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 2008  ottobre 19 Domenica calendario

Book rewiew del New York Times, domenica 19 ottobre 2008 Tra le numerose meraviglie gastronomiche descritte in ”Sicilian Tragedi”, il nuovo irriverente e divertentissimo romanzo di Ottavio Cappellani, la più memorabile è certamente il ripiddu nivicatu

Book rewiew del New York Times, domenica 19 ottobre 2008 Tra le numerose meraviglie gastronomiche descritte in ”Sicilian Tragedi”, il nuovo irriverente e divertentissimo romanzo di Ottavio Cappellani, la più memorabile è certamente il ripiddu nivicatu. Questa specialità catanese è tanto un trompe l’oeil quanto un primo piatto: ”riso al nero di seppia impilato come un vulcano con una spruzzata di salsa rossa per la lava e una massa di crema sulla cima per la neve”. Il piato potrebbe essere un emblema di Catania, la città in cui si svolge il romanzo, una città dove le trattorie mostrano in vetrina dipinti a olio che hanno ”una certa sproporzione nelle dimensioni: l’Etna, sullo sfondo, appare sempre troppo o troppo piccolo rispetto al muggine piazzato sul banco dei pescivendoli”. L’espressione ”sproporzione nelle dimensioni” caratterizza perfettamente l’approccio di Cappellani. ”SicilianTragedi” è allo stesso tempo un peana e una satira, che celebra le glorie di Catania smascherando la vanità e la corruzione dei suoi cittadini. ”Come la scena del ballo ne ”Il gattopardo’, ma ancora di più”, come dice uno dei tanti funzionari culturali che popolano il romanzo ai suoi lacchè che devono allestire un grande ricevimento a Palazzo Biscari. Nella scena successvia, nella quale Cappellani dà prova del suo virtuosismo letterario, il ripiddu nivicatu appare non soltanto come portata principale del buffet ma anche come metafora del trucco di una anziana e irascibile contessa. La trama di ”Sicilian Tragedi” ruota attorno a un’eccentrica produzione teatrale. Ispirato dal suo nuovo amore per un commesso chiamato Bobo, il direttore d’avanguardia Tino Cagnotto concepisce l’idea di allestire una versione di ”Romeo e Giulietta” che riporta il testo alle sue origini di teatro della strada. ”Per chi scriveva Shakespeare?”, si domanda Cagnotto; ”per le puttane, i ladri e i delinquenti”. A questo scopo, per la parte di Giulietta prende la famosa Rosanna Lambertini (’sembra la madre di Paris Hilton, Dio benedica tutta la famiglia”) e, per quella di Romeo e Mercurio, ”due pilastri del teatro dialettale di Catania”, Cosentino e Caporeale, nessuno dei quali è esattamente nella prima giovinezza. Interpretando alcuni dialoghi per enfatizzarne il suo sconcio sottotesto, Cagnotto spera di lasciare il proprio segno artistico e, in questo modo, di eternare la sua passione per Bobo. Sfortunatamente, il piano di Cagnotto va all’aria, soprattutto perché, durante le prove, il giovane mafioso Alfio Turrisi recita la propria versione siciliana di ”Romeo e Giulietta” con Betty, la figlia di un mafioso rivale, Turi Pirrotta. Sebbene scritto nella forma di un romanzo e con il teatro come suo tema, ”Sicilian Tragedi” evoca, più di ogni altra forma letteraria, il cinema. In parte, questo deriva dallo stile della prosa di Cappellani. Il quale scrive quasi sempre al tempo presente, passa rapidamente da una prospettiva visuale all’altra e divide ognuno dei suoi tre ”atti” in scene di taglio tipicamente cinematografico. Talvolta l’effetto è fastidioso, soprattutto verso il centro del romanzo e nella descrizione della rappresentazione di ”Romeo e Giulietta”, in cui la narrazione si riduce a un semplice copione. In generale, tuttavia, la tecnica di Cappellani è perfetta per il suo materiale. Così, che dire se i suoi personaggi (la maggior parte dei quale sono di un’esilarante disgustosità) sono tratteggiati con ampie e persino grossolane pennellate? Basta immaginarseli recitate da qualche stella dei tempi d’oro di Cinecittà (Vittorio Gassman per la parte di Turrisi e Gina Lollobrigida per quella di Betty), che immediatamente appaiono più sfumati. E che materiale che gli fornisce Cappellani! Sdraiata nella sua Mercedes per non farsi vedere, l’incredibilmente stupida Betty che, pur essendole stato assicurato che i finestrini della macchina sono scuri, replica che la cosa è impossibile perché altrimenti anche lei non potrebbe vedere niente. ”Ma non lo sanno che non facciamo più omicidi?”, domanda un vecchissimo e decrepito Don al suo vice quando gli viene detto che le bande di Pirrotta e Turrisi hanno iniziato a spararsi addosso. In questi, come in molti altri passi, lo stile di Cappellani oscilla tra un’esposizione raffinata e un gergo pieno di oscenità, descrivendo un paesaggio in cui le antiche tradizioni, anziché essere cancellate dalle forze della globalizzazione, riescono a inglobare anche queste. In effetti, è proprio nel suo ritratto di una Sicilia del XXI secolo, sulle cui strette strade si rincorrono carretti trainati da asini e sfavillanti macchine sportive e in cui ognuno possiede un telefono cellulare, che Cappellani dà il meglio. Così, vediamo innumerevoli funzionari culturali che promuovono festival gastronomici per i turisti e lottano per ottenere la proiezione di ”Ocean’s Thirteen” nella loro città natale. L’autista e accompagnatore di Betty è un omosessuale chiamato Carmine, a propostio del quale la stessa Betty dice: ”E’ bello avere un omosessuale come accompagnatore; in America ce l’hanno: non le vedete le sitcom?”. A un party serale viene allestito un ”angolo yoga” dove le mogli dei mafiosi possono provare a entrare in contatto con il proprio ”centro vitale”. Però, quando scrive un pizzino a Pirrotta, Turrisi ritorno all’antiquato stile dei suoi nonni e bisnonni: ”Le mie scuse più sincere per avervi interrotto nella vostra rispettabile tranquillità domestica benedetta dal Signore e dai Sacri Vincoli della Famiglia”. Gli interessi della Mafia possono essere passati dal cemento alle banche inglesi e al petrolio, ma questo non impedisce ai mafiosi di continuare a onorare il protocollo o di commemorare l’unione delle due famiglie con un rituale scambio di sangue”. Anche se abbonda di riferimenti al Gattopardo di Lampedusa e alle opere di Shakespeare, ”Sicilian Tragedi” fa venire in mente soprattutto un grande film degli anni sessanta: ”Divorzio all’italiana”, di Pietro Germi. Dai contrasti tra la sacrosanta tradizione e un mondo che cambia, Cappellani, esattamente come Germi, crea una commedia divertente e piena di ritmo, con una punta di amaro. Soltanto dopo aver smesso di ridere si inizia a sentire l’odore della polvere da sparo. David Leavitt (traduzione di Aldo Piccato)