Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  ottobre 26 Domenica calendario

GIAN PAOLO SERINO

«Per tirare avanti con la penna bisogna consumarsi, appartarsi, macerarsi. Il midollo spinale e il cervello, a certi momenti, sono quelli di un cavallo stanco, che si butta a terra al margine della strada». Così scrive Carlo Emilio Gadda in una delle lettere inedite che qui presentiamo per la prima volta e che, mai pubblicate sino ad oggi, dimostrano la personale "cognizione del dolore" del grande scrittore.
L´autore che più di ogni altro ha contribuito a rinnovare la letteratura italiana del Novecento, attraverso il geniale stravolgimento delle strutture narrative tradizionali, in queste lettere racconta le piccole e grandi manie che lo hanno sempre tormentato sin dall´infanzia, il profondo disagio che non lo ha mai abbandonato, la solitudine di chi ha compreso con anticipo tremendo gli ingranaggi di una macchina editoriale e commerciale che riduce l´arte a «mestiere di scrivere».
Sono tutte lettere che appartengono al periodo romano tra il 1958 e il 1961: i quattro anni successivi al clamoroso successo di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, pubblicato in volume per la prima volta nel 1957. Le lettere appartengono all´archivio privato del poeta e saggista Federico Roncoroni che, malgrado le molte richieste degli editori di Gadda, sino ad oggi non ne aveva mai concesso la pubblicazione. Si tratta di ottanta lettere - qui ne presentiamo alcuni passaggi tratti da dodici, mentre dal 7 novembre nelle librerie la free press letteraria Satisfiction ne presenterà altre sei - che Roncoroni ebbe in dono dal nipote di Gadda, Emilio Fornasini.
«Per una di quelle strane congiunture della vita», spiega Roncoroni, «i due erano coetanei. Tra zio e nipote intercorrevano solo pochi mesi di differenza, nati entrambi nel 1896, insieme avevano trascorso l´infanzia e l´adolescenza, specialmente nella villa a Longone, in Brianza, e negli anni successivi avevano condotto per un lungo tratto una vita parallela». Entrambi si iscrissero al Politecnico di Milano: Emilio ad architettura, Carlo Emilio, suo malgrado, a ingegneria. Nel pieno della battaglia per l´ingresso dell´Italia in guerra, da studenti, scrissero insieme una lettera interventista al Popolo d´Italia e una a Gabriele D´Annunzio. Poi, all´indomani della guerra e del ritorno di Gadda dalla prigionia, i rapporti tra i due si diradarono sino ad interrompersi. A tentare di riprendere il dialogo fu Anita, la moglie di Emilio Fornasini, che prese a scrivere allo zio con grande frequenza. Rare le risposte di Gadda i cui manoscritti originali sono oggi di proprietà di Roncoroni che li ebbe in dono proprio da Emilio Fornasini.
«Me le regalò», racconta Roncoroni, «perché voleva che le pubblicassi facendo comprendere ai lettori "la pochezza umana" dello zio. Me ne sono sempre guardato bene. Perché queste lettere sono dei piccoli gioielli. Certo tracciano un quadro desolato della vita di Gadda ma sono scritte come solo Gadda sa scrivere: intarsiando la lingua con i dialetti, mescolando i registri linguistici e dando corpo a metafore imprevedibili».
E il Gadda che ritroviamo nel carteggio è un intellettuale quasi disperato ma di una lucidità impressionante: si lamenta della sua salute, del lavoro e degli «pseudo-letterati» che gli ronzano intorno e che trovano sempre il modo di guadagnare più di lui. Soprattutto si scaglia contro gli «editori che mi stanno con il fucile puntato addosso» e si lamenta della noia di una fama letteraria che l´ha deluso. Perché, dopo la pubblicazione del Pasticciaccio, quel successo che tanto cercava è arrivato ma lo «schiaccia sotto il carico di banchetti, brindisi, feste mondane, premi letterari vinti e non vinti». Come lui stesso scrive ad Anita il 20 dicembre 1961, non ce la fa più: «En podi pü, anzi en poss pü come dicono i contadini del suburbio, scarsi della grammatica classica. Due cose soprattutto mi disturbano: gli obblighi mondani e la relativa prammatica dei convenevoli: il dover dare spiegazioni e quasi giustificazioni a persone (dive, critici, e altri somari e somaresse) della mia nessuna voglia di occuparmi di loro».