Edoardo Segantini, Corriere della Sera 25/10/2008, 25 ottobre 2008
L a crisi economica globale arriva in tavola. Il prezzo della pasta aumenta malgrado la materia prima stia scendendo da mesi
L a crisi economica globale arriva in tavola. Il prezzo della pasta aumenta malgrado la materia prima stia scendendo da mesi. Secondo una rilevazione fatta da Altroconsumo per il Corriere della Sera nei principali supermercati, il mezzo chilo passa dai 75 centesimi di gennaio agli 85 di aprile ai 92 di oggi. Un balzo di oltre il 20% a fronte di una diminuzione della materia prima, il frumento duro, di quasi il 50%: da 47 a 25 centesimi al chilo. Il 20% è l’incremento medio gennaio-ottobre. Tra aprile e ottobre l’aumento è stato del 9%. Se si guarda com’è composto si nota che, accanto ad alcuni casi di riduzione (Auchan, Garofalo, Granoro, ma soprattutto Carrefour e Lidl), sono aumentate di più le grandi marche leader come Barilla e De Cecco, del 13 e dell’11%. «Quello che più colpisce è l’omogeneità degli aumenti - dice Michele Cavuoti di Altroconsumo - : nella stragrande maggioranza dei punti vendita, piccoli o grandi, il prezzo Barilla è fissato a 0,88 euro e quello De Cecco a 1,19, mentre sei mesi fa avevamo rilevato una variabilità molto maggiore. Evidentemente i big hanno deciso di allineare i prezzi al livello più alto, anche rischiando di perdere quote a favore dei marchi dei supermercati e dei discount». Come si difendono i pastai? In nessun modo, almeno ufficialmente, perché attendono l’esito dell’istruttoria Antitrust, che si concluderà il 30 novembre. Gli uffici del presidente Antonio Catricalà dovranno stabilire se gli aumenti decisi dalle due associazioni di categoria Unipi e FederAlimentare «in modo omogeneo sul territorio nazionale» possano violare la concorrenza. In modo informale però le aziende fanno presente che i ritocchi ai listini seguono un lungo periodo - dal 1995 al 2007 - in cui i prezzi della pasta sono aumentati solo del 9% rispetto a un’inflazione cresciuta del 32%. Aggiungono che l’attuale quotazione della materia prima, dimezzata negli ultimi nove mesi, è pur sempre il doppio di quella del 2006. E affermano che i consumi di pasta - un alimento indiscutibilmente buono, sano ed economico - sono tornati a crescere in Italia, anche se solo del 2% nei primi 8 mesi del 2008, dopo 15 anni di stagnazione. Accanto a produttori leader come Barilla - un’azienda che in questi anni ha guadagnato efficienza e conquistato il mercato americano - il settore ha conosciuto grandi difficoltà: basti pensare che i 240 pastifici del 1980 si sono ridotti oggi a 130. Più in particolare gli industriali sostengono che se invece di considerare il periodo aprile-ottobre 2008 si prende un periodo più lungo - tra giugno 2007 e settembre 2008 - si vede che il prezzo all’origine della materia prima è aumentato del 53%. « vero - dice Altroconsumo - ma anche in quel caso, considerando l’incidenza reale della materia prima sul prezzo finale, il listino del leader di mercato avrebbe dovuto salire a 0,65 euro, non a 0,88. Quelle 400 lire in più proprio non si spiegano ». E soprattutto non si spiega perché l’industria aumenti i prezzi nel momento in cui la materia prima scende. Per rispondere proviamo a ripercorrere il cammino di uno spaghetto dal chicco di grano al nostro piatto. Punto di partenza è il campo del contadino. La Puglia è la regione leader per il frumento duro e a Foggia ha sede la Borsa del grano: non a caso è lì che i coltivatori stanno protestando contro l’importazione di grano estero. «I nostri granai sono pieni - lamenta il presidente della Coldiretti Sergio Marini - e la discesa del prezzo danneggia l’economia agricola». Dal campo il grano passa al silos di stoccaggio e successivamente al mulino. La semola va in fabbrica ed è trasformata in pasta nelle mille