Giorgio Dell’Arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 22 ottobre 2008
VOLLARO
VOLLARO Luigi Napoli 18 dicembre 1932. Camorrista. Alias ”o Califfo. Detenuto nel carcere di Parma. in regime 41 bis dal 21 luglio 1992 • «Ho lavorato sodo. E nella mia vita ci sono poche soddisfazioni. Tra queste le donne, per l’appunto. Loro mi piacciono. E io, modestamente, piaccio tantissimo a loro. Cianno la passione per me» (intervistato da Sergio De Gregorio, durante un processo) • Tra i soci fondatori della Nuova Famiglia, all’inizio come vice del ras di Forcella Luigi Giuliano: «Io ero il capo dei capi e a me era riconosciuto un vincolo superiore a tutti gli altri, l’ultima parola spettava sempre a me, anche se Vollaro era più anziano. I capi si incontravano quasi sempre di sera, per prudenza Vollaro, ad esempio, aveva il vizio di uscire di casa quando scurava, perché era latitante » (Luigi Giuliano) • Iniziato alla malavita dal padre, don Raffaele, che controllava il mercato agricolo, fa i soldi mettendosi con Michele Zaza: contrabbando delle sigarette prima, traffico di droga ed estorsione poi. Si avvale anche dei numerosi figli avuti dalle sue amanti. Negli anni Settanta domina con i suoi uomini la zona compresa tra Portici, San Sebastiano al Vesuvio e San Giorgio a Cremano. Ufficialmente è un costruttore edile, e in effetti tira su palazzi in tutta l’area vesuviana, compresa casa sua, una villa di quattro piani, quaranta stanze in tutto, dove convivono le sue amanti •Ammazza per la prima volta per onore, il 2 agosto 1979, sparando in petto ad Antonio Scotto, portinaio di San Giorgio a Cremano, che prima di spirare dice ai soccorritori: « stato Luigi Vollaro ». Il poveretto aveva fatto l’errore di mettersi proprio con Giuseppina Velotto, da cui ”o Califfo ha avuto tre figli. Anche lei è punita, e il suo corpo bruciato (le sue ossa carbonizzate sono trovate da un cane una mattina di novembre, a San Sebastiano, lungo le pendici del vulcano). Lui negherà sempre di avere ucciso la Velotto: «Quella donna è scappata di casa, lasciandomi tre figli che stanno ancora con me. Sarà all’estero, chissà dove. I carabinieri hanno trovato un piede e credono che sia il suo». Sarà condannato a 25 anni e quattro mesi per entrambi gli omicidi (13 luglio 1984). [dag] Il 1° marzo 1982 viene arrestato con l’accusa di essere il mandante di quattro omicidi e di essere a capo di un’organizzazione che si oppone alla Nuova Camorra Organizzata di Cutolo. Il blitz all’alba, nella sua villa, dove si consegna dopo aver minacciato di far saltare tutti in aria. Tre ore di trattative, si concorda che non venga arrestato nessuno dei suoi familiari (nella villa harem di San Sebastiano sono trovate sedici donne – alcune sono parenti -, e sequestrate due pistole, coltelli, due bombe e due fucili automatici). Prima di farsi ammanettare chiede e ottiene di farsi una doccia, e si fa tradurre in carcere in un elegante doppio petto grigio. Inizia la sua processione nelle aule di giustizia • La sua prima condanna è all’ergastolo (2 gennaio 1983) per aver ucciso Giuseppe Mutillo, di anni 24, punito per essere passato al clan rivale cutoliano (nella storia è la prima condanna di un capoclan all’ergastolo). Nel maggio successivo, altro processo, insieme ad altri 68 imputati, tutti accusati di essere affiliati alla Nuova Famiglia, e altra condanna, a sei anni di reclusione. Nel frattempo si pentono Salvatore Zanetti e Achille Lauri, e il 16 marzo 1984 la magistratura emette 512 ordini di cattura contro altrettanti esponenti della Nuova Famiglia, tra cui molti uomini del califfo. Il 13 aprile scoppia una bomba sotto l’abitazione di Mario Mastrogiacomo, suocero di Zanetti, a San Giorgio a Cremano (non muore nessuno), i pentiti ritrattano, ma ormai la magistratura ha ricostruito gli affari di Vollaro, e nell’87 gli sequestrano immobili e azioni. A fare le sue veci intanto ci ha pensato il figlio Antonio, ma nell’86 è arrestato anche lui, e condannato per l’omicidio Senatore-Esposito • Il colpo decisivo alla sua organizzazione viene dato nel 95 dalle dichiarazioni rese da altri due pentiti, i fratelli Pietro e Simone Cozzolino, ex alleati di Vollaro, che provocano una maxiretata contro 189 affiliati. Qualche mese dopo si pente perfino un figlio del califfo, Ciro (cocainomane), seguito da due suoi luogotenenti, Francesco Di Pierno e Francesco Patriota. Per altro Ciro scagiona il fratello Antonio dall’omicidio Senatore-Esposito, confessando di essere lui il responsabile, e prendendosi così 23 anni di carcere. Mentre il califfo, nel 97, si prende un altro ergastolo per l’omicidio di Carlo Lardone, ucciso nel 77 • Il 9 ottobre 2003 la polizia sta mettendo sotto sequestro la sua paninoteca pizzeria, in via Leonardo da Vinci, al centro di Portici, e per protesta sua nipote Anna Vollaro, di anni 41, si dà fuoco (muore tre giorni dopo). Nel 2005 i carabinieri pongono fine alla latitanza di un altro suo figlio, Giuseppe Vollaro (condannato nel 2000 a 24 anni di reclusione per associazione a delinquere e spaccio di sostanze stupefacenti) • I carabinieri non trovandolo nel suo appartamento di via Cardano, a Portici, stavano per andarsene, quando lui, nascosto in una botola, si accende una sigaretta, e il fumo esce dal pavimento • Che Luigi Vollaro sia ”o Califfo solo di nome ma non più di fatto si capisce nel dicembre 2005: dei ladruncoli gli svaligiano un appartamento a Ercolano, portandosi via 120 tra quadri e tele, per un valore di 100 mila euro (Bruno De Stefano) • L’11 settembre 2006 il figlio Ciro viene trovato impiccato nella sua cella a Rebibbia (gli agenti di polizia penitenziaria gli avevano appena somministrato i tranquillanti prescritti dal medico, che gli aveva diagnosticato una depressione bipolare). Proprio sulla base delle sue dichiarazioni nel 2005 la Cassazione aveva condannato definitivamente il padre all’ergastolo per l’omicidio Lardone, ritenendole «intrinsecamente credibili» («in quanto caratterizzate da spontaneità, continuità e coerenza e non mosse da alcun riconoscibile intento calunnioso riconducibile ad interesse ovvero ad odio, rancore o altra pulsione psichica che potesse avere del tutto annullato il naturale amore filiale»). Nei motivi di ricorso la difesa di Luigi Vollaro aveva invano argomentato che il figlio non poteva essere ritenuto credibile, in quanto pieno di rancore nei suoi confronti, per essere certo, come lui stesso aveva dichiarato, che il padre avesse dato ordine di ucciderlo, dopo che lui aveva litigato con la famiglia (che lo aveva «costretto ad accusarsi dell’omicidio di Senatore Vincenzo da lui commesso e per il quale era stato condannato con sentenza definitiva il fratello Vollaro Antonio») • Possedeva una tela di Botticelli, suo pittore prediletto (Roberto Saviano). [Paola Bellone]