Gustavo Selva - Sergio Romano, Corriere della Sera 21/10/2008, 21 ottobre 2008
Con i miei 24 anni fui il più giovane dei giornalisti italiani che, nel febbraio ’60 seguirono l’incontro fra il presidente Gronchi e il leader del Pcus Kruscev e testimone, quindi, della scena che avvenne all’Ambasciata d’Italia
Con i miei 24 anni fui il più giovane dei giornalisti italiani che, nel febbraio ’60 seguirono l’incontro fra il presidente Gronchi e il leader del Pcus Kruscev e testimone, quindi, della scena che avvenne all’Ambasciata d’Italia. Kruscev mise in atto un abile tentativo di far nascere una crisi politica fra l’Italia e la Germania sul delicatissimo tema dell’Alleanza Atlantica. Forse convinto del presunto «neutralismo» di Gronchi, il leader comunista sovietico gli fece due provocazioni: che ne pensa del Trattato di pace che vogliamo firmare con la Germania Est? E di seguito un altro affondo: i vostri soldati sono venuti insieme con i tedeschi di Hitler a combattere contro il popolo sovietico, tentando di conquistare Mosca, ma il nostro eroico «esercito del popolo» ha sconfitto questa criminale azione. «Oggi – replicò Gronchi – l’Italia è uno Stato democratico, dove le decisioni, anche per le azioni militari del Patto Atlantico, vengono prese dal Parlamento sovrano. Kruscev contrattaccò in chiave di conquiste scientifiche: «La bandiera rossa dell’Unione Sovietica sta sulla Luna (lo Sputnik da cinque mesi era arrivato là, ndr), mentre voi, con il vostro Stato borghese alleato dell’America avete milioni di disoccupati, lavoratori che muoiono di fame; ecco perché il comunismo vincerà (...) e, allora anche lei, signor presidente, sarà comunista». «No – replicò Gronchi – sarà lei a diventare democratico». Qualche mese dopo la sua missione a Mosca Giovanni Gronchi voleva inviare una lettera personale all’allora presidente degli Stati Uniti Eisenhower atteso in visita ufficiale a Roma. Ma il ministro degli Esteri Gaetano Martino bloccò la bozza convinto che in ogni caso era impossibile aspettarsi la conversione dell’Urss di Kruscev alla democrazia e al carattere difensivo e promotore di libertà e di pace dell’Alleanza Atlantica. Secondo me quel che accadde a Mosca non fu soltanto una «sgangherata filippica», bensì una manovra di Kruscev per mettere in difficoltà l’Italia con la Germania di Adenauer: piano che fallì fortunatamente nella disputa su chi doveva convertirsi: se, come scrisse Giovanni Ansaldo, Gronchi al comunismo o Kruscev alla democrazia cristiana con o senza «l’aiuto dello Spirito Santo». Gustavo Selva Roma Caro Selva, A l quadro offerto dalle memorie di Luca Pietromarchi e di Giovanni Ansaldo, lei aggiunge ora un fatto nuovo e poco noto: lo «scandalo» della lettera che Giovanni Gronchi avrebbe voluto inviare al presidente Eisenhower e che Gaetano Martino riuscì a fermare. Ma l’episodio risale al maggio del 1957 e concerne i rapporti italo-americani in Medio Oriente anziché quelli del-l’Italia con l’Unione Sovietica. Oltre a Martino, quella vicenda ebbe due protagonisti: Alberto Rossi Longhi, segretario generale del ministero degli Esteri a Palazzo Chigi, e Mario Luciolli, consigliere diplomatico di Gronchi al Quirinale. Luciolli era un diplomatico scomodo e schietto, poco incline ad accettare docilmente gli ordini da cui dissentiva. Pochi mesi prima aveva informato il suo ministero che il presidente della Repubblica aveva fatto proposte all’ambasciatore sovietico per la soluzione della questione tedesca, e aveva provocato così uno scontro tra governo e Quirinale. Ebbi una dimostrazione della sua ruvida indipendenza all’inizio degli anni Settanta quando pranzai con lui e Carlo Donat Cattin in un ristorante di Parigi. Non appena la conversazione cadde sul clima politico e sociale italiano di quegli anni (scioperi, occupazioni, cortei, violenza nelle strade), Luciolli, allora ambasciatore nella Repubblica federale tedesca, disse al ministro, senza peli sulla lingua, che la colpa era interamente della classe politica italiana e soprattutto dei sindacati. Donat Cattin replicò pacatamente e incassò senza battere ciglio. Era focoso nelle piazze, ma non privo di buon senso e poteva essere all’occasione un eccellente democristiano. Luciolli non era d’accordo con il debole atlantismo di Gronchi e con la linea di politica estera che il capo dello Stato cercava d’imporre al governo. Ma la lettera al presidente Eisenhower concerneva il Vicino Oriente dove Italia e Stati Uniti, dopo la crisi di Suez, avrebbero dovuto, secondo Gronchi, creare una sorta di asse. Come lo stesso Luciolli scrisse più tardi, il presidente «sognava che l’Italia entrasse in un direttorio delle grandi potenze, esercitasse un’azione mediatrice nel Vicino Oriente, acquistasse prestigio, ottenesse riconoscimento ». Quando lesse la lettera che Gronchi voleva inviare al presidente americano in previsione della visita che avrebbe fatto di lì a poco negli Stati Uniti, Rossi Longhi informò Martino e riuscì a mandare all’aria l’operazione diplomatica di Gronchi. Come ho raccontato in altre risposte, gli screzi tra il governo e il presidente della Repubblica furono numerosi e coinvolsero Giuseppe Pella, Giuseppe Saragat, Gaetano Martino, Antonio Segni, tutti decisi a impedire che Gronchi diventasse un ingombrante super ministro degli Esteri. Credo che fosse questa, al di là delle concrete divergenze sulle iniziative del presidente, la vera ragione del dissenso. Gli anni Cinquanta e Sessanta furono quelli in cui la costituzione italiana venne rodata. Einaudi, durante la sua presidenza, aveva intrattenuto rapporti epistolari con i maggiori ambasciatori italiani e aveva adottato uno stile simile a quello dei Savoia nell’ambito dello Statuto. Gronchi si spinse oltre e cercò di promuovere una svolta nella politica atlantica del Paese. I governi reagirono e riuscirono ad affermare il principio che la politica estera si fa nei palazzi dell’esecutivo, non sul «colle».