varietà di formato che tutti conosciamo. Da lì infine, impacchettato e reclamizzato a dovere, lo spaghetto arriva ai negozi, ai supermercati e alle case. Il passaggio dai produttori alla grande distribuzione avviene di solito in modo conflittuale, in un eterno duello che ha come posta in gioco la definizione del prezzo, che entrambi i contendenti vogliono vantaggioso e coerente con le rispettive politiche commerciali. Se questo in breve è il percorso dello spaghetto, che cosa ha fatto lievitare il prezzo e ora lo tiene alto? probabile che abbiano contribuito la finanza, oggi sotto accusa in tutto il mondo, e qualche speculazione di troppo. Lo strumento principe della finanza è stato il «future», contratto a termine con cui l’azienda s’impegna a comprare sul mercato internazionale un certo quantitativo di grano a un certo prezzo a una certa data. Se nel tempo che passa tra la sottoscrizione del contratto e l’acquisto il prezzo scende, l’acquirente deve comunque pagare, talvolta subendo forti perdite. La più forte discesa del frumento è stata registrata nel giugno scorso, quando il prezzo è calato da 0,40 a 0,34 euro al chilo. Giugno è stato il mese del raccolto, quest’anno molto abbondante. possibile che in quei giorni chi aveva messo da parte grandi quantità di grano in epoca di prezzi alti le abbia riversate sul mercato, anche per evitare il deterioramento. «Ed è proprio questa l’ipotesi che potrebbe spiegare - secondo Marini perché oggi i produttori, se hanno comprato il grano a prezzi alti, magari temendo penuria di materia prima, non abbassano i prezzi finali». «Il made in Italy della pasta - dice un operatore della grande distribuzione - sta perdendo quote di mercato a scapito dei cosiddetti secondi marchi: cioè sia le "insegne" (per esempio la pasta venduta con il marchio Coop, ndr) sia i "primi prezzi" (tipo Fidel di Esselunga, ndr). Se potessero avrebbero tutto l’interesse a ridurre il listino». Una spiegazione di segno opposto è che dopo aver fatto decollare i listini le aziende non sono più disponibili a ridurli. L’aumento è l’occasione per riposizionare i prezzi in un momento favorevole: quello in cui le famiglie tirano la cinghia, ma un buon piatto di pasta, che ha pure virtù dietetiche, nessuno lo lascia. Anzi, semmai raddoppia. Edoardo Segantini esegantini@corriere.it ’Antitrust sta indagando per stabilire se le associazioni dei produttori di pasta abbiano costituito un cartello dei prezzi violando le regole sulla concorrenza, ma sono poi le stesse organizzazioni dei consumatori a riconoscere che le famiglie italiane hanno tutte le possibilità di scegliere prodotti meno cari ed ugualmente buoni. Se concentriamo la lente sul rapporto prezzo- qualità, possiamo avere gradevoli sorprese. Un recente test di Altroconsumo, che ha esaminato 28 marche di pasta, sostiene che alcuni prodotti denominati di «primo prezzo», come il marchio Fidel di Esselunga, reggono benissimo il confronto con nomi molto più blasonati, come De Cecco, Antonio Amato, Voiello o Divella. Se dalla «prova del cuoco» si passa a quella del laboratorio, si ha la conferma che la pasta prodotta in Italia, in generale, è di ottima qualità. Innanzitutto, in base alla legge, viene prodotta solo con grano duro, che garantisce la tipica cottura al dente. Quest’obbligo non c’è in altri Paesi, dove invece si usa anche il grano tenero, considerato più adatto per fare il pane e i prodotti da forno. La varietà della pasta è smisurata: spaghetti, penne, tagliatelle, ma anche formati più stravaganti come amorini, mafaldine, ruote, gomiti e pernicette. E poi paste dietetiche per diabetici, celiaci e malati di cuore. Un’informazione che spesso manca sulle confezioni della pasta (e che la legge peraltro non richiede) è la data di produzione. Non tutti poi si prendono la briga di specificare gli ingredienti: