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 2008  ottobre 27 Lunedì calendario

Strana coppia. La faccia più dadaista del cinema italiano e la moglie del ministro. Lui è Carlo Delle Piane, lei Sabina Negri, ex di Calderoli, imperversante bionda da Chiambretti, autrice teatrale e ora anche attrice nella sua pièce sull’orrore chirurgico della società moderna («Ho perso la faccia», a Milano dal 4 novembre, al San Babila), attendibile nella parte di una sciura libidinosa, incluso il vocione cavernicolo alla Sandro Ciotti

Strana coppia. La faccia più dadaista del cinema italiano e la moglie del ministro. Lui è Carlo Delle Piane, lei Sabina Negri, ex di Calderoli, imperversante bionda da Chiambretti, autrice teatrale e ora anche attrice nella sua pièce sull’orrore chirurgico della società moderna («Ho perso la faccia», a Milano dal 4 novembre, al San Babila), attendibile nella parte di una sciura libidinosa, incluso il vocione cavernicolo alla Sandro Ciotti. Diventano definitivamente complici la sera in cui lei gli strofina la schiena con acqua e sapone nel bagno di un ristorante romano. Carlo Delle Piane è un ossessivo grave. Il mondo per lui è un agguato permanente di mani contagiose. Quella sera aveva incrociato tre comici molto espansivi. Aldo, Giovanni e Giacomo lo riconoscono e prendono a tastarlo per la felicità, pacche e abbracci. Delle Piane s’incupisce, si sente mancare, chiama Sabina. Implora. «Accompagnami in bagno». E’ il rito lustrale dell’acqua che purifica. In mancanza di un Gange sotto casa, si ricovera in qualunque bagno pubblico. Non a lavarsi, ma a scorticarsi vivo. A strapparsi letteralmente la pelle. Ha le tasche piene di kleenex, non tocca mani, soldi, carte di credito, accendini, nemmeno il proprio. Sistema tre sigarette in fila sul tavolo e se le fa accendere dagli altri. Stasera è di ottimo umore. Ha incredibilmente intrecciato le mani con i compagni di scena a fine spettacolo, nella chiamata in proscenio. Resta l’inflessibile divieto a varcare il suo camerino. Sabina è l’eccezione. La vuole vicino a sé. Ogni tanto la sfiora con una carezza lieve sulla fronte, il massimo che gli è consentito. Fumano come ciminiere allegre. Igienista ma non salutista, Delle Piane. A 72 anni e 60 di carriera è pronto a ricevere dalle mani (in questo caso farà un’eccezione) del presidente della Repubblica, prossimo 14 novembre, il premio «Vittorio De Sica». Un vero signore. Mi fa passare davanti all’ingresso del ristorante. «Ma mica per educazione. Così la porta la tocca lei...». Stare dentro un corpo. Nel suo caso, un ring per fobici o per folli. «Con gli anni mi ci sono affezionato. Lo tengo in ordine. A 72 anni non ho rotoli, un filo di pancia. Certo, è quello che è, un corpicino non modellato al meglio... Coltivo un sogno da sempre vivere almeno una settimana con le fattezze di George Clooney». Cosa non le piace del suo corpo? «Tutto. Dai capelli ai piedi». Che cosa farebbe in quella settimana con la faccia di Clooney? «Intanto manderei a fare in culo le molto donne che non ne vogliono sapere di me». Le farebbe cadere ai suoi piedi per poi respingerle? «Si... Intendiamoci, ho un grande rispetto per le donne. Quei pochi rapporti che ho avuto, sono stati sempre molto sofferti. Colpa del mio carattere. Si stancavano di me. Del mio egoismo». Geloso? «Delle mie cose, dei miei dischi, dei miei libri, delle mie case, del mio telefono anche». Geloso del telefono? «Impedivo loro di toccare qualunque cosa. Le vedevo sul set o nel residence dove dormo ogni tanto. Loro si sentivano delle prostitute e mi lasciavano... E’ la mia mania dell’igiene. Era così anche mia madre. La trovavo a mezzanotte che strofinava i vetri». Più che una casa, un bunker di filo spinato. «Non sto bene con me stesso, più gli anni passano e mi deprimo. Non è tanto la sofferenza della solitudine, quanto la consapevolezza di questo mio carattere. Vivo isolato... E’ la mia fatica di andare avanti». A un certo punto si presenta in scena in bermuda e camicia a fiori. Boato del pubblico in sala. Sembra di rivedere «Pecorino», l’asimmetrico monello dei film con Totò. «A salvarmi dalla depressione e dal rancore è quella che io chiamo la mia amica follia. Se dovessi rinascere vorrei essere un delfino, immerso in ogni secondo della mia vita nell’acqua profonda dell’oceano. Pulito che più pulito non si può, dentro e fuori. Ci parlo con il delfino che è in me». Parla con il delfino che è in lei? «Fino a qualche tempo era un rapporto conflittuale, non capivo, ero stordito. Oggi