Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  ottobre 23 Giovedì calendario

E’ una notizia che dovrebbe far riflettere non solo sul livello di efficienza del nostro sistema carcerario, ma sul tasso stesso di civiltà del Paese

E’ una notizia che dovrebbe far riflettere non solo sul livello di efficienza del nostro sistema carcerario, ma sul tasso stesso di civiltà del Paese. Il presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano, come scrive Luigi Ferrarella oggi sul nostro «Focus», ha chiesto al ministro della Giustizia che cessino in alcuni reparti di San Vittore e nel carcere di Monza le attuali condizioni di esecuzione della pena. A San Vittore, ci sono sei persone in celle di tre metri per due, che dormono in letti a castello tripli e che, perciò, non possono stare in piedi contemporaneamente. A Monza, i detenuti dormono sui materassi per terra, fra gli scarafaggi. Scriveva Cesare Beccaria oltre 250 anni fa: «Quando si provasse che l’atrocità delle pene... fosse solamente inutile... essa sarebbe non solo contraria a quelle virtù benefiche che sono l’effetto d’una ragione illuminata... nella quale si faccia una perpetua circolazione di timida crudeltà, ma lo sarebbe alla giustizia» ( Dei delitti e delle pene, 1764-1769). Charles de Montesquieu: «La pena non discende dal capriccio del legislatore, ma dalla natura delle cose; e non è affatto l’uomo che fa violenza all’uomo » ( L’esprit des lois, 1748). I detenuti nelle nostre carceri – che per essere in regola ne dovrebbero ospitare 43.084 – sono 57.239. Poiché crescono di mille al mese, a febbraio supereranno quelli alla vigilia dell’indulto (61.264, il 30 giugno 2006). Basterebbero queste cifre per provare che: 1) l’indulto non ha avuto gli effetti sperati; 2) la situazione è tornata a essere quella di prima e, fra pochi mesi, peggiorerà; 3) l’indulto, che è bersaglio di polemica politica, non era poi stato una decisione del tutto campata in aria, ma rispondeva sia all’invocazione alla più elementare carità cristiana verso esseri umani costretti a vivere in condizioni disumane, rivolta da Giovanni Paolo II al Parlamento il giorno della sua visita, sia a un’esigenza reale, più volte denunciata nelle battaglie condotte dai radicali. Poiché la sospensione della pena pare impensabile e il trasferimento dei detenuti in soprannumero a Milano e a Monza in altri stabilimenti – sovraffollati quanto i due – poco praticabile, non resterebbero che la ristrutturazione delle carceri più disastrate (come è già stato fatto in parte a San Vittore) o la costruzione di altre. I soldi, e il tempo, scarseggiano. Ma non si tratta solo di un problema contabile e congiunturale. Decidere se sia prioritario l’aiuto alle imprese in difficoltà per la crisi economica; ovvero se lo debba essere la soluzione della situazione in cui versano le carceri. Il dilemma è culturale, prima che politico. Riguarda il Paese nel quale vogliamo vivere. Se in un sistema che contemperi la logica di mercato – per la quale spetta soprattutto al mondo della produzione risolvere i propri problemi – con la funzione dello Stato, cui spetta, fra gli altri, il compito di perseguire la sicurezza nella giustizia. Per Luigi Einaudi, il liberalismo economico era «una tesi morale». Egli avrebbe respinto una sopravvivenza del capitalismo che fosse frutto di elargizione pubblica e non dello sforzo degli uomini. Ma anche evitare che la giustizia diventi – per dirla con Montesquieu – «l’uomo che fa violenza all’uomo» è una tesi morale.