???, la Repubblica 23/10/2008, 23 ottobre 2008
Del mancato Nobel Nicola Cabibbo non intende parlare. Mi guarda, seduto nel salotto della sua casa romana, con occhi calmi e dice che nessun commento vuole aggiungere alla decisione dell´Accademia svedese che ha premiato due giapponesi che hanno sviluppato la sua ricerca originaria
Del mancato Nobel Nicola Cabibbo non intende parlare. Mi guarda, seduto nel salotto della sua casa romana, con occhi calmi e dice che nessun commento vuole aggiungere alla decisione dell´Accademia svedese che ha premiato due giapponesi che hanno sviluppato la sua ricerca originaria. In molti, nella nostra comunità scientifica, hanno gridato a una palese ingiustizia. Ma lui, fisico delle particelle, scienziato tra i più importanti al mondo, tace. Non è stoicismo il suo. Credo sia solo buon gusto quello che intona le decisioni di questo signore di settantatré anni, celebre nel mondo per aver identificato una famiglia di particelle che ha preso il nome di "angolo di Cabibbo". Ha l´hobby della fotografia, e si diverte a costruire figure geometriche di carta. Come fisico ha lavorato a Berkeley, Ginevra, Frascati. stato presidente dell´Enea, e attualmente, oltre a ricoprire la cattedra di Fisica delle particelle a Roma, è Presidente della Pontificia Accademia della Scienza. Agli occhi di un profano, quest´ultimo incarico può apparire bizzarro: la Chiesa non ama il pensiero scientifico, non ama le sue libertà, le sue incursioni dubitative nel mondo spirituale. Che ci fa uno scienziato al centro della cittadella del pensiero cattolico? Cabibbo sorride. Ha una voce tenue e ferma: «Le cose non stanno come lei pensa. Nell´Accademia convivono cattolici, laici come Rita Levi Montalcini e perfino musulmani come l´egiziano Ahmed Zewail». Ma l´accademia è pur sempre un´emanazione della Chiesa. «Intanto ci sono cose che la Chiesa può fare come ad esempio pensare al futuro del pianeta o alla difesa dell´ambiente. Quanto all´accademia è scientifica, pontificia ma non cattolica. Non è un centro di elaborazione né religiosa né ideologica». Non ha l´impressione che oggi la Chiesa cerchi di subordinare il ruolo della scienza a strategie e compiti che le sono estranei? «In che senso?». La verità della Chiesa, come dice Benedetto XVI, è nel suo splendore, nella sua assolutezza. Le verità della scienza sono parziali, rivedibili. Come si fa a conciliare queste due visioni? «Sono due visioni, appunto. Collocate su piani differenti. Il nostro ruolo all´interno dell´Accademia è difendere la scienza anche dentro la Chiesa. E penso che sia un compito utile e importante. Perché avere una Chiesa che non capisce, che non si tiene al corrente delle cose che accadono nel mondo scientifico, sarebbe un fatto negativo. chiaro, poi, che la Chiesa è fatta di persone, alcune molto ortodosse, altre, come il Cardinal Martini, dotate di un´apertura fantastica. Come è fatta di persone anche la scienza che ha al suo interno atei entusiasti come Dennett e Dworkin e gente più pacata». Ma dello scontro ancora in atto tra i fautori dell´evoluzionismo e i creazionisti lei cosa pensa? «Proprio sul tema dell´evoluzione faremo la prossima settimana una sessione plenaria sia dal punto di vista biologico che cosmologico. chiaro che sull´argomento esistono delle resistenze. Il problema è quasi lo stesso che ai tempi di Galileo. Ci sono novità scientifiche che non sono state digerite». Mi scusi, ma ci possono essere ancora dubbi sull´evoluzione? «No. Tra l´altro lo stesso Giovanni Paolo II a suo tempo ne riconobbe la fondatezza. Non credo che l´evoluzione possa essere in contrasto con la fede individuale. Se il mondo è stato creato, perché non dovrebbe essere stato creato nel modo in cui lo vediamo funzionare?» Non fa una piega. Lei è credente? «Sì». Come entra Dio nella sua visione scientifica? «Sono due cose separate». Vuole dire che le leggi dell´universo sono una cosa. Poi si può discutere che ci sia un maître alle spalle? «Le leggi devono essere coerenti. Noi scienziati pensiamo che la natura funziona sulla base di leggi che ne spiegano il funzionamento. Laplace si sentì chiedere da Napoleone: "Ma Dio in questi tuoi pianeti che posto occupa?". E lui rispose: "Non ho bisogno di questa ipotesi". Non sosteneva che Dio non esiste. Stava solo dicendo che per fare scienza occorre operare come se Dio non esistesse. Da questo punto di vista tutta la storia del "disegno intelligente" è una forma molto ingenua che ha una motivazione soprattutto politica, ovvero di trovare un creazionismo che sia accettabile nelle scuole americane. Scoprire la presenza