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 2008  ottobre 23 Giovedì calendario

In piazza Duomo ci sono le bandiere, ma sono quelle dei tifosi dell’Anorthosis che aspettano l’inizio della partita con l’Inter

In piazza Duomo ci sono le bandiere, ma sono quelle dei tifosi dell’Anorthosis che aspettano l’inizio della partita con l’Inter. Ci sono striscioni e urla di ragazze, ma sono quelle che sotto gli studi di Mtv invocano un saluto da Marco Carta, l’idolo della trasmissione «Amici». Gli studenti ribelli, quelli che Tremonti&Gelmini quasi assassini, se ne stanno pochi e quieti sotto il cavallo di Vittorio Emanuele. Ascoltano la lezione del professor Pietro Graglia, «Ascesa e caduta della Comunità Europea di Difesa». Sono meno dei tifosi e dei piccioni, un centinaio. Niente bandiere, solo un megafono per il prof, sennò chi lo sente? Poliziotti in borghese attorno, qualche mamma apprensiva sotto i portici, slogan appena si avvicina una telecamera: «Gelmini e Tremonti, con noi farete i conti». Si affacciano i primi «leaderini», come si diceva una volta. C’è Teo con il cerotto in testa, il ricordo della rissa con la polizia dell’altra sera. C’è Leon che aspetta «il corteo degli altri studenti che sta arrivando». E dice studenti, non compagni. Perchè qui la politica non sembra ancora arrivata. Non è aria da ”68, e nemmeno da ”77. «Vi faremo impazzire, vi stupiremo», è la promessa. Almeno ieri, mantenuta. Dopo l’annuncio di Silvio Berlusconi, «non saranno tollerate occupazioni delle università», perfino in Questura avevano messo in conto che potesse accadere subito, alla Statale o a Scienze Politiche. Invece niente. «Quella di Berlusconi è una provocazione e la lasciamo lì - dice Teo, 23 anni- Nè lui nè la Gelmini ci fanno paura, e magari sono loro ad averla. Perché non vogliono parlare con noi, con i professori, con i genitori? Perché alzano i muri?». Visti da vicino questi ragazzi delle Università somigliano molto alla definizione data da Aldo Grasso, il critico del Corriere della Sera: i figli di «GDB», Genitore Democratico Benestante. Nel ”68 c’erano i figli di operai, nel ”77 anche gli emarginati e gli «alternativi». C’era la politica, e tanta, allora. Adesso non si vede, o non si vede ancora. Alla fine della lezione in piazza sono più del doppio, un trecento. Solo una maglietta pararivoluzionaria, con la stella rossa e la scritta «guerrilla». Sono di più quelle di Inter, Milan e Juventus. Il professor Graglia è soddisfatto. «La stessa lezione che avrei tenuto in facoltà», dice. Si sentiva niente, ma non importa. «La mobilitazione degli studenti mi ha stupìto, alla loro età sono i primi a percepire l’ingiustizia». Pizzetto rossiccio, minuscolo orecchino al lobo sinistro, toscano di Arezzo, il prof nel ”68 aveva solo 4 anni, dunque non è un reduce. «Per noi professori, bloccando il turn over si invecchiano il corpo docente e l’università. E per i ragazzi il disagio è reale e il rischio è che possano essere strumentalizzati dall’esterno». Se ne sono già andati da Piazza Duomo, i suoi ragazzi. In marcia verso la facoltà di Scienze Politiche, la polizia al seguito. «Se non cambierà bloccheremo la città e saremo tantissimi...», si sfinisce nel megafono Francesca. Con telefonini e computer riprendono il loro corteo che adesso si ferma tra via Mascagni e via Visconti di Modrone. Tanto per cominciare si blocca l’incrocio, tutti giù per terra, una di quelle cose che mandano in in bestia il traffico e i milanesi. «Ma solo cinque minuti», promettono ai poliziotti. Cinque minuti esatti saranno. Ed ecco Scienze Politiche, facoltà non occupata ieri e per domani si vedrà. «Centinaia di studenti ogni giorno occupano aule, università, piazze in tutta Italia - dice Teo, lui sì figlio di «sessantottini» -. Siamo sempre di più, e quando sarà il momento vedrete quanti saremo». Si preparano alla lotta di lunga durata, citano l’esempio francese, «nel 2006 hanno paralizzato il Paese per due mesi costringendo il governo a ritirare la legge». Nell’attesa, a Scienze Politiche, vanno avanti a tentoni. «Andiamo ad interrompere le lezioni», propone uno in cortile. Aula 10, quella nel sotterraneo, il professor Giorgio Barba Novaretti sta tenendo la sua lezione di «Economia internazionale». Entra il gruppone, i quasi 200 studenti dell’aula 10 restano seduti, il professor Barba prende il microfono. «Ritengo che questa vostra azione sia un atto di violenza», dice. Forse il gruppone non se l’aspettava, non aveva calcolato la resistenza pacifica. Nel ”68 sarebbe stato, almeno, spintonato fuori. Che fare, nell’ottobre 2008? Se ne va il gruppone. E dagli studenti dell’aula 10 applausi per il loro Prof. Stampa Articolo