Maurizio Molinari, La Stampa 21/10/2008, 21 ottobre 2008
John McCain a Scranton, la moglie Cindy a Gettysburgh e York, Sarah Palin a Lancaster. La raffica di comizi dei pesi massimi della campagna repubblicana lascia intendere che McCain non crede ai sondaggi secondo cui la Pennsylvania sarebbe già saldamente nelle mani del rivale Barack Obama
John McCain a Scranton, la moglie Cindy a Gettysburgh e York, Sarah Palin a Lancaster. La raffica di comizi dei pesi massimi della campagna repubblicana lascia intendere che McCain non crede ai sondaggi secondo cui la Pennsylvania sarebbe già saldamente nelle mani del rivale Barack Obama. Le percentuali da capogiro - da +12 a +18 - assegnate al senatore dell’Illinois fanno sorridere Peter Feldman, trentenne direttore delle «Regional Operation» nella Pennsylvania del Sud-Ovest, secondo cui «da queste parti in pochi dicono ciò che pensano, soprattutto quando un estraneo gli telefona a casa all’ora di cena». Se Filadelfia è la metropoli democratica dello Stato, le aree rurali attorno a Pittburgh sono una roccaforte conservatrice. «Qui siamo nel Mid-West, l’Atlantico è lontano» dice Sonya, cinquantenne volontaria degli «Italians for McCain», orgogliosa dei nonni che arrivarono dalla Calabria «con valori cattolici e conservatori che ho trasmesso ai miei figli». Sonya prega ogni domenica nella cattedrale di St Paul e fa parte dei «gruppi etnici» sui quali gli strateghi repubblicani puntano per strappare ai democratici lo Stato che nel 2004 andò a John Kerry per una differenza di appena 120 mila voti su quasi sei milioni di preferenze. Oltre agli «Italian for McCain» i «gruppi etnici» riuniscono minoranze che per un motivo o l’altro sono attirate dal senatore dell’Arizona: gli irlandesi del Monterey Pub per le comune origini famigliari, gli ucraini della Chiesa battista di San Giovanni come i lituani e i polacchi del South Side del fiume Ohio per il viscerale anticomunismo che oggi si esprime in una diffidenza verso la Russia di Vladimir Putin. Sono famiglie di minatori, operai metallurgici e agricoltori che vivono ai piedi degli Appalachi, lungo quella che fu la prima frontiera dei coloni americani, non hanno altra la squadra che gli «Steelers» e come riferimento politico quotidiano ascoltano un nome sconosciuto per la maggioranza degli americani: Kevin Miller, conduttore ultraconservatore della stazione radio Kdka 1020. Il luogo da dove trasmette è il piano terra di un grattacielo grigio del Gateway Center di Pittsburgh costruito per somigliare al Rockefeller Center di Manhattan. Per le scolaresche locali è un luogo di pellegrinaggio perché la Kdka fu la prima stazione radio commerciale che iniziò a trasmettere nel 1920 e Miller ha trasformato l’autorevolezza della testata in un trampolino quotidiano dal quale lancia i più violenti attacchi contro Obama. Quarant’anni, volto giovanile e un passato nell’etere di Tennessee e North Carolina, Miller va in onda ogni giorno dalle 12 alle 15. Debutta sempre chiamando Obama «Merci Beaucoup» per irridere la sua esterofilia - «vuole far apprendere ai nostri ragazzi due lingue straniere» - e poi sceglie temi talmente dirompenti da sorprendere anche i conservatori più tradizionali. Nell’ultima trasmissione l’argomento è stato «il rapporto gay fra Obama e il reverendo Jeremiah Wright» ex pastore della Trinity United Church di Chicago dove Barack si è sposato ed ha battezzato i figli avuti da Michelle. Le battute sarcastiche su Barack si alternano a musica rock e country, resoconti di partite degli «Steelers», testimonianze sul recupero di Harley Davidson da parte di super-meccanici e resoconti sulla campagna repubblicana, conditi da indicazioni precise su dove e come poter ascoltare McCain e Sarah Palin. La candidata vice è la preferita dal conduttore, che la definisce «nostra carta vincente» lodandone le posizioni «patriottiche, cristiane, antiabortiste». L’irritazione causata nei liberal è tale che qualcuno ha reagito attaccano un adesivo rotondo «Obama for president» sulla porta dello studio della trasmissione. Le statistiche dicono che lo show di Miller è fra i più popolari nell’Appalachia Pennsylvana e proprio tale fenomeno ha portato il deputato democratico John Murtha a dire al «Pittsburg Post-Gazette» che «nelle regioni dell’Ovest sono razzisti». La valanga di email di protesta ha obbligato Murtha ad una rapida marcia indietro ma da allora a Pittsburgh e dintorni non si parla d’altro. «Murtha ci ha offeso tutti - dice Jerry, ex marine ora conducente di autobus - far passare per razzista ogni persona che ha dei dubbi su Obama è una forma di pressione psicologica degna dei socialisti». Per Steve, giovane portiere di un teatro sulla 6° Strada, invece Murtha ha ragioni da vendere: «Qui ai sondaggi tutti dicono di votare per Obama ma poi in casa loro pensano altro, in molti non lo possono vedere solamente perché è un nero». Fra coloro che non parlano ai sondaggi c’è Dona, 58 anni e tre figli, elettrice di Hillary e veterana del Vietnam: «Voterò McCain, ma lo dico a chi mi pare». Stampa Articolo