Dio e fare una scoperta scientifica sono due cose diverse ». Che cosa prova uno scienziato davanti a una propria scoperta scientifica? «Incredulità, paura di essersi sbagliato, timore che qualcun altro abbia fatto la stessa scoperta e la pubblichi per primo. E alla fine di tutto questo si prova un´emozione unica». curioso come a volte si giunga a una scoperta scientifica in modo del tutto casuale. «Questo è vero soltanto per pochi casi. Più spesso accade che c´è un problema che non si capisce e a cui si pensa continuamente. Poi, a un certo punto, nasce l´idea. La casualità è rara in questo tipo di eventi». Però accade che un ricercatore si concentri sui risultati di un obiettivo e poi si imbatta in qualcosa che solo apparentemente è un´anomalia rispetto a quello che sta cercando. «Ciò accade soprattutto nel campo della fisica sperimentale. Nella fisica teorica si parte già con l´idea di che cosa si stia cercando e di quale problema si vorrebbe risolvere». Cosa l´ha spinta a diventare scienziato? «Una curiosità scientifica che ho avuto sin da piccolo. Immaginavo la scienza come una grande avventura: esplorazioni polari, viaggi nello spazio. Erano i libri che trovavo in casa che accendevano la mia fantasia». Le piace la fantascienza? « un genere che non disdegno. Un tempo leggevo molto Asimov, oggi mi annoierebbe». Le tre leggi della robotica non erano male. «Erano divertenti». Ha letto anche Philip K. Dick? « una scoperta tardiva. Trovo che abbia una complessità maggiore rispetto ad Asimov, la cui scienza era molto classica. Mentre Dick lavora sul dilatarsi della coscienza dell´uomo, sulle droghe e le allucinazioni». Erano anni psichedelici, quelli in cui scriveva. «Non che mi entusiasmassero. Ad ogni modo tra gli scrittori più recenti leggo volentieri Bruce Sterling e William Gibson. Ma anche Greg Egan che è poco noto ma molto divertente. Tra l´altro è un fisico delle stringhe». Ha mai scritto di fantascienza? «Una sola volta, ma non sono andato più in là di una mezza paginetta. Preferisco la matematica. Fin da bambino ne sono stato attratto». Una propensione che la escludeva dal rapporto con gli altri bambini? «Non ero affatto introverso. Tranquillo, con qualche punta di timidezza, ma assolutamente normale». Ritiene che la matematica si possa insegnare? Glielo chiedo perché a volte si ha la sensazione che la capiscano solo quelli che ce l´hanno già dentro. «Certamente va insegnata. Però è vero che l´attitudine al pensiero quantitativo, esatto, rigoroso, probabilmente è innata». Che ruolo svolge la matematica nel suo lavoro di fisico? «Arnold, uno dei grandi matematici viventi, sostiene che la matematica è una branca della fisica teorica». Cosa vuol dire fare il fisico teorico? «Ci sono molti tipi di fisici teorici. Alcuni più vicini agli aspetti matematici. Altri, come nel mio caso, più prossimi alla fisica sperimentale. Lavoro a cavallo. Ho ideato varie volte esperimenti che poi sono stati realizzati. Rispetto a quella teorica, la fisica sperimentale è un mondo particolare». In che senso? «Si richiedono tra l´altro grosse capacità manageriali: occorre trovare i fondi, avere contatti con il mondo industriale per farsi fare i pezzi. Guardo ai fisici sperimentali con gratitudine e un po´ di invidia». Non si può essere teorici e sperimentali insieme? «Bisogna scegliere. Enrico Fermi fu una delle ultime eccezioni. Ma gli strumenti della fisica allora erano ancora molto artigianali». La sua specialità è il mondo delle particelle. Lei è internazionalmente celebre per l´"angolo di Cabibbo". Ci spieghi, un po´ alla buona, cos´è? « un parametro utile a definire come funzionano le cosiddette interazioni deboli. Nelle particelle, è noto, ci sono vari tipi di interazioni: elettromagnetiche, gravitazionali, forti e deboli». E lei cosa scopre? «Scopro delle discrepanze nel comportamento di certi fenomeni. E grazie all´"angolo" sono riuscito non solo a capire il senso delle discrepanze, ma anche a mettere ordine in questa famiglia». Con quali conseguenze? «Nessuna dal punto di vista pratico. In realtà capire come funzionano le interazioni deboli è servito da introduzione al lavoro di unificazione tra interazione debole e elettromagnetica. Si tratta di un avanzamento importante nella comprensione di come funzionano le particelle elementari». Si può dire che un fisico delle particelle abbia la stessa ambizione di un filosofo antico, cioè di giungere alla spiegazione ultima e possibilmente elementare del mondo? «Più che alla metafisica penso all´atomismo di Democrito. Ma la ricerca delle particelle resta qualcosa di più