Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 23/10/2008, 23 ottobre 2008
Almeno in alcuni reparti del carcere di San Vittore a Milano e della casa circondariale di Monza «le condizioni igieniche e di vivibilità », documentate da due rapporti riservati dell’Asl, «sono pessime» al punto tale da violare «l’articolo 32 della Costituzione che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività », e l’articolo 27 per il quale «in nessun caso » la legge può determinare come pene «trattamenti contrari al senso di umanità»
Almeno in alcuni reparti del carcere di San Vittore a Milano e della casa circondariale di Monza «le condizioni igieniche e di vivibilità », documentate da due rapporti riservati dell’Asl, «sono pessime» al punto tale da violare «l’articolo 32 della Costituzione che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività », e l’articolo 27 per il quale «in nessun caso » la legge può determinare come pene «trattamenti contrari al senso di umanità». E poiché queste condizioni di invivibilità sono «non rimediabili con l’indiscusso impegno del personale», il neopresidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Pasquale Nobile De Santis, ricorre a una norma dell’ordinamento penitenziario del 1975, e cioè all’articolo 69, per rappresentare per iscritto e direttamente al Guardasigilli Angelino Alfano una necessità da ultima spiaggia: «Assoluta l’esigenza che vengano a cessare le suddette modalità di esecuzione della pena e di custodia dei detenuti». Come dire: che vi sia da dare finalmente corso alle ristrutturazioni di padiglioni in attesa di lavori finanziati o da sgomberare questo o quel raggio trasferendo altrove i detenuti che vi sono pigiati, almeno in alcuni reparti di queste due carceri la legge è violata, non si può continuare a far finta di non vedere che sia così, e soprattutto non si può continuare a far espiare in questo modo la pena. L’iniziativa di Nobile De Santis, ex presidente di una sezione del dibattimento penale, da pochi mesi al timone del Tribunale di Sorveglianza che da Milano ha la responsabilità (anche sotto il profilo delle condizioni di vita) sugli 8.311 reclusi in 12 carceri lombarde, nasce da un giro che il neodirigente ha cominciato a fare in estate, e intende via via proseguire, nei vari penitenziari. Di fronte alle prime impressioni, ben note a tutti gli operatori del settore di solito però assuefatti a una litania di doglianze che periodicamente si ripetono spesso senza ascolto e quasi sempre senza costrutto, Nobile De Santis ha chiesto all’Asl una più dettagliata documentazione sul campo. E l’esito è stato per certi versi choc. A Busto Arsizio, a Varese, a Monza, e a Milano- San Vittore (dove l’altro giorno la Direzione ha contato 1.424 detenuti nello spazio che al massimo ne potrebbe contenere 900) non vengono segnalate soltanto le «gravi disfunzioni» collegate al «superamento anche ampio» sia della capienza regolamentare sia perfino «della capienza tollerabile»: convenzione burocratica per la quale, sebbene in Italia i posti regolamentari nel totale delle 205 carceri siano 43.084, si ritengono «tollerabili» (da chi legifera sulle carceri, non da chi vi è detenuto) fino a 63.544 presenze (e il bello è che a fine 2007 anche i posti effettivamente disponibili erano in realtà molti meno, e cioè 37.748). Data dunque quasi per scontata una dose standard di sovraffollamento, il Dipartimento di Prevenzione dell’Asl indica però anche due situazioni di particolare criticità. A Monza per «infiltrazioni d’acqua », e più ancora per la «presenza di scarafaggi» nelle celle dove «1 detenuto su 3 dorme su materassi direttamente adagiati sul pavimento», cioè proprio su quella terra solcata dagli insetti che - ricorda l’Asl - possono «fungere da veicolo per parassiti e agenti patogeni pericolosi per l’uomo». A San Vittore, invece, la situazione è molto differenziata. Nei reparti terzo (detenuti lavoranti) e quinto (nuovi arrivati), che sono stati ristrutturati, le condizioni sono «molto buone» sia nelle celle sia negli spazi comuni. Ma altri due reparti, il secondo e il quarto, sono chiusi senza prospettive d’inizio dei lavori, né come date né come finanziamenti deliberati. E, di conseguenza, il sovraffollamento si scarica altrove, soprattutto sul sesto raggio, «prevalentemente » occupato da extracomunitari, dove l’Asl descrive «nei casi più gravi» una situazione a tratti surreale: «celle di 3 metri per 2 metri con doppio letto a castello a tre piani», sicché le 6 persone detenute «non possono stare contemporaneamente tutte in piedi» perché non c’è lo spazio fisico per stare in piedi tutti insieme, e qualcuno a turno deve sempre restare appollaiato nel suo letto a castello per far muovere due passi (letteralmente) ai compagni di cella. Inoltre, sempre in base ai due rapporti dell’Asl posti alla valutazione anche della Regione Lombardia e del Ministero della Salute, «i servizi igienici sono inadeguati», «le docce sono insufficienti per un uso quotidiano per tutti», «nessuno spazio esiste per la socialità». Rispetto a queste punte di criticità, per i miracoli delle Direzioni e dei 700 agenti di custodia (altri 200 sono assorbiti dalle traduzioni) non c’è più spazio: fanno e hanno già fatto (come d’estate l’autoclave recuperata per sopperire a un picco di carenza d’acqua in pieno agosto) tutti i miracoli possibili, ormai queste situazioni sono «non rimediabili con l’indiscusso impegno del personale». E se non possono fare più niente di utile loro, neppure può il magistrato di sorveglianza, che pure tra le proprie funzioni ha quella di «vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena». E allora Nobile De Santis si aggrappa proprio alla seconda parte del primo comma dell’articolo 69 dell’ordinamento penitenziario del 1975, che tra le competenze del magistrato di sorveglianza contempla anche quella di «prospettare al ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo». Ed è sulla base di questo spunto, un poco forzato nel porre a rigore non un problema di «trattamento rieducativo» (quasi un lusso) ma ormai una questione di sopravvivenza pratica nelle celle, che il presidente del Tribunale di Sorveglianza milanese rivolge ad Alfano l’ultimo Sos in una lettera datata 8 ottobre. Un Sos che il presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Grechi, pure destinatario della missiva, e a Pasqua già protagonista di un brusco monito («le condizioni del carcere sono un’autentica vergogna, il cardinale Tettamanzi l’ha visitato e all’uscita mi ha detto: "sono inorridito" »), traduce in un commento tanto pubblico quanto crudo: «Ora anche l’Asl dice che siamo sotto il limite di umanità. Che la situazione è insopportabile. Che noi stiamo attuando una specie di tortura. A 500 metri dal Duomo». Luigi Ferrarella