Claudio Gallo, La Stampa 24/10/2008, 24 ottobre 2008
Da ambigua retrovia della guerra al terrore, il Pakistan sta scivolando in un mix di instabilità e conflitto permanente che riflette, come in un gioco di specchi, il disastro afghano e quello iracheno insieme, mentre la crisi economica si ingoia i depositi delle banche
Da ambigua retrovia della guerra al terrore, il Pakistan sta scivolando in un mix di instabilità e conflitto permanente che riflette, come in un gioco di specchi, il disastro afghano e quello iracheno insieme, mentre la crisi economica si ingoia i depositi delle banche. Pare che in questi giorni al SOCOM, il Comando americano per le operazioni speciali in Florida, ripassino compulsivamente i dettagli del piano di emergenza per mettere al sicuro, in caso di tracollo, le prime e per ora uniche testate nucleari di un paese islamico. In questo clima, l’ultima trovata di Mister 10 per cento, come i detrattori chiamano il presidente Zardari, malignando sul suo appetito per le mazzette, è di ingaggiare le milizie tribali del Nord-Ovest nella guerra contro Al Qaeda. E’ il modello che l’ex comandante americano in Iraq, David Petraeus ha applicato con apparente successo nel triangolo sunnita iracheno. Con un modesto investimento, le milizie fanno il lavoro dei soldati che così possono essere impiegati su altri fronti. Il vantaggio è che un miliziano costa infinitamente meno di un militare e in caso di morte non finisce sui giornali né nel conto delle perdite. Lo svantaggio è che non si è mai sicuri che i fucili forniti ai «freedom fighter» di turno non saranno un giorno puntati contro i propri soldati. Petraues, che ha fatto carriera, arriverà il 2 novembre a Islamabad con le nuove mostrine da capo del Comando Centrale a riproporre il suo piatto forte iracheno. Mentre le milizie tribali, circa 14 mila «lashkar», sono in attesa di ricevere i Kalashnikov che la Cina ha appena promesso a Zardari, un drone americano, un aereo telecomandato, ha centrato con un paio di missili una scuola nel Nord Waziristan, uccidendo almeno otto studenti. L’attacco è avuto in piena area tribale; a pochi chilometri in linea d’aria, il Sud Waziristan potrebbe ospitare Osama bin Laden e il suo vicepresidente Ayman Al Zawahiri. Gli americani tacciono su questo genere di azioni ma sembra che i missili cercassero la testa del comandante taleban Jalaladin Haqqani (malatissimo, anzi per qualcuno già morto) o di suo figlio Sirajuddin. La prudentissima Bbc che fa precedere ad ogni blitz missilistico americano l’aggettivo «suspect», conta almeno 80 morti nell’ultimo mese a causa di questo tipo di attacchi che imbestialiscono l’opinione pubblica pachistana e buona parte dell’esercito. Le difficoltà della coalizione occidentale in Afghanistan attraversano il confine come onde sismiche: il Pakistan si trova, suo malgrado, sempre più coinvolto in una guerra al terrore che almeno metà della popolazione combatterebbe volentieri dall’altra parte. Syad Saleem Sahzad, ha appena svelato su «Asia Time Online», che Islamabad ha ottenuto una commissione per costruire mille Humvee, il muscoloso successore della Jeep e che gli americani stanno costruendo una grande base militare a Tarbella, venti chilometri da Islamabad. Il campo dovrebbe servire per addestrare l’esercito pakistano ma, scrive Shakzad: «Il sospetto è che la struttura possa servire per operazioni americane in Pakistan e Afghanistan». Che sia vero oppure no, in questo momento un sospetto è già una miccia accesa. Paradossalmente, i Kalashnikov promessi dai cinesi sono l’ultimo simbolo del fallimento di Zardari, un presidente che occupa la poltrona destinata a sua moglie Benazir Bhutto, uccisa in un attentato. A Pechino Zardari era andato a chiedere soldi, non mitragliatori. L’inflazione è al 25 per cento, l’indice di Borsa è sceso da gennaio del 35 per cento. Le riserve di valuta della banca centrale sono precipitate a 4 miliardi di dollari, abbastanza per pagare due mesi di petrolio e importazioni. La scarsità di elettricità ha raggiunto le famiglie della classe media nelle grandi città, dove per 12 ore su 24 la luce arriva un’ora sì e una no. I prezzi del cibo sono diventati proibitivi, una parte della popolazione non può più permettersi la farina. Anche i 7 miliardi di dollari l’anno che arrivano dagli emigrati sono destinati a diminuire a causa della crisi globale. Ricordando che nel ”96 i cinesi avevano staccato un assegno di 500 milioni di dollari per aiutare il Paese in ginocchio, il Presidente si era presentato fiducioso davanti ai vecchi alleati. Per dirla con le parole di Sakib Sherani, banchiere e consigliere economico del governo: «Ci basterebbero 3-4 miliardi di dollari, per ripristinare la fiducia del mercato». Ma si valuta che per raddrizzare veramente l’economia servirebbero 10-15 miliardi. I cinesi hanno promesso aiuti per costruire due impianti nucleari ma niente soldi. Riluttante e recalcitrante, Islamabad è costretta a prendere in considerazione quello che fino a ieri era chiamato «piano C» (come dire: figuriamoci) e rivolgersi al Fondo Monetario. I colloqui con il Fmi, si sono iniziati ieri a Dubai. Prima di sprofondare nell’insolvenza, i diplomatici pachistani non mancheranno di ricordare agli uomini di Strauss-Kahn che lasciare affogare un Paese in prima linea nella lotta al terrore sarebbe troppo rischioso.