mi sento meno inquinato, mi sento più delfino». C’è anche un passaggio nello spettacolo in cui fa il verso a E.T. «Ci abbiamo scherzato con Carlo Rambaldi a Procida sul fatto che si era ispirato a me per il suo extraterrestre di Spielberg. Non ho mai avuto il complesso della mia bruttezza, ma da giovane quando mi segnavano per strada non capivo se lo facevano per ammirazione o per dire: ”dove cazzo va quell’alieno”». Il sesso è sfrenata corporalità. Proibitivo per un fobico. «Non è il mio caso». Chiede le analisi del sangue alle sue fidanzate? «Qualcosa del genere. Superati i test igienici, il corpo della donna mi piace. Mi lascio andare. Il rimpianto è un altro. Aspetto che i miei nipoti crescano per spiegare loro perché non li ho mai abbracciati, perché non ho mai giocato con loro». Gli ossessivi si vedono di solito quando vanno a letto. «Mi lavo molto. A furia di lavarmi, ho le mani logore, rovinate... Dormo completamente nudo da sempre. Non mi addormento subito. Rivedo ogni volta il film della giornata, tutte le persone con cui mi sono comportato male e mi rimprovero». L’incidente automobilistico del ”73. In coma per un mese. Il lento risveglio. «Un anno, prima di tornare alla normalità. In questi casi qualcosa nel cervello è toccato in modo irreversibile». Mai pensato a un’analisi, magari interminabile? «Il papà di una mia amica è un grande psicanalista, ma ho sempre evitato per la paura di essere condizionato. Io sono un credente a modo mio. Ho un rapporto diretto con l’aldilà. Con la Madonna soprattutto ci parlo spesso... Non mi confesso, non racconto i miei fatti a un estraneo che magari è peggio di me, ma prendo la comunione. Con le mie precauzioni...». Quel naso, si fa per dire, è un dono di natura? «No. Una tremenda pallonata in faccia da bambino. Certo, non è che prima avessi un nasino alla francese. Più che un naso, lo definisco un percorso improbabile». Deve tutto a Pupi Avati. «Gli devo molto. Ma anche lui mi deve molto. Certi suoi personaggi, senza di me rischiavano il patetico». Scopre con Pupi Avati di essere un grande attore o ne aveva già il sospetto? «Dopo l’incidente, a metà degli anni ’70, ero sempre incazzato. Pensavo di avere delle qualità, mi sentivo pronto per ruoli importanti, più impegnativi». Erano gli anni in cui figurava nelle locandine di «Siamo tutti pomicioni», «I sette magnifici cornuti», «La signora gioca bene a scopa?». Si era lasciato un po’ andare. «Anni di confusione. Poi con Pupi la svolta. In America impazzirono per ”Una gita scolastica” e ”Regalo di Natale”. Sembravo una star americana. Mi applaudivano per le strade di Miami. ”Un attore straordinario da Oscar”, scrissero i giornali locali». Suona strano che alla festa del cinema di Roma non ci sia uno spazio dedicato ai sessant’anni di Delle Piane. «Me lo sarei meritato, ma il cinema italiano non mi ha mai dato un cazzo. Solo premi, tanti premi». La coppa Volpi a Venezia per «Regalo di Natale». «Era così sicuro di vincere Walter Chiari, che la notte prima aveva festeggiato con i suoi amici. Stavo a casa con mia madre, a Roma, dovetti partire in fretta e in furia». Ha dovuto stringere molte mani quella sera. «Purtroppo sì». Gioca a poker? «Si, mi piace. L’ideale al tavolo è Alessandro Haber. Perde sempre». Pupi non l’ha chiamata per il suo ultimo film. «Si è allontanato da me da un po’ di anni. Non lo so perché, chiedetelo a lui...». Ha lavorato con i più grandi, Totò, Sordi, Gassman, Mastroianni, Aldo Fabrizi. «Il più grande di tutti era Alberto Sordi. Ma l’unico con cui ho avuto una frequentazione al di fuori del set è stato Aldo Fabrizi. Un attore molto sottovalutato. Ostico ai più per la sua sincerità». Rapporto col denaro? «Pessimo. Non so curare i miei interessi. Mi offrirono una parte importante ne ”Il nome della rosa”, un cast prestigioso con Sean Connery. Mi avrebbero dato anche un coach per imparare l’inglese. Ci pensai una notte e poi rifiutai: non ce la faccio». Il solitario pensionato di «Nessun messaggio in segreteria» s’inventa di vendere casa per scambiare due chiacchiere con qualcuno. Autobiografico? «Per niente. Io non farei entrare nessuno in casa mia. Sabina mi dice sempre con affetto: ”Tu vivi su un albero”. Si, vivo su un albero, ma per una mia scelta. Perché mi fa schifo quello che c’è sotto». (Sabina): «Mi ha conquistato di lui che, pur sentendosi un delfino, non è mai uno fuori dal mondo. L’ho sentito piangere al telefono per quello che stava capitando ai bambini del Rwanda, come fossero a casa sua...». Giancarlo Dotto