Ugo Magri, La Stampa 27/10/2008, pagina 5, 27 ottobre 2008
Veltroni fa gran tifo per la vittoria di Obama. Ma chi ne guadagnerà di più, se l’America tra sette giorni avrà il suo primo presidente nero, contro ogni aspettativa rischia di essere il Cavaliere
Veltroni fa gran tifo per la vittoria di Obama. Ma chi ne guadagnerà di più, se l’America tra sette giorni avrà il suo primo presidente nero, contro ogni aspettativa rischia di essere il Cavaliere. Parecchio incerto è un cambio di clima in Italia a vantaggio della nostra sinistra. Mentre piuttosto sicuro è che Berlusconi, qualora dovesse spuntarla McCain, ne riceverebbe una sporta di guai. Ciò non impedirà al Pd di trascorrere una settimana elettrizzante. E al popolo democratico di animare kermesse, come quella romana di giovedì all’Ambra Jovinelli, per scaldarsi in vista dell’Election Night, martedì 4 novembre. L’equivoco è figlio dell’equazione «Walter uguale Barack». Di persona i due si conoscono appena, un caloroso incontro tra l’allora sindaco di Roma e il senatore dell’Illinois che data 2005. L’anno dopo Veltroni vergò di suo pugno una prefazione intelligente a «The Audacity of Hope», edizione italiana, un’autobiografia in chiave religiosa del futuro candidato alla presidenza. E certamente sono giunte all’orecchio di Obama le molteplici attestazioni di stima che gli riserva il segretario Pd, capofila dei fan europei, primo in assoluto a intuire che quel giovane avvocato aveva stoffa da vendere. Purtroppo i contatti qui si esauriscono. Frequentazioni dei rispettivi entourage, praticamente zero. L’unico nel Pd cui non mancano agganci si chiama Rutelli, grazie alle sue amicizie clintoniane: conosce Anthony Lake, uno dei «consigliori» di Omaba, ma soprattutto è «in touch» con quel John Podesta che al momento guida il «transition team». Di sicuro tornerà buono. Veltroni punta su Obama, ne ha mutuato lo slogan («yes we can»), gli atteggiamenti, certe civetterie tipo i discorsi pronunciati in mezzo alla gente (vedi manifestazione al Circo Massimo). Ma per adesso è un amore a senso unico. L’Italia occupa ben poco spazio, nelle priorità di Obama. Da politico non è mai inciampato sullo Stivale, anzi ha trascurato Roma nel tour estivo tra Parigi, Londra e Berlino. Se l’è cavata con un «I love Italy». Non potrà ignorarla in futuro perché l’Italia è un alleato «bulgaro» dell’America, chiunque la guidi noi siamo a disposizione. Berlusconi o Veltroni, nell’ottica yankee cambia davvero poco, fanno comodo entrambi. Obama (forse) sarà meno guerrafondaio di Bush, ma i pacifisti sbaglierebbero a illudersi. Addirittura ostenta, nei confronti del terrorismo islamico, qualche determinazione in più dell’avversario McCain. Le novità fioriranno altrove: magari sarà un’America più giusta, meno squilibrata sul terreno razziale, più consapevole sui temi ambientali. Scossoni destinati a fare l’onda nel resto del pianeta. Sufficienti a «cambiare radicalmente il mondo», come spera Veltroni? In attesa di scoprirlo sul campo, il Cavaliere si consola dello scampato pericolo. McCain è un eroe di guerra tosto e intemerato, quel miliardario italiano che controlla i media a pelle non gli sta simpatico. Glielo passò al cellulare l’ex ministro degli Esteri Martino il 20 aprile scorso. McCain si congratulò con Berlusconi della bella vittoria elettorale, lasciando implicitamente intendere chi avrebbe gradito alla Farnesina (ma Silvio se ne fregò: all’«amerikano» Martino preferì l’eurocentrico Frattini). Si sono riparlati sempre per telefono il 14 ottobre scorso, durante l’ultima puntata del premier negli Stati Uniti. Berlusconi prudentemente ha chiamato entrambi, John e Barack, raccomandando che facessero «i bravi». La conversazione con Obama, certificano fonti diplomatiche neutrali, è stata la più spigliata. Con tanto di promessa, «ci vedremo presto in Italia», quale si conviene a due veri piacioni. Il meteorite schivato da Berlusconi si chiama McCain. Fonti da Washington assicurano: l’ex prigioniero del Vietnam, anticomunista sul serio, non tollererebbe un solo secondo il flirt dell’Italia con Putin dettato da calcoli di politica energetica e da simbiosi autocratiche. I malumori repressi dall’amministrazione Bush sfocerebbero in dure reprimende. Cosicché l’entourage berlusconiano si sente in una botte di ferro. Valentino Valentini, consigliere sempre riservato, confida: «Io non ce l’ho con Veltroni. Ma i suoi fervori pro-Obama mi ricordano i ragazzini che giocano a calcio mettendo la maglietta di Totti o di Ronaldinho». Ugo Magri