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 2008  ottobre 23 Giovedì calendario

Si possono avere le più diverse opinioni critiche, naturalmente, sulla manifestazione nazionale che il Partito democratico ha messo in cantiere per sabato a Roma

Si possono avere le più diverse opinioni critiche, naturalmente, sulla manifestazione nazionale che il Partito democratico ha messo in cantiere per sabato a Roma. Intanto, andrebbe annotato come il suo profilo sia cambiato nelle ultime settimane, e come sia diventata soprattutto la protesta della scuola - che agita le piazze, già collegandole idealmente ai cortei di sabato - la spina dorsale di una iniziativa che era stata lanciata su temi assai diversi. Si può giudicarla comunque inopportuna, considerati i venti di crisi che soffiano sul Paese; o immaginare che serva più al Pd, impegnato a serrare le file, piuttosto che all’Italia; o ipotizzare, addirittura, che rischi di diventare un pericoloso boomerang per Walter Veltroni, che tanto ci ha investito. Su una cosa, al contrario, si dovrebbe esser tutti d’accordo: che la manifestazione di sabato sia pacifica e che possa svolgersi con tranquillità e senza incidenti. Ma se questo è l’auspicio che dovrebbe accomunare maggioranza e «opposizione responsabile», allora non si può non rilevare come le dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente del Consiglio - intorno all’intenzione di far intervenire la polizia nelle università e nelle scuole occupate - non rappresentino certo una iniezione di pacatezza e di serenità. Infatti, che sia stato o no voluto, il risultato prodotto dall’annuncio di Berlusconi è stato quello di saldare idealmente in un unico fronte i vari movimenti di protesta - a partire da quello studentesco - che inevitabilmente cominciano ad agitare un Paese sull’orlo della recessione. E non a caso, da più parti si è così levata la richiesta che i cortei annunciati per sabato a Roma vengano ora aperti «a tutte le forze antiberlusconiane della società civile» (Flores d’Arcais, direttore di MicroMega): con il risultato, se questo avvenisse, di mutare il senso dell’iniziativa del Pd, trasformandola in una riedizione di qualcosa che questo Paese ha già conosciuto (l’antiberlusconismo pregiudiziale e viscerale), che il centrosinistra ha già pagato e per la quale Silvio Berlusconi incassa da anni lauti dividendi politici. Non sappiamo, appunto, se è con questa intenzione (schiacciare l’opposizione del Pd su posizioni radicali) che il presidente del Consiglio ha voluto alzare la tensione e i toni della polemica, prima di partire alla volta della Cina. un fatto, però, che la via tracciata non pare certo fatta per convincere studenti, insegnanti e genitori che la riforma voluta dal ministro Gelmini e approvata ieri per decreto (il ventitreesimo in cinque mesi) e con voto di fiducia (il settimo dall’insediamento del governo) sia la ricetta giusta per risistemare almeno un po’ la scuola italiana. Del resto, da almeno trent’anni non c’è esecutivo - compresi i precedenti governi del Cavaliere - che non si sia puntualmente ritrovato, ad ogni autunno, a dover fare i conti con i disagi e le proteste del mondo universitario e studentesco: ma non si ricorda, a memoria, che la risposta a cortei e occupazioni sia stata l’irruzione di poliziotti in assetto antisommossa in scuole e atenei. Può darsi che in passato si sia esagerato col lassismo. Ed è fuor di dubbio che vada garantito a studenti e insegnanti il diritto a frequentare scuole e università, checché ne dicano assemblee autogestite e comitati di base. Ma passare da un eccesso all’altro non è mai una buona ricetta. Anche perché si creano precedenti potenzialmente pericolosi. «Che accadrà se e quando a protestare saranno gli operai delle fabbriche in crisi? - ha chiesto ieri Veltroni -. Si manderà la polizia anche lì?». Un ripensamento - e l’approdo ad una linea di maggior equilibrio - è dunque auspicabile, perché anche il decisionismo e il polso fermo hanno un confine che è rischioso oltrepassare. Va bene l’euforia e il senso di sicurezza che arrivano dai sondaggi; ed è certo comprensibile l’ebbrezza da «decisione rapida» prodotta dal legiferare per decreto e con voti di fiducia (efficienza e decisioni veloci continuano ad esser assai apprezzate dai cittadini). Ma una cosa è mandare più poliziotti a Caserta e l’esercito davanti alle discariche napoletane, e altra è «militarizzare» scuole e università. Si convinca, il premier, che quella via - oltre ad esser sbagliata - non gli porterà il consenso non solo degli studenti, ma probabilmente nemmeno quello di docenti e genitori. Senza contare il rischio, naturalmente, di trasformare la manifestazione di sabato in un evento ad alta tensione ed esposto ad ogni provocazione.