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 2008  ottobre 21 Martedì calendario

MILANO

Dopo l’Auditel, arriva il Qualitel. Sponsorizzato dall’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, sarà il nuovo indice di gradimento dei programmi tv targati Rai. Il via all’inizio del 2009. Ma servirà?
Giancarlo Leone, vicedirettore generale della Rai, obbedisce ma... «Come Rai non siamo i motori di questa iniziativa, ma facciamo nostra una richiesta del ministero. Ero tra i più freddi e continuo a esserlo: sono scettico sul fatto che questo sistema di valutazione migliori la qualità del servizio erogato. La qualità percepita non modificherà più di tanto le nostre strategie. Credo che si tratti più di un’operazione di immagine che di sostanza».
Ogni giorno sarà intervistato un campione di persone (circa 5.000) che esprimerà un giudizio sui programmi tramite una scala di gradimento articolata. Con un costo non indifferente: quattro/cinque milioni di euro l’anno. Soldi ben spesi? «Io quei soldi li spenderei sul prodotto – dice Leone ”. La qualità sta nelle persone che si scelgono, nel lavoro sui progetti, in un piano editoriale che è stato giudicato da tutti innovativo».
Il guru di Striscia la notizia e Paperissima
Antonio Ricci è beffardo: «Mi sembra un’inutile baracconata. Vedo in tv molte cose che sono spacciate per essere di qualità e non lo sono. Il telecomando è il tuo qualitel. E poi trovo che vadano in onda programmi obbrobriosi che però sono di stimolo». Pausa. «Prendiamo Sanremo, un prodotto pazzesco – sogghigna ”: alimenta commenti, discussioni, il divertimento è nel chiacchiericcio che genera ». Il punto per Ricci è un altro: «Andrebbero resi noti i risultati dell’Auditel solo per le fasce di spettatori fino a 50 anni: è l’unico modo per far sì che non vengano inseguiti modelli stantii di televisione. Così come è ora invece si va a alla ricerca di un pubblico troppo anziano, scacciando i giovani dalla tv».
Pippo Baudo applaude il Qualitel: «Lo invoco da anni, per una tv di servizio pubblico come la Rai è un imperativo categorico. Non è vero che il pubblico vuole il trash. Bisogna alzare l’asticella della qualità, senza essere elitari, e il pubblico ti segue. Lo vedo a Domenica in:
parlo di arte, poesia e teatro: e la gente mi premia con gli ascolti. Quantità e qualità possono benissimo andare a braccetto».
Antonio Marano, direttore di Raidue, invece la pensa come Ricci: «Per me la qualità è determinata da un sola cosa: il telecomando». Stabilito questo principio l’idea non è da buttare: «Ben venga uno strumento che aiuta a capire cosa pensa il telespettatore, un aiuto a come migliorare l’offerta dei programmi. Ma poi la qualità è anche soggettiva. Se chiedo a chi guarda
Palcoscenico un giudizio sull’opera che hanno visto, la risposta sarà positiva per l’80 per cento dei telespettatori, ma non per questo il giorno dopo metto in prima serata Palcoscenico
». Conclusione: «Saranno rilevazioni che non incidono direttamente sul palinsesto».
Sulla stessa lunghezza d’onda di Baudo si era espresso Renzo Arbore: «Lo aspetto da anni. Il Qualitel non serve soltanto per individuare se un programma è di qualità o no, ma anche a capire se è amato o no. Poi è importante la qualità del pubblico che ti vede». La differenza sta tra chi guarda passivamente e tiene la tv accesa come «atmosfera di sottofondo » e chi vuole qualche cosa di più. «Se la qualità del pubblico è buona, è una grande conquista, perché quel pubblico lì poi fa da battistrada per l’altro pubblico, quello passivo, quello che si accontenta e quello che crede che questa è la televisione ». Maria De Filippi, stakanovista del video ( Uomini e donne, Amici, C’è posta per te) assicura: «Non ho niente in contrario purché non venga utilizzato in modo ipocrita». Spieghi... «Ogni volta che un programma non ha raggiunto un buon risultato di Auditel, subito conduttori e produttori si affrettano a dire che però lo guardano i laureati e che quindi è un programma di qualità. Invece io dico che quando uno show fa sei milioni di spettatori vuol dire che prende tutto il bacino televisivo, dai laureati a chi ha studiato di meno. Quando intervistano la gente per strada tutti a dire che guardano Raitre e i documentari, poi leggi il dato di ascolto e viene fuori che la realtà è un’altra. Il concetto di qualità troppo spesso serve da giustificazione a chi non fa ascolti».