Dario Cresto Dina, la Repubblica 26/10/2008, 26 ottobre 2008
BOLOGNA
Siamo tutti, in un modo o nell´altro, un volo interrotto. Precipitiamo dai nostri sogni, ma ciò che ci può distinguere e preservarci dall´inesorabilità del destino è la capacità di librarci ancora non verso ciò che siamo ma verso ciò che vorremmo essere. Qualcosa di migliore. Andare là dove stiamo bene, un posto caldo e illuminato. Lucio Dalla da bambino voleva essere un cane, poi un poeta, a un certo punto ha creduto di essere Dio, oggi si potrebbe dire che è diventato niente ma soltanto per riempire questa vuota definizione con la multiforme personalità di un uomo che zampetta con successo da un´arte all´altra, con un solo Nord dell´anima, Bologna. La musica, il teatro, il cinema, l´opera, la pittura, la scultura.
Dice: «Ho inseguito a lungo il desiderio di uscire da qualsiasi definizione. Possedere tutti i nomi e non averne nessuno. A volte mi guardo allo specchio e mi dico: Lucio, non sei un genio poliedrico. Poliedrico…che parola, sembra uno che scoreggia. Andavo ancora alle medie, facevo forse la prima o la seconda, non ricordo, e mia madre si era messa in testa che suo figlio avesse un´intelligenza speciale. Mi portò da non so quale medico, lui mi sottopose a un sacco di test psicologici e alla fine sentenziò: signora, suo figlio è un mezzo deficiente. Non ho mai evitato le brutte figure. Ne ho fatte tante e spero di farne ancora. Mi cimento in tutto ciò che stuzzica e stimola la mia curiosità. Più faccio cose nuove e più voglio farne. Faccio tutto ciò che non c´entra nulla con me. Vent´anni fa lessi l´autobiografia di Cellini, mi accorsi che fisicamente ci assomigliavamo, alla fine sono riuscito a diventare Cellini e a portarmi in scena. Ho scritto dieci liriche in una settimana».
Parla, si muove di continuo, è difficile seguirlo, la sua velocità sequestra l´attenzione e la porta in giro. Lo studio dietro piazza Maggiore è un bazar di oggetti e di gente. Di voci, passi, porte che sbattono, risate. La sua stanza di lavoro è piccola e stipata di cose. Dischi d´oro e di platino, quadri, un letto impero coperto da una bandiera rossa con la faccia di Lenin presa in occasione di un concerto a Mosca e sopra una spada romana, locandine di spettacoli, fotografie («Sono stato a lungo un fotografo, poi mi ha stancato il mezzo»), un poster autografato di Valentino Rossi che grida «Lucio, sei un eroe», l´onorificenza di grande ufficiale con le firme di Ciampi e Berlusconi. Si affaccia Tobia, vecchio compagno di notti insonni, e gli mette in mano cento euro. Una voce lo chiama da sotto la finestra e lui cala una cesta di vimini appesa a una corda per tirare su un fascio di carte. Telefona Pupi Avati, più tardi in sala cinema una piccola compagnia di sodali vedrà il nuovo film appena montato e di cui Dalla comporrà la colonna sonora. L´aura è azzurra, come azzurri sono i bordi della sua camicia e i fili dei braccialetti di stoffa che gli stringono il polso destro. «Il turchese è il mio marchio, il mio karma. la pietra che vorrei uscisse da me, anche se il mio colore preferito è il blu».
Dalla ha scritto un libro. Si intitola Gli occhi di Lucio. Lo ha fatto con il fotografo Marco Alemanno, che ora è qui al suo fianco e spiega: «Lavoriamo assieme da quattro anni, ho trovato nei cassetti del computer di Lucio parole bellissime e ho pensato che sarebbe stata una bestemmia perderle». Dalla politica all´amore, da Maradona a Fellini, dai vecchi al dolore. A Dio. Come poteva mancare Dio. C´è un passo stupendo sul buio, il silenzio, una sera a Monte Sant´Angelo, in Puglia, sotto il cielo di Padre Pio: «Sono anni che vengo tra queste terre benedette e uniche. Vengo perché non so o perché non ne posso fare a meno. Credo di aver portato in questo posto decine di persone, tutti amici fidati, dopo essermi fatto promettere il totale mantenimento del segreto e la massima riservatezza e non prima di aver tranquillizzato i più suggestionabili, enfatizzando con parole giuste questo straordinario spettacolo. Ho visto molti di loro piangere e altri addormentarsi alla luce brillica delle stelle e al più impetuoso silenzio mai ascoltato prima».
