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 2008  ottobre 21 Martedì calendario

la Repubblica, martedì 21 ottobre Ci sarà una terza fase della crisi, e da dove verrà? La prima ondata ha sconquassato il settore bancario innescando la precipitosa escalation di salvataggi pubblici

la Repubblica, martedì 21 ottobre Ci sarà una terza fase della crisi, e da dove verrà? La prima ondata ha sconquassato il settore bancario innescando la precipitosa escalation di salvataggi pubblici. La seconda è la recessione che deprime l´economia reale. Il terzo capitolo potrebbe aprirsi all´insegna del rischio-paese. E stavolta gli anelli deboli del sistema sono le nazioni emergenti, l´ultimo motore ancora acceso della crescita globale. Il governo di Pechino ha rivisto al ribasso le sue stime di crescita: dopo l´11,7% di aumento del Pil nel 2007, la Cina rallenta al 9%. E´ il prezzo inevitabile per il calo dei consumi in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone, le tre aree colpite dalla recessione che sono anche i tre sbocchi più importanti delle esportazioni made in China. Fin qui il danno appare contenuto: in qualunque altra parte del mondo un aumento del 9% del Pil si chiama boom. Ma un taglio netto del 2,7% alla crescita non è indolore. In una nazione di 1,3 miliardi di abitanti, dove in media 15 milioni di contadini abbandonano le campagne ogni anno per cercare lavoro in città, la stabilità sociale esige un ritmo di sviluppo molto sostenuto. Già adesso nella regione meridionale del Guangdong l´industria tessile è in gravi difficoltà, i licenziamenti di massa si moltiplicano, scatenando proteste violente. Per sua fortuna la Repubblica Popolare fronteggia questa crisi con una solidità finanziaria notevole. Le riserve valutarie della banca centrale di Pechino sfiorano il livello record di duemila miliardi di dollari. A differenza delle famiglie americane, quelle cinesi non sono affatto indebitate, al contrario custodiscono un immenso giacimento di risparmio: il 40% del loro reddito. Tuttavia qualche punto debole c´è, nei settori contagiati dallo stesso morbo dell´Occidente: nelle grandi città come Pechino e Shanghai si sgonfia la bolla speculativa del mercato immobiliare; il colosso finanziario Citic (controllato dallo Stato) ha dovuto rivelare un buco di bilancio di 1,9 miliardi di dollari in seguito ad azzardate speculazioni sull´euro. Proprio mentre il governo italiano si preoccupa di erigere barriere contro eventuali incursioni ostili dei fondi sovrani stranieri, a Pechino la tendenza è di segno opposto. Le holding di Stato si sono pentite per essere venute in soccorso alle banche occidentali mesi fa, acquistando partecipazioni azionarie il cui valore si è assottigliato. Ora la priorità per il fondo sovrano cinese diventa un´altra: è un´arma da tenere in riserva per sostenere l´economia nazionale, se l´impatto della crisi dovesse peggiorare. Altre nazioni emergenti affrontano la tempesta senza l´arsenale finanziario della Cina. Il Pakistan - un paese cruciale per ragioni geostrategiche - è sull´orlo dell´insolvenza e può essere costretto a chiedere l´aiuto dell´Fmi. In Corea la moneta nazionale precipita. Il governo di Seul ha dovuto imitare europei e americani varando un piano di aiuti di Stato alle banche. Nona potenza industriale del pianeta, la Corea è colpita due volte: non solo dal calo delle esportazioni, ma anche dalla deflazione mondiale delle materie prime e dei noli marittimi, essendo un big dell´acciaio e della cantieristica navale. In India la banca centrale ha tagliato nuovamente i tassi per cercare di sostenere la domanda interna. La gravità della situazione ha indotto Cina, Giappone e i "dragoni" del sudest asiatico (Asean) a mettere da parte diffidenze e rivalità per organizzare un fondo comune sovranazionale destinato ai salvataggi bancari. Il rischio-paese lambisce anche l´Europa. La bancarotta virtuale della piccola Islanda finora è stata oggetto di curiosità ironiche: salvo che in Inghilterra, dove diverse tesorerie municipali, e perfino gli amministratori delle polizie di contea, avevano affidato la loro liquidità a banche islandesi online che offrivano tassi d´interesse appetitosi. Ora lo spettro dell´insolvenza di interi Stati sovrani si estende verso paesi meno piccoli, come l´Ucraina. Non sono al riparo alcuni membri dell´Unione europea. L´Ungheria è in serie difficoltà, anche perché in anni più felici una parte della sua popolazione fu convinta a sottoscrivere mutui-casa in franchi svizzeri, il cui rimborso rincara di giorno in giorno. La Danimarca e la Polonia improvvisamente vogliono bruciare le tappe per l´ingresso nell´euro, l´unico scudo che può proteggerle da crisi di sfiducia, fughe di capitali ed emorragìe nella bilancia dei pagamenti. L´Unione europea e l´America hanno cercato di tappare le falle più vistose della crisi con dei rimedi estremi. Ora i costi di quelle terapie mettono a nudo nuovi punti deboli nel sistema globale. La corsa a rassicurare i mercati e a ricostruire la fiducia dei risparmiatori con dei vasti ombrelli di garanzia statale, rivela che la "coperta" è troppo corta. Non tutti i ministri del Tesoro del pianeta hanno gli stessi mezzi. Nella gara a chi si protegge di più dalle insolvenze bancarie, qualcuno resta staccato dal branco di testa. Sono passati appena undici anni da quando le insolvenze sovrane fecero crollare come birilli i dragoni del sudest asiatico, e dieci anni dalla bancarotta della Russia. Nel momento in cui l´economia di mercato cerca rifugio sotto l´abbraccio accogliente dei governi, c´è chi si ricorda che anche gli Stati possono fallire. Federico Rampini