Gian Antonio Orighi, La Stampa 23/10/2008, 23 ottobre 2008
Neanche Botín è immune da scalate». Sia pure celebrando i successi di Emilio Botín, presidente del Santander (la prima banca di Spagna, America Latina ed Eurolandia per capitalizzazione di Borsa), il settimanale filo-zapaterista El Siglo mette il dito nella piaga: Botín ha appena il 2% del capitale
Neanche Botín è immune da scalate». Sia pure celebrando i successi di Emilio Botín, presidente del Santander (la prima banca di Spagna, America Latina ed Eurolandia per capitalizzazione di Borsa), il settimanale filo-zapaterista El Siglo mette il dito nella piaga: Botín ha appena il 2% del capitale. E nel 2008 col titolo ha perso il 37,66% - trascinando la banca dal decimo al settimo posto nella classifica mondiale della capitalizzazione - Santander potrebbe essere scalata, e da cacciatore diventare preda. I dati della Comisión Nacional de Mercados de Valores (la Consob madrilena), fotografano gli azionisti del colosso che in Italia possiede l’1,8% di Mediobanca, il 2% del Monte dei Paschi, l’1% di Generali e lo 0,3 di Unicredit. I due primi azionisti sono gli statunitensi Chase Nominees (10,46%), ed Ec Nominees (9,92%): secondo fonti del Santander non partecipano alla gestione perché sono depositari di titoli di investitori. Poi c’è il fondo Capital Research and Management Company (sempre fuori dalla stanza dei bottoni), la famiglia Botín al 2 e Generali (1,16). Il resto è sul mercato. Nel bilancio del 2007, la banca precisava: «Al 31 dicembre 2007, nessun azionista aveva partecipazioni superiori al 3% o che permettano una influenza notevole nella Banca». Quel bilancio (utili a 9 miliardi, più 19,3% in un anno) sottolineava anche che, con 19 componenti in Cda, per un consigliere occorre una quota del 5,26%, «mai raggiunta da nessun azionista». Santander blindato, dunque? «I Botín sono i primi azionisti privati, ma sopra i loro ci sono Cheese, Ec Nominees, Capital - scrive El Siglo -. Tutti e tre non entrano nella gestione, ma se arrivasse un compratore con una buona offerta, venderebbero». La banca di Emilio III (sia il padre che il nonno, il fondatore della banca, avevano lo stesso nome) è una vera chicca. Definito da Euromoney «l’istituto di credito meglio gestito del mondo», dopo aver scalato durante la crisi la statunitense Sovereing, e le inglesi Alliance&Leicester e Bradford&Bingley, il Santander si è permesso il lusso di snobbare l’offerta di Gordon Brown e di inettare 1,3 miliardi nella controllata britannica Abbey National, acquisita nel 2004. «Il Santander non ha intenzione di usare la ricapitalizzazione con fondi pubblici lanciata dal governo del Regno Unito», ha comunicato Botín lo scorso 13 ottobre. Peró il presidente del Santander, 74 anni, da 50 nella banca che porta il nome della città natale della sua stirpe di banchieri, con il tempo e a forza di fusioni e acquisizioni ha visto diluirsi sempre di più il suo pacchetto. Intanto, dopo che don Emilio ha assicurato di voler mantenere come obiettivo la straordinaria performance di un utile 2008 superiore ai 10 miliardi, la rivista El Confidencial ha rilevato che nel 2001 e nel 2002 Botin voleva lanciare fondi ad alto rischio come quelli che hanno terremotato Wall Street. Lo stoppó l’allora governatore del Banco de España, Jaime Caruana. Stampa Articolo