Gli domando appunto di Dio, se ricorda il giorno in cui lo ha incontrato. Dice: «Forse è lui che ha incontrato me e ne è rimasto colpito. Ho passato la mia infanzia a Manfredonia, Dio l´ho conosciuto lì. Non c´è niente di meno casuale della casualità. Sono sempre stato credente in modo meridionale, il Sud è un monastero misterioso. Ho avuto molte ragioni per credere, non tutte belle. Non seguo le indicazioni della Chiesa, non amo il suo fondamentalismo, ma rispetto la sua ambizione di essere il tramite tra l´uomo e Dio, un paradosso fuori da ogni contesto storico ma per la Chiesa inevitabile. La mia fede è un muscolo, una lotta allegra, una sapienza. A messa mi diverte rispondere al prete semplicemente perché so le preghiere e mi piace dimostrare a me stesso che non ho dimenticato le parole dell´eucarestia».
Si alza dalla poltrona dentro la quale stava sdraiato, si accende una sigaretta, accenna quasi un passo di danza. Ha sessantacinque anni, è diventato finalmente un bambino. «Sono sempre stato vecchio. Già alle elementari ero un anziano. Ho debuttato a Sanremo a vent´anni e i giornali mi definirono "quel simpatico quarantenne". A dire il vero non ho età e non avere età è un vantaggio divinologico. Non gioco più a pallone come giocavo qualche anno fa, ma più va avanti la storia e meglio la si capisce. Leggo di più, comprendo di più. Sono diventato straordinariamente intelligente. C´è una sola domanda alla quale non so rispondere, tu sai quanto dura una gallina…?». Allora è vero che per dire che qualcuno è stato davvero felice bisogna aspettare il suo ultimo giorno? «Forse sì, forse soltanto in fondo alla vita scopri veramente ciò che desideri. La morte è la fine del primo tempo, si esce da una porta e si entra da un´altra. Qualche giorno fa sono stato al funerale di un amico pittore, sono andato via dopo poco. Non credo ai funerali, non credo alla morte».
Mi viene in mente Giovanni Raboni che scriveva: «La vita è la cosa in cui si sta e in cui non si può non continuare a stare anche quando teoricamente la vita finisce». Dalla non vuole finire. Mai. Per questo è andato oltre le canzoni, oltre il suo mestiere. «Non mi cambierei mai, neppure con un angelo. Sono soddisfatto di me, ma non fino alla vanità. Mi diverte giocare con il mio corpo come con la mia anima. Sono così carico di peccati che essi rappresentano da sé la loro propria assoluzione e per quanto riguarda il mio rapporto con il prossimo, perdono prima ancora che mi facciano torto. Guardami, ostento una parrucca che neppure Andy Warhol avrebbe osato. Due giorni fa ho fatto il tagliando da Cesare Ragazzi, ma domani magari abbandono il parrucchino perché mi sarò stancato. Amo, amo molto. All´amore do due aggettivi: globale e trasversale. Non ho timore a parlare di omosessualità, il mio essere contempla il diritto di vivere tutti i modi di vivere. La musica, il cinema, il sesso. Mai pensato di perdermi qualcosa di tutte queste stronzate. Non mi sono mai sentito innamorato, mi sono sempre sentito preso per una persona, mi disturbano la stupidità e la violenza. Sono per la giustizia e l´intelligenza. L´uomo non è razzista, a meno che non lo portino a essere. Io sono sempre stato un estimatore di Federico II che era un paraculo, andava d´accordo con ebrei, cristiani e arabi. Oggi il vero pericolo è il fondamentalismo, se avessimo la vocazione alla semplicità avremmo più facilmente anche la pace».
