Franco Quadri, la Repubblica 23/10/2008, 23 ottobre 2008
Subissati come siamo dalle cronache televisive, galleggiando per di più in un mare di banalità, si può oggi mettere in scena una delle troppe tragedie che accompagnano la nostra vita quotidiana? Con quella ancora bruciante della ThyssenKrupp si misura oggi Pippo Delbono in La menzogna, che con la sua compagnia inaugura la stagione del Teatro Stabile di Torino
Subissati come siamo dalle cronache televisive, galleggiando per di più in un mare di banalità, si può oggi mettere in scena una delle troppe tragedie che accompagnano la nostra vita quotidiana? Con quella ancora bruciante della ThyssenKrupp si misura oggi Pippo Delbono in La menzogna, che con la sua compagnia inaugura la stagione del Teatro Stabile di Torino. Al principio di questo Studio va in scena il silenzio. Nel vuoto inanimato spiccano gli armadietti-guardaroba da azienda dove qualcuno si mette in tuta, e qualcuno più tardi si stenderà pure in una vasca-bara dove galleggiano dei fiori, mentre dall´alto degli spalti la voce di Pippo ci dice sussurrando l´impossibilità di limitarsi alla pietà «dandosi un contegno» col fine effettivo di seppellire una realtà perbenista. Ed ecco allora una tirata di Alex Zanotelli che, sul fondale-video, denuncia lo scandalo di un monopolio mondiale della ricchezza spartita tra poche famiglie, in cima a una delle brevi scalette centrali che non vanno da nessuna parte, una furente Giulietta urla il suo amore maledetto per Romeo e via via vediamo rincorrersi nei diversi spazi delle azioni che possono evocare piccoli momenti quotidiani, violenze o tenerezze, brevi gioie o sofferenze, il tutto avvolto in un poderoso scatenarsi della musicalità che parte da brani sinfonici o operistici soprattutto tedeschi, per arrivare a canzoni anche francesi. A moderare gli stimoli a picchiarsi, interviene la spontaneità dei numeri delle vedettes della compagnia: primi fra tutti il leggendario Bobò in qualcuna delle sue camminate in divisa e il sempre più rotondo Gianluca Ballaré in vena di danze. In una serata in cui tutti i diciassette interpreti danno il massimo, a partire da Pippo, che scatta foto e predilige per una volta il silenzio sotteso a ogni azione, anche a quel progressivo denudarsi che sul finire coinvolge tutti e non consiste, come spesso accade, in una provocazione, ma dà il senso a uno spettacolo liberatorio e riconduce in effetti il suo autore e regista al ricordo dell´infanzia e a quella maschera di pudore che allora l´educazione paterna cercava di imporgli, mentre il senso di questo allestimento, che sembra dare inizio a un nuovo ciclo, sta proprio nella necessità di responsabilizzarsi su quanto ci avviene intorno e tutto ci coinvolge.