Giorgio Dell’Arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 21 ottobre 2008
PINO Francesco
PINO Francesco Cosenza 26 marzo 1952. ”Ndranghetista. Pentito (secondo il pm antimafia Nicola Gratteri, l’unico vero pentito di ”ndrangheta, oltre a Filippo Barreca). Attualmente è agli arresti domiciliari • Detto Franco, soprannominato il boss dagli occhi di ghiaccio•Figlio di un’insegnante e di un macellaio (che con la mala e con la ”ndrangheta non ebbero mai a che fare), si prese il diploma con buoni voti e aprì un negozio di fiori. Ma un bel giorno, per difendere l’onore della sorella infastidita da un delinquentello, finì in carcere, e uscito di lì entrò nella mala cosentina. Scalò la gerarchia della ”ndrangheta fino a raggiungere il grado di ’diritto e medaglione”, conferito dal padrino Umberto Bellocco • Fu lui che, ordinando l’uccisione di Luigi Palermo, detto ”u Zorru” (il 14 dicembre 1977, vicino al cinema Garden, a Cosenza, a colpi di pistola sparati da due killer), trapiantò la ’ndrangheta nel territorio cosentino. ”u Zorru era il suo capo e il capo di tutta la criminalità cosentina, ma siccome sfruttava le prostitute, la ”ndrangheta non voleva averci niente a che fare («il territorio veniva considerato in mano a una criminalità bastarda », come dichiarò il pentito Roberto Pagano). Lo uccise perché non sopportava il fatto di essere stato chiamato «infame» da lui davanti a tutti (in effetti aveva fatto arrestare un suo nipote acquisito, Franco Perna, confidando ai carabinieri che era il responsabile di una rapina a un treno carico di denaro e gioielli). Morto ”’U Zorru”, fu Perna a pretendere di assumere la guida del clan, e come prima cosa organizzò un’imboscata contro Pino che andava a festeggiare la sua scarcerazione (13 luglio 1978, ci furono solo feriti). Fu guerra di successione. Da una parte i Pino-Sena, dall’altra i Perna-Vitelli. I due si strutturarono secondo le gerarchie previste della ”ndrangheta e accettandone i riti appresi in carcere • Avendo una cosca piccola, cercò di allearsi ai Piriomalli di Gioia Tauro o ai Condello di Reggio, offrendo anche servizi di killeraggio, per esempio il duplice omicidio Geria-Saffioti (in Scalea, Cosenza, 6 agosto 1983). Adoperò anche sicari di Cutolo, che nessuno conosceva e che poi lui aiutava a nascondersi • Momento culminante della guerra con Perna (che contò 27 morti): quando, essendo rinchiuso a Colle Triglio, spararono contro la finestra della sua cella, mancando lui ma pigliando Mario Lanzino, fedelissimo. Pino rispose organizzando un assalto contro il padiglione che ospitava i detenuti affiliati a Perna (senza conseguenze). Poi riferì ai carabinieri il colore dell’auto usata dai killer per venirlo ad ammazzare. C’era un avvocato, Silvio Sesti, che serviva entrambi i clan e andò a riferire a Perna che Pino aveva raccontato ai carabinieri il fatto del colore dell’auto. Sesti venne poi ammazzato il 21 giugno 1982, ma Pino, su richiesta dello stesso pm Stefano Tocci, non fu ritenuto colpevole • La pace tra i due gruppi venne siglata nel 1986, bar Due Palme in pieno centro storico di Cosenza, garanti i boss Giuseppe Pesce di Rosarno e Giuseppe Piromalli di Gioia Tauro. S’era pentito il picciotto Antonio De Rose e con quello che andava dicendo mandava dentro sia questi che quelli. «I vantaggi dell’intesa si registreranno subito: le rivelazioni di Antonio De Rose cadranno nel vuoto. Molti boss saranno prosciolti in fase istruttoria e l’originaria imputazione di associazione mafiosa verrà derubricata in associazione semplice» (Arcangelo Badolati). La pace fu ratificata nel 90 • Catturato in Sila nel 94, operazione Garden. Pentimento nel 95. Fece ritrovare ai carabinieri del colonnello Giovanni Nistri tutto l’arsenale della cosca (sepolto nelle montagne in casse a tenuta stagna), poi rivelò struttura del gruppo e alleanze con le cosche degli altri territori. Parlò pure dell’espansione della ”ndrangheta nella Romania del dopo Ceausescu (dove i clan, corrompendo funzionari di Stato, stavano per accaparrarsi i lavori per la costruzione del nuovo aeroporto di Bucarest e di un’autostrada lunga settecento chilometri). Parlò di appalti e tangenti (dopo avere imposto chi doveva rifornire di pane la mensa dell’Università di Cosenza, aveva preteso anche che i suoi picciotti ci andassero a pranzare gratis). Fu condannato per tutti i delitti confessati, nel 2000, con le attenuanti riconosciute ai collaboratori di giustizia (negate in primo grado) • Fece dichiarazioni che, insieme a quelle di altri pentiti, motivarono l’accusa per concorso esterno in associazione mafiosa contro l’onorevole Giacomo Mancini, socialista, salvo precisare poi di non aver mai detto di avere avuto contatti con lui, bensì di aver fatto un patto di scambio con l’ex consigliere regionale del Psdi Pino Tursi Prato alle elezioni regionali del 90 e poi alle elezioni comunali del 93 (l’ultima volta in favore di Mancini, candidato sindaco di Cosenza). Mancini fu assolto, Tursi condannato (Badolati) • Fece scandalo dichiarando che la squadra di calcio del Cosenza gli aveva dato dei soldi per comprare la vittoria in due partite: con l’Avellino, nell’89, e con il Pescara, nel 94 (che però vinse lo stesso, 2 a 0). [Paola Bellone]