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 2008  ottobre 21 Martedì calendario

FULVIO MILONE

ROMA
La torta è grande e gustosa: 1 miliardo di euro, l’importo dei lavori ancora in corso su una cinquantina di chilometri del tratto calabrese dell’A3, l’autostrada che non sarebbe azzardato definire una «fabbrica di San Pietro» anche se il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, ha dichiarato a luglio che sarà completata nel 2012. La ”ndrangheta ci conta, e questa non è una novità. Il guaio è che le richieste di estorsioni e le intimidazioni dei signori del racket sono diventate asfissianti al punto da far pensare alle imprese di gettare la spugna. «Molte ditte impegnate nei lavori sull’A3 e in altre grandi opere pubbliche hanno manifestato l’intenzione di andar via», conferma il governatore calabrese Agazio Loiero, che lancia ancora una volta l’allarme sulla criminalità durante un convegno organizzato da Confindustria su «Sviluppo e sicurezza nel Mezzogiorno».
«Se davvero le imprese se ne andassero perché sono soggiogate dalla ”ndrangheta sarebbe una beffa: questa regione ha infrastrutture da terzo mondo e non si riesce neanche a sistemarle. Non si può più andare avanti così», aggiunge Loiero che, mentre parla, fissa lo sguardo sul ministro dell’Interno Roberto Maroni, anche lui presente al convegno con la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e i segretari di Cgil, Cisl e Uil Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti.
E annuncia, il governatore, che la Regione Calabria ha fatto un passo importante per la trasparenza negli appalti: la nomina di Salvatore Boemi, ex procuratore aggiunto antimafia a Reggio Calabria e magistrato simbolo della lotta alle ”ndrine, a Commissario della stazione unica appaltante, il primo organismo a livello regionale che dovrà gestire l’intero sistema degli affidamenti dei lavori e preservarlo dalle infiltrazioni mafiose. Lontano dai microfoni, dopo il convegno, il presidente della Regione racconta di un suo colloquio con Pietro Ciucci, presidente dell’Anas: «Era molto preoccupato, diceva che la criminalità calabrese rende impossibile la vita alle imprese come Impregilo ed Astaldi che hanno i cantieri sull’A3, bersagliati da una novantina fra attentati e intimidazioni di vario tipo nell’ultimo anno. A questo punto mi chiedo se il governo, così attento ai problemi della sicurezza, si ponga anche quello della criminalità organizzata. Mi chiedo anche perché i lavori sull’autostrada non finiscono mai, se non anche per gli interessi e le pressioni delle cosche».
A Loiero, che dà comunque atto alle forze di polizia di condurre con impegno la lotta alla ”ndrangheta e al ministro dell’Interno di mostrare attenzione al problema, Maroni risponde con un monito alle imprese: «Devono respingere i tentativi di infiltrazione messi in atto con l’usura, le estorsioni e le intimidazioni». Insomma, «tocca agli imprenditori denunciare». E, soprattutto, «chi non denuncia il pizzo deve non solo essere espulso da Confindustria, ma anche escluso dagli appalti». Il numero uno di Confindustria, Emma Marcegaglia, è d’accordo: «Dobbiamo creare in Calabria una filiera della legalità. Imprese, sindacati e lo Stato ingaggino insieme una dura battaglia contro la criminalità». Ma, avverte Marcegaglia, «occorre anche consentire lo sviluppo della regione: quindi più infrastrutture, più ricerca, più credito. E basta con il fatto che lo Stato non paga le imprese».
«La ”ndrangheta - spiega Maroni - si combatte con un attento lavoro di intelligence». E, naturalmente, con le risorse finanziarie: «In Calabria ce ne sono a sufficienza. Il Programma nazionale per la sicurezza ha una capacità di 1,2 miliardi di euro. Il problema è che al Sud, però, questi fondi non vengono spesi in modo razionale».La ”ndrangheta calabrese «fattura 45 miliardi di euro all’anno». Il dato è stato reso noto dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che ha calcolato questa cifra pari al 3% del Pil nazionale. Racket e usura garantiscono circa 10 miliardi. Per il Maroni «la ”ndrangheta è uno straordinario potere economico che investe, controlla i mercati e ha anche una componente militare. Ma è anche diversa dalle altre mafie, per questo l’attacco dello Stato alla ”ndrangheta deve essere diverso».