Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 26/10/2008, 26 ottobre 2008
Sostiene Tremonti che in un’automobile c’è più moralità che in un derivato. Quanti hanno amato Wall Street di Oliver Stone gli daranno volentieri ragione
Sostiene Tremonti che in un’automobile c’è più moralità che in un derivato. Quanti hanno amato Wall Street di Oliver Stone gli daranno volentieri ragione. Ma se così è, e se l’Occidente sta salvando proprio le banche a spese dei cittadini, come si fa a negare gli aiuti di Stato alla Fiat? E come si fa a dar torto a Emma Marcegaglia quando pretende sgravi fiscali per l’intera industria italiana? E gli artigiani, i commercianti, i lavoratori dipendenti? Il richiamo all’etica porta lontano, forse troppo. Meglio rimanere alla convenienza. Gli aiuti di Stato vengono oggi giustificati con l’argomento delle asimmetrie: con i 25 miliardi di dollari del governo, Gm, Ford e Chrysler avranno un vantaggio che i costruttori europei vorrebbero compensare con aiuti per 40 miliardi di euro. Le banche insidiate dal Conto Arancio sarebbero felici se la Ing saltasse, ma la liberista Olanda la salva con 10 miliardi. Queste asimmetrie tra privati e nuovi parastatali sono un problema reale. Ma può l’Italia, con il suo debito pubblico, inseguire governi senza un tale fardello o non le converrebbe che la Ue limitasse le aziende estere assistite nei settori dove qui non si ricorre ad aiuti di Stato? Il caso Fiat fa riflettere. Nei primi 9 mesi dell’anno Torino guadagna 1,54 miliardi e conferma il dividendo. Il gruppo dipende dall’auto meno dei concorrenti: i due terzi del risultato operativo vengono da trattori, veicoli industriali e componentistica. E l’auto può contare sul Brasile dove la domanda tira. L’affaticamento generale ha sì aumentato l’indebitamento: a fine 2009 salirà a 4 miliardi. E più di questo potrebbe dar da pensare, in tempi di crisi, l’esposizione lorda di 18 miliardi nel finanziamento della clientela. Ma nel 2009, dice Marchionne, se la domanda calerà del 10%, avremo ancora un utile di 1,2 miliardi; con un calo del 20%, saranno 400 milioni. La questione è: perché lo Stato dovrebbe dare un’altra rottamazione? Per pagare ancora un dividendo? E questo vale anche per le banche. Berlusconi nega rottamazioni alle viste. Ma siccome ne sono già state date due, se mai si dovesse ragionare della terza, il governo farebbe bene a considerare sì gli effetti sull’Iva, ma normalizzati su più anni e su tutti i settori. Perché, incentivando un consumo, se ne scoraggiano altri. E incentivando la vendita di beni costruiti all’estero, si foraggia il Pil altrui a detrimento del made in Italy che non ha la stessa influenza di banche e Fiat. L’industria italiana esporta, è solida e ha buoni ritorni sul capitale. In assoluto, le richieste di Confindustria possono avere un senso. Ma dopo anni nei quali il capitale si è aggiudicato quote crescenti di valore aggiunto, ci si deve chiedere prima quale sia il ritorno di questi nuovi aiuti per il contribuente, e come verrà corrisposto, e poi se, a questo punto, non sia meglio usare la leva fiscale per sostenere i redditi da lavoro: non solo perché, come insegnò Cesare Beccaria, la minor concentrazione della ricchezza fa progredire la società, ma anche per rilanciare oggi la domanda, motore dell’economia. (con la consulenza tecnica di Miraquota)