Guido Martinotti, La Stampa 24/10/2008, 24 ottobre 2008
Prevedibilmente, la faccenda del grembiulino e della maestra ha aperto le cataratte del peggiore deamicisismo nazionale
Prevedibilmente, la faccenda del grembiulino e della maestra ha aperto le cataratte del peggiore deamicisismo nazionale. I ricordi di attempati letterati sono sgorgati come le lacrime di Gentile che, secondo Croce, leggendo Madame Bovary, piangeva come «na sartulella». Vorrei contribuire a spostare l’attenzione dalla nostalgia all’analisi, partendo dalla realistica constatazione che la scuola di oggi non potrà mai essere capita se continuiamo a guardare indietro alle rondini (e agli Spitfires della Raf) che sfrecciavano davanti alle finestre delle aule della mia generazione. Propongo di considerare invece alcuni fatti reali che contribuiscono ai problemi attuali. Il primo è il rapporto tra le conoscenze trasmesse a scuola e quelle apprese fuori. La scuola pubblica è nata come istituzione quasi monopolistica del sapere in una società «information poor». Oggi la situazione è rovesciata: la scuola opera in una società «information dense» e le conoscenze che dispensa sono spesso arretrate rispetto a quelle che gli studenti e le loro famiglie ricevono in quantità da altre fonti. Ciò ha conseguenze devastanti su tutto il sistema. Per dirne una di rilevanza attualissima: l’autorità degli insegnanti. Nella stragrande maggioranza delle scuole elementari d’antan le scolaresche non erano meno criminali di quelle di cui ci si lamenta oggi, ma se volava qualche sberla (e altro; posso testimoniare anche di un calamaio) il delinquentello sapeva che a casa avrebbe ricevuto una dose aggiuntiva. Non rimpiango: segno a cronaca. Oggi la scuola sembra sempre arrancare dietro conoscenze che vengono da fonti spesso assai più competenti e abili nella presentazione del migliore dei docenti. Le famiglie si convincono facilmente di saperne di più, loro e la prole, del povero insegnante. Non è così, anzi, il più delle volte, l’informazione mediatica produce solo «false beginners», coloro che, per esempio, masticando qualcosa di inglese, credono di saperlo e hanno quindi molto maggiori difficoltà ad apprenderlo correttamente di chi è un vero principiante. Gli insegnanti fanno fatica doppia a gratificazione dimezzata, non sorprende perciò l’elevatissimo tasso di «burn out» (docenti «scoppiati») tra i professori - e uso i termini inglesi non per vezzo, ma per segnalare che si tratta di problemi generali che hanno poco a che vedere con i fannulloni o il lassismo di casa nostra. Due. La scuola tradizionale aveva il compito di formare una coscienza nazionale tramite la storia patria. Oggi questa funzione è difficilmente praticabile: ci mettiamo a insegnare ai giovani che Francesi, Inglesi, Tedeschi o altro sono gli odiati nemici? In più la scuola italiana ha il problema aggiuntivo che dal Risorgimento in poi, a dire il meno, l’unità nazionale è contestata e manca così un riferimento unitario, per trovare il quale si deve risalire fino ai romani antichi. Tre. Lo smisurato ampliamento delle conoscenze. Ai tempi del grembiulino e del pennino le storie di altri popoli non si studiavano. Si studiava, male, la storia italiana in quasi totale isolamento. Oggi la cultura si è aperta al mondo e questa estensione delle conoscenze si è ripercossa sulle dimensioni dei testi e degli zainetti. La nostra politica ha subito trovato la soluzione del cretino di genio: le storie «altre» sono state eliminate e i libri sono ritornati smilzi. Sono arrivati, invece, sui banchi, in carne e ossa, gli eredi di queste storie e la politica italiana non trova di meglio che metterli nell’angolo, sperando forse che con il tempo scompaiano. I giovani, infine, sono immersi nelle tecnologie digitali, ma sono costretti ad abbandonarle alle porte della scuola, che appare così ai loro occhi ancor più polverosa, povera e arretrata. Ci avevano promesso «Inglese, Internet e Intelligenza». Qualcuno ha sicuramente venduto un po’ di macchine, ma invece dell’intelligenza è arrivato il ministro Gelmini con il 7 in condotta. E noi siamo ancora lì a discutere del grembiulino e a versare la lacrimuccia sulla maestrina dai capelli rossi. Ma ci pare di essere credibili ai giovani che vanno a scuola? Ignorare questi cambiamenti o pretendere di risolverli con categorie come fannulloni, lassismo, 7 in condotta e grembiulino, o con i ricordi dei letterati, è un po’ come presentarsi alle riunioni del Fondo Monetario Internazionale con le banconote del Monopoli. Istituto Italiano di Scienze Umane, Sum, di Firenze Stampa Articolo