Lunedì scorso le Borse venivano giù in un modo tale che a un certo punto è intervenuto il Papa, improvvisando un discorsetto al Sinodo dei vescovi: «Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi scompaiono, che sono niente, e tutte queste cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine. Lo ricordi chi costruisce solo sulle cose che sono visibili, come il successo, la carriera, i soldi. Solo la parola di Dio è una realtà solida».
Tre Bisogna spiegare la crisi dividendola in tre: c’è la crisi americana, c’è quella europea, c’è quella italiana. Sono interconnesse, sono anzi la stessa cosa, ma il copione viene recitato in modo sostanzialmente diverso nei tre teatri.
Stati Uniti Il governo ha ottenuto con molta difficoltà il sì del Congresso al piano da 700 miliardi. In che consiste questo piano? Alla fine in questo: lo Stato comprerà dalle banche titoli tossici per 700 miliardi di dollari. Si definiscono ”titoli tossici” quei pezzi di carta che il mondo si scambia da vent’anni sostenendo che valgono molto e che invece - s’è scoperto ora - non valgono niente. Nessuno vuole questi titoli, il denaro perciò sta fermo nelle casseforti e sostanzialmente le banche non hanno un soldo. In America è in corso un gran dibattito sull’opportunità che lo Stato intervenga così pesantemente nell’economia nazionale. Comprando i titoli tossici, infatti, il ministero del Tesoro vorrà anche pezzi di banche. Cioè nazionalizzerà il sistema del credito, cosa inaudita nella storia di quel Paese che è nato e vissuto per due secoli e mezzo esaltando la proprietà privata, il mito della frontiera e l’uomo solo contro tutti. Infatti c’è un forte movimento di opinione contrario che ha fatto bocciare una prima volta il piano alla Camera e che adesso tuona in favore dell’opportunità, casomai, di aiutare le famiglie a pagare i mutui, in modo che il mercato immobiliare - il segmento da cui è partita la valanga - si ritiri su e aiuti la ripresa. Solo che questo tipo di intervento richiede tempo, e a quanto pare il problema delle banche va invece risolto qui e ora: Lehman Brothers è saltata più o meno in dieci minuti. Ma c’è un altro punto: qualcuno dovrà essere chiamato a decidere, per conto del governo, come spendere i 700 miliardi e qualcun altro invece dovrà attrezzarsi (con documenti eccetera) per incassare. Sulla persona che dovrà decidere come spendere, è in corso una lotta furibonda perché Paulson - un ex Goldman Sachs - vorrebbe nominare qualche suo amico banchiere e questo creerebbe un conflitto di interessi pazzesco. Ci vorrebbe uno come Paul Volcker, che ha diretto la Fed prima di Greenspan, ed è autenticamente al di sopra di tutti. Solo che ha 81 anni... Quanto a chi dovrà incassare i 700 miliardi, si tratta naturalmente delle banche, che venderanno in cambio i loro titoli tossici. Quindi, in questo momento, c’è una certa convenienza a procurarsi titoli tossici in modo da aver roba da rifilare allo Stato. Infatti Citigroup e Wells Fargo sono venuti alle mani (cioè stanno in tribunale) per stabilire chi abbia il diritto a comprare Wachovia, banca già fallita. E sono in caccia anche Bank of America e JP Morgan Chase. I soldi dello Stato - divenuti improvvisamente la panacea generale - producono infatti inevitabilmente corruzione e malaffare. E quella parte dello spirito bancario che tende all’associazione a delinquere (una parte piuttosto consistente) è naturalmente prontissima ad approfittarne, con buona pace di Benedetto XVI.