Adora Bologna e il Bologna, non vuole parlare di Cofferati. Sfiora appena la politica. «In Italia sono troppi quelli che non ragionano. Sono un uomo di sinistra, ma la sinistra italiana deve aggiornare il suo linguaggio e i suoi tempi. La distanza tra la realtà e la politica è enorme, lo rivelano anche le proteste studentesche di queste settimane. I ragazzi delle università sputano addosso ai partiti, che siano di destra o di sinistra non importa. Viviamo rivoluzioni quotidiane, non c´è più il tempo di fare progetti politici. Il potere si è trasformato, è molto più mobile, ci sono network che fanno i piazzisti di illusioni e prodotti. Dieci anni fa ho venduto con Canzone un milione e trecentomila dischi, oggi se ne vendo centomila va già bene. Consiglio ai politici di rivedersi due film, Matrix e Terminator 2, capolavori assoluti. Il mondo che descrivono non è virtuale, i computer hanno deformato il modo di guardare le cose che ci circondano. Da venticinque anni il popolo in questo paese non è più difeso. Nel ´70 la gente era più attenta, davanti aveva il mare, oggi si affaccia su uno stagno. Ho conosciuto Craxi, ma non ho mai votato partito socialista. Berlusconi ha realizzato ciò che Craxi non è riuscito a fare. stato formidabile il Cavaliere. Il mondo di Berlusconi non mi piace, però m´intriga, perché mi affascina il diverso, tutto ciò che è quanto più possibile lontano da me. Mi divertirebbe essere amico suo. Attenzione, non mi sto parando il culo. Dico che vorrei studiarlo per bene, perché bisogna vivisezionare il nemico che ti ha battuto per comprendere i motivi della sconfitta, cazzo. La sinistra non l´ha fatto, si è limitata a dileggiarlo. La sua debolezza è stata essersi sentita più astuta del proprio competitore e culturalmente imparagonabile con la destra, dimenticando per esempio Céline, Ezra Pound, Evola…Ora abbiamo Biondi ministro della Cultura. Mi sembra simpatico, scrive poesie, meglio che andare in piazza a strozzare i piccioni».
sera quando mi accompagna nella stanza del cinema. Siamo in otto. Le luci si spengono. Sullo schermo la Bologna d´antan, un cameriere magro ed elegante attraversa i portici. La voce fuori campo racconta. Lucio sussurra, per non disturbare. «Non so più che cosa sono, sono felice di questa mia conquistata ignoranza. Non conosco la musica, non vado in tv perché non mi lasciano fare quello che voglio io, preferiscono gli scemi che si abbassano fino a sentire la puzza dei piedi. vero, volevo essere un poeta e non lo sono stato. Ma ho incontrato Roberto Roversi, un grandissimo maestro di ottantacinque anni che mi ha cambiato la vita. Da lui ho imparato tutto, anche a essere uomo, un uomo a 320 gradi come gli dico sempre scherzando. Con lui sto preparando un disco che uscirà a gennaio, i suoi testi saranno la parte più bella. Il compito di un poeta è quello di essere mangiato, non di indicare una strada. Ho cantato con De Gregori, con Morandi, ho prodotto Carboni e Bersani, ma credo di non avere insegnato nulla a nessuno. Ho avuto un grande regalo dalla vita, la gioia di lavorare in mezzo alla gente. E mi sono molto, molto divertito». Come quella volta in piazza Venezia a Roma, schiacciato come un gatto contro il minuscolo lunotto posteriore di una Porsche gialla. Al volante c´è il solito Tobia. Dalla fa le facce agli altri automobilisti. A un tratto si accosta loro un´ammiraglia Lancia, l´uomo che li guarda stupefatto è Gianni Agnelli. Tobia tira giù il finestrino e gli fa: «Certo che hai visto un bel mondo te».