peraltro elementari, acqua e semola di grano duro. Più di metà dei prodotti esaminati nel test di Altroconsumo riceve un giudizio ottimo sul contenuto di proteine: più alto è, migliore è la cottura e minore la collosità. Se dal rapporto prezzo-qualità passiamo al portafoglio e alla carta geografica, vediamo che il consumatore ha tante più chance di risparmio nelle città in cui più forte è la concorrenza tra catene distributive. Da questo punto di vista la città più conveniente d’Italia è senza dubbio Firenze, dove si scontrano colossi del calibro dell’Esselunga di Bernardo Caprotti, la Coop e l’Ipercoop. E dove una famiglia può risparmiare fino a 1.500 euro l’anno sul costo della spesa rispetto alla media nazionale. Seguono a ruota, grazie alla stessa, forte competizione, Pisa, Verona e La Spezia. Tra le grandi città la migliore è Milano. Cara a prima vista ma dove, cercando bene, si trova più convenienza che altrove. Mentre la prima città meridionale per i consumatori è Bari, comunque con prezzi più alti del 22% rispetto a Firenze. Carissima infine Palermo, dove mezzo chilo di pasta può costare fino al 30% di più che a Milano. E.Se. Il prezzo del frumento duro è aumentato da 166 euro a tonnellata, il dato medio dell’anno 2006, a 184 nel gennaio 2007 fino a un massimo di 494,15 nel febbraio 2008 per scendere a 288,10 il mese scorso. Gli aumenti del prezzo della pasta, oggetto della polemica tra Coldiretti e produttori e dell’istruttoria dell’Antitrust, sono in qualche modo collegati alle turbolenze globali. «Siamo entrati in una fase di forte instabilità nella quotazione delle materie prime - dice Renato Pieri, direttore dell’Alta scuola di economia agro-alimentare dell’Università Cattolica - . Le cui ragioni vanno ricercate nei cambiamenti della politica agricola europea, nelle scelte energetiche e nello scenario economico internazionale ». La nuova politica agricola comunitaria, più nota come Pac, ha cambiato la filosofia dell’intervento comunitario. Fino al 1998, e per quarant’anni, la scelta è stata quella di sostenere i produttori del Vecchio Continente tenendo i prezzi delle materie prime alti e stabili. I prodotti in eccesso venivano svenduti o distrutti. Chi non ricorda lo spettacolo della frutta schiacciata dai Katerpillar? O il burro regalato ai russi a 200 lire il chilo? Con gli accordi Gatt si è cambiato gioco e si è deciso di liberalizzare il mercato. Le sovvenzioni ai produttori sono state ridotte e le aziende agricole aiutate a ristrutturarsi. la politica nota come «disaccoppiamento », che durerà fino al 2014. Risultato: oggi comandano i mercati, con tutto ciò che questo comporta in termini di rischi e di opportunità. «L’anno di svolta è stato il 2007 - dice Pieri - con il boom del prezzo del grano. In Cina e in India è esplosa la domanda di beni alimentari: l’aumento di reddito è andato quasi tutto in richiesta di cibo. E non nel solito riso, ma in carne, latte, verdura. La domanda di prodotti lattiero-caseari è aumentata dell’8,5% contro una crescita economica del 10%. decollata anche la richiesta di alimenti per nutrire gli animali. E, infine, è cresciuta la domanda di cereali da destinare alla produzione di etanolo. Davanti a un triplo boom di queste dimensioni l’offerta non riesce ad adeguarsi». La situazione è aggravata dal fatto che in certi Paesi, come l’Argentina, i governi hanno tassato le esportazioni per ridurre i prezzi sul mercato nazionale e addirittura tentato di bloccare le importazioni: con il risultato di deprimere ancor più l’offerta interna. «Il risultato di tutto questo - conclude Pieri - sono prezzi delle materie prime agricole in altalena ma tendenzialmente in aumento nel lungo termine. La misura degli incrementi dipenderà molto dall’andamento dell’economia e dalle scelte di politica energetica che verranno adottate ». E.Se.