Europa In Europa è in atto una guerra tra stati, il cui bottino sono i correntisti. Ha cominciato l’Irlanda quindici giorni fa dichiarando che i conti individuali dei suoi depositi saranno d’ora in poi garantiti al cento per cento. Che cosa significa? In ogni Paese le banche contribuiscono a un fondo che garantisce i clienti in caso di fallimento: la banca A salta per aria e il fondo rimborsa i correntisti. Non però al cento per cento: in tempo di pace si stabilisce un tetto oltre il quale il cliente perde tutto (questo tetto in Italia è da sempre uno dei più alti: 200 milioni di lire, 103 mila euro). In tempo di guerra, gli argini saltano: se una banca irlandese salterà per aria lo Stato coprirà per intero la somma qualunque sia il suo importo. La conseguenza di questa dichiarazione è che gli inglesi, profittando del fatto che le banche irlandesi sono a un passo, hanno tolto i soldi agli istituti britannici e li hanno trasferiti su quelli di Dublino. La cosa deve aver provocato movimenti anche in Germania - dove il pericolo di crac a catena è altissimo - perché domenica sera la Merkel, rientrando dal vertice parigino dove si sono discussi questi problemi, ha annunciato che il governo tedesco coprirà anche lui al cento per cento tutti i depositi. Si tratta di un impegno da 570 miliardi di euro. A questo punto (erano le 11 di lunedì mattina) i governi svedese e danese hanno comunicato ufficialmente che pure loro copriranno eccetera eccetera. In pratica i singoli stati nazionali stanno mettendo in tavola una somma superiore ai 700 miliardi americani, in una forma però democraticamente discutibile e con effetti che potrebbero risultare molto gravi se il sistema cominciasse a venir giù sul serio. Il fatto è che una riunione tenutasi nel weekend a Parigi tra Berlusconi, Sarkozy, Gordon Brown e la Merkel non ha prodotto risultati apprezzabili perché gli europei - a differenza degli americani - non hanno un’istituzione centrale che governa le banche. La Bce ha titolo sulla moneta, ma non sulla vigilanza che è rimasta in mano ai governatori nazionali. Uno tsunami sul Continente non avrebbe perciò un nocchiero dotato di poteri sufficienti per affrontarlo efficacemente che in questo caso significa una sola cosa: velocemente.
Unicredit La spina italiana si chiama Unicredit, la grande banca che Profumo ha portato in cima alle classifiche mondiali acquisendo nel 2005 la tedesca Hpv e che nel momento in cui scriviamo è leader in una ventina di paesi europei. Gli operatori di Borsa hanno passato l’estate a vendere azioni Unicredit a mucchi e il titolo viaggia adesso tra i due euro e mezzo e i tre euro. L’anno scorso, a domanda, Profumo disse che un’Opa sulla sua creatura sarebbe stata ragionevole almeno a 9 euro. Che cosa è successo? Non lo sa nessuno con certezza, ma a giudicare dalle mosse compiute si direbbe che l’istituto è a corto di soldi oppure che teme di trovarsi molto presto a corto di soldi. Un primo consiglio d’amministrazione ha stabilito di bloccare tutti i premi e gli aumenti di stipendio fino al 31 dicembre 2009 (il sindacato interno non ha fiatato). Un secondo consiglio d’amministrazione, tenuto domenica pomeriggio, vale a dire prima della riapertura dei mercati (dal punto di vista della comunicazione una scelta pessima), ha deciso di fare cassa vendendo la partecipazione in Generali del 3,5% e varato due aumenti di capitale per un totale di 6 miliardi di euro. Il primo aumento di capitale servirà a produrre azioni per pagare il dividendo. Cioè: i soci incasseranno gli utili 2008 (già tagliati del 25%) non cash, ma in titoli della società. Il secondo aumento di capitale è invece un’iniezione di denaro fresco per 3 miliardi al prezzo di 3,083 euro, molto alto per la quotazione attuale. dunque possibile che i soci si rifiutino di sottoscrivere. In questo caso Mediobanca e Merryl Linch, che curano il collocamento, hanno imposto l’emissione di un’obbligazione. Vale a dire Unicredit dovrà indebitarsi. E che tassi garantisce la banca di Profumo a coloro che saranno disposti a prestarle il denaro? L’Euribor a tre mesi più 450 punti, vale a dire il 9,81%. I giornali scrivono che, per quanto riguarda le obbligazioni, fioccano le prenotazioni. Ma quei tassi lì somigliano molto, purtroppo, a quelli che promettevano gli argentini.