Sergio Rizzo, Corriere della Sera 21/10/2008, 21 ottobre 2008
ROMA – Maurizio Sacconi lo definisce «una sorta di pregiudizio »: quello in base al quale per un malato di cancro «quasi necessariamente si interrompe la vita lavorativa»
ROMA – Maurizio Sacconi lo definisce «una sorta di pregiudizio »: quello in base al quale per un malato di cancro «quasi necessariamente si interrompe la vita lavorativa». Un «pregiudizio» che ora «deve cadere», parola del ministro del Welfare. Il suo appello arriva nel modo che da uno schivo come Sacconi mai ti potresti aspettare: rivelando durante un convegno a Milano di essere stato anche lui colpito dal tumore. Gli è successo quattro anni fa, quando era al ministero del Lavoro, non come oggi ministro, ma nel ruolo di sottosegretario. Una forma rarissima, combattuta e sconfitta grazie «a una diagnosi molto precoce che ha consentito anche di limitare l’impatto della terapia». Ma anche con l’aiuto del lavoro, che Sacconi non ha mai abbandonato. «I malati oncologici sono persone. Sono molti di noi, e io sono fra questi, per mia fortuna in modo pare contenuto », ha dichiarato pubblicamente. E poi spiega: « una situazione normale, perché le statistiche ci dicono che si tratta di percentuali molto elevate. La mia esperienza dice che con la prevenzione e con una diagnosi precoce si possono anche evitare terapie pesanti. Spesso, invece, ci sono condizioni di cure difficili, ma oggi le persone colpite da questa malattia possono avere una aspettativa di vita lunga. E, anche chi deve affrontare una terapia non breve e magari pesante, può essere messo nelle condizioni di continuare a lavorare » dice il ministro del Welfare. Ricordando «i passi avanti» fatti su questo piano «dalla legge che porta il nome di Marco Biagi». Passi avanti che tuttavia, insiste Sacconi, «non sempre sono conosciuti dal malato oncologico». La legge Biagi «ha avviato a soluzione – dice il ministro – il problema di come adattare la capacità lavorativa alla nuova situazione di una malattia oncologica. In questo caso si può decidere di passare al part time dal tempo pieno, per poi tornare alle condizioni iniziali una volta guariti». Dopo la legge Biagi, rammenta ancora Sacconi, «c’è stata una norma che ha esteso questo diritto anche ai lavoratori pubblici». Ora, però, secondo il ministro del Welfare, è necessario «un passaggio ulteriore che spetta alle parti sociali». il problema del cosiddetto periodo di comporto, il lasso temporale durante il quale si può mantenere il posto di lavoro essendo in una condizione di malattia. Ebbene, per Sacconi è necessario che le parti sociali concordino attraverso i contratti collettivi «un allungamento » di questo periodo per chi è colpito da tumore. «Il tema è: dobbiamo fare in modo che il malato oncologico resti inserito nel mondo del lavoro, magari anche, in determinate situazioni, alleggerendo le mansioni. Perché questo è anche un mezzo importante per mantenere alte le difese contro la malattia. Il lavoro aiuta a contrastare la depressione che in questi casi talvolta è inevitabile», dice il ministro. «La cosa importante è capire che questa malattia non deve nel modo più assoluto portare ad accantonare le persone in attesa della fine. E mi rivolgo – conclude – anche ai datori di lavoro». Il nuovo «Mario Negri» Sacconi davanti all’istituto di ricerca: 30 mila metri quadrati di laboratori Sergio Rizzo