complicato. Mi viene in mente la casa degli specchi che c´è in certi luna park. Si entra, si fa un percorso, si ha la sensazione di aver trovato la via per uscire e poi ci si accorge di essersi sbagliati. Naturalmente le particelle elementari non sono una scoperta moderna. L´atomismo greco pensava che con l´atomo si potesse spiegare tutto. Noi ci siamo resi conto che l´atomo è composto da tante altre cose e che dunque siamo chini su un mondo sempre più piccolo. Ogni volta che pensiamo di aver toccato il fondo, di aver trovato la vera unificazione, ci accorgiamo che qualcosa sfugge». La scienza si fonda sull´incompletezza. «Non è l´aspirazione della scienza, la quale dopotutto vorrebbe essere completa. Ma resta incompleta perché la natura è molto più complicata di quanto riusciamo a immaginare e a sperimentare» Oggi lo spartiacque è tra la scienza classica e quella moderna. Che differenza c´è tra la fisica meccanicistica e quella quantistica? «Quest´ultima non è predittiva, non è causale al cento per cento. Non siamo in grado di predire esattamente cosa avviene in un fenomeno quantistico, possiamo solo dire qual è la probabilità che accada questo o quello». Così non si indeboliscono le aspirazioni della scienza? «Per lungo tempo gli scienziati sono restati affezionati all´idea di una causalità perfetta, a un mondo pensato come un orologio. Poi hanno dovuto scoprire che non è così. La quantistica è interessante anche perché è piena di misteri. Noi pensiamo che la probabilità che un fenomeno si realizzi a un certo punto dipenda dal fatto che prenda una strada piuttosto che un´altra. In realtà nel pluriuniverso le segue tutte e due. La meccanica quantistica serve anche a comprendere l´esistenza di molti universi e il fatto che noi percepiamo una sola delle sue possibili storie». Ma avremmo potuto percepirne altre. un discorso molto affascinante. Ci porti un esempio. «Il famoso "Gatto di Schroedinger". Immaginiamo un gatto chiuso in una scatola contenente una fiala di veleno. La provetta si apre solo se, in un certo momento, un nucleo si disintegra. La meccanica quantistica ci dice che esiste più di una diramazione della storia. In una la fiala si rompe il veleno si sparge e il gatto muore. Nell´altra la fiala resta integra e il gatto vive». Per uno scienziato classico basterebbe aprire la scatola e vedere se il gatto è vivo o morto. Il resto risulterebbe un falso problema. « vero. Ma per la meccanica quantistica è un problema serissimo. Esiste, anche se è complicato spiegarlo, una dimostrazione sperimentale per cui le due strade sono entrambe percorse. A livello microscopico questa biforcazione si può verificare. Quello che è misterioso è che cosa succede quando la biforcazione diventa reale. Esiste un secondo universo in cui il gatto è defunto?». La parola mistero è molto impegnativa. Fa pensare anche alla nascita della fede. «Terrei separati i misteri della fede da quelli che ci presenta la meccanica quantistica». Dio non entra nella scienza. Ma l´etica ne è coinvolta. Cosa ne pensa? «Ci sono i due aspetti classici: l´etica della ricerca che è anche un´etica della verità, cioè del non mentire, del non falsare i risultati. E poi vi è un secondo aspetto che riguarda il campo della medicina. Qui le cose sono più complicate perché l´uso della sperimentazione sull´uomo apre una problematica di cui non sono un esperto. Ma è chiaro che il problema esiste». Sta pensando all´eutanasia? «Questa è un ulteriore questione che ha poco a che fare con la scienza. Però ci sono problemi che le nuove scoperte creano. Il respiratore artificiale ha salvato tantissime vite e permesso operazioni chirurgiche complesse. Ma ha anche creato fenomeni di coma esteso. Mi vengono in mente gli episodi del senatore Andreatta e il caso della ragazza Eluana Englaro». Lei ha una posizione su questo? «Sono contrario all´accanimento terapeutico». Tornerei in conclusione sulla vicenda del Nobel che non le hanno dato. Chi la conosce ha detto che ne è rimasto molto amareggiato. «Questa storia dell´amarezza è letteralmente inventata». Resta il fatto, mi scusi se insisto, che sia lei che Iona Lasinio collaboratore di Nambu non avete avuto questo riconoscimento. possibile che dipenda dal fatto che il nostro peso internazionale a livello di ricerca scientifica si stia ridimensionando? «Ripeto: non voglio commentare le scelte del Nobel. Quanto alla ricerca italiana, è molto stimata nel mondo. Naturalmente il futuro è incerto, perché la riduzione continua di investimenti mette a rischio la possibilità di formare giovani in grado di continuare l´impresa scientifica».