Giorgio Dell’Arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 22 ottobre 2008
VITALE Giuseppa
VITALE Giuseppa Partinico (Palermo) 25 febbraio 1972. Pentita, a suo tempo mafiosa. Detta ”Giusy”. «Il primo boss in gonnella della storia della mafia». Separata, due figli • Sorella di Vito e Leonardo, boss di Partitico, schierati dalla parte degli stragisti (vedi GIUFFR Antonino), che dopo la terza media le dicono di lasciare zainetto e sussidiari e di mettersi a fare la ”postina” per Cosa Nostra. Latitante il primo e detenuto il secondo, assume la reggenza del mandamento di Partinico e il 20 giugno 1998 ordina personalmente l’omicidio di un Salvatore Riina, salumiere di Partinico, ritenuto informatore di Provenzano (allora a capo della fazione moderata di Cosa Nostra). Dopo quattro giorni, il 24 giugno 1998, finisce in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Condannata in primo grado a sei anni, ridotti in appello a quattro e mezzo, viene scarcerata il 25 dicembre 2002. Il 4 marzo 2003 viene arrestata di nuovo, questa volta con il marito, Angelo Caleca, elettricista, entrambi con l’accusa dell’omicidio del salumiere Riina. Due anni dopo si pente, dicendo ai pm Maurizio De Lucia e Francesco Del Bene: «Voglio chiacchierare bellu linnu linnu» (’bello pulito pulito”, dire la verità). Spiega di averlo fatto per i figli, ma per prima cosa chiede il permesso di vedere l’amante, Alfio Garrozzo, ex pentito di Catania, detenuto, che per questo e per attribuirsi il merito del pentimento scrive all’Ansa («Giusy Vitale ha collaborato con la giustizia solo per amore, amore che prova per me. E io, nella stessa misura, provo per lei»). Pentendosi ammette l’omicidio e accusa anche il fratello Leonardo, così meritandosi la sua maledizione durante il processo: «Ho saputo che una mia ex consanguinea sta collaborando. Noi la rinneghiamo sia da viva che da morta e speriamo che lo sia al più presto» (in un’altra udienza il fratello le dà dell’«insetto velenoso»). Interrogato in aula, il marito invece casca dalle nuvole quando gli chiedono se sapeva che sua moglie lo tradiva: «Non sapevo nemmeno che mia moglie avesse un telefonino, se avessi saputo l’avrei abbandonata nel carcere, non l’avrei aspettata per quattro anni e mezzo». Il 13 luglio 2006 è stata condannata per l’omicidio a sedici anni (assolto il marito, condannato all’ergastolo il fratello) • «Conclusa la carriera di capo mafioso, durante la detenzione Giusy recuperò quei tratti femminili che era stata costretta a occultare come boss. Iniziando a studiare e ponendo attenzione al proprio aspetto estetico, la donna dimostrò di volersi prendere cura di sé riappropriandosi del lato femminile del suo carattere, che in precedenza aveva dovuto soffocare al fine di conquistare un ruolo altrimenti precluso alle donne» (Ombretta Ingrascì) • Enzo Brusca, collaborando alle indagini per catturare Vito Vitale, ebbe a dichiarare al pm Alfonso Sabella: «Lo accudiscono come un neonato e lo trattano bene. Come un giglio nell’orto. Soprattutto Giusy, la sorella più piccola. Quella è una donna giovane ma capace di tutto». [Paola Bellone]