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 2008  ottobre 21 Martedì calendario

La Stampa, martedì 21 ottobre Sono i numeri tedeschi che fanno infuriare l’industria italiana quando si parla della rivoluzione verde a cui si è votata l’Europa

La Stampa, martedì 21 ottobre Sono i numeri tedeschi che fanno infuriare l’industria italiana quando si parla della rivoluzione verde a cui si è votata l’Europa. A leggere i dati si scopre che un cittadino della Repubblica federale inquina parecchio più di quanto avviene nella Penisola, con un indice di emissioni serra pro capite calcolato in percentuale del prodotto interno lordo pari a 10,24 contro il nostro di 8,03. Storia che si ripete per il sistema-Paese. Alla voce «intensità energetica», ovvero mettendo in relazione consumi e prodotto interno, il popolo di Frau Merkel raggiunge lo 0,43 per cento a fronte dello 0,41 dell’azienda Italia. Allora, viene spontaneo domandarsi, perché noi siamo più verdi e loro spendono meno? La metafora più immediata la offre Carlo Stagnaro, direttore per la Ricerca dell’Istituto Bruno Leoni, think tank liberista. «In chiave italiana - spiega - il piano Ue chiede di mangiare meno a qualcuno che sta facendo la cura dimagrante». L’analisi si fonda sulla forte trasformazione che dal 1990 a oggi ha segnato la produzione di energia italiana, con l’addio al carbone in favore del gas. E’ un fatto che ci attribuisce margini minori e più costosi per contribuire al concerto contro i gas serra. «I tedeschi sono partiti da una posizione meno virtuosa e quindi si ritrovano in vantaggio sui costi» ammette Stagnaro. Al Belpaese l’Europa chiede pertanto di correre sul terreno dell’innovazione, puntando soprattutto su fonti alternative e rinnovabili, eoliche e fotovoltaiche, genere decisamente oneroso. Irrilevante è pensare di giocare la carta del nucleare perché non avrebbe effetto nei prossimi dodici anni. Pertanto, se si vuole mantenere alto lo spirito della lotta al cambiamento climatico, non resta che negoziare con Bruxelles la via meno dolorosa per raggiungere la meta. La Germania, potendo incidere con l’eliminazione del carbone, pagherà di meno. Qualche correzione, almeno a vedere i numeri, è possibile e necessaria. Stando alle stime della Commissione Ue gli inquinatori tedeschi avranno un costo annuo di pulizia compreso fra lo 0,49 allo 0,56% del pil a seconda degli scenari. L’Italia si ritrova la più salata forbice dello 0,51-0,66%. «Una delle ragioni - spiega Vittorio Prodi, fisico e eurodeputato liberaldemocratico - è che nel negoziare il protocollo di Kyoto (riduzione entro il 2012 su base 1990) la Germania ha fatto pesare l’inefficienza energetica della Repubblica democratica. Così ha abbassato i parametri». L’altro vantaggio per l’economia tedesca, spiega una fonte elettrica di Bruxelles, è il fatto che la percentuale di riduzione è calcolata senza considerare il mix di generazione energetica. «Per l’Italia - si fa notare - sarebbe stato corretto riconoscere la mancanza di un accesso diretto alle risorse e del nucleare, ma anche il fatto che il potenziale idroelettrico è sfruttato al massimo e i rigassificatori stanno a zero». E’ un indice di colpa, di poco dinamismo soprattutto politico. Lo rileva Rodolfo Pasinetti, responsabile Energia del centro studi Ambiente Italia. «Una ragione dei costi maggiori è la scarsa efficienza del sistema. Abbiamo effettuato grossi investimenti sulle rinnovabili. Ma il loro peso sul totale è rimasta ferma al 15 per cento». Vittorio Prodi sostiene che sarebbe meglio se la questione non fosse affrontata «per compartimenti stagni» e se i problemi fossero stati considerati come un insieme. Questo porta il discorso sull’auto, alla «curva piatta» introdotta da Bruxelles per le emissioni serra. Il meccanismo comunitario prescrive a chi produce veicoli più puliti (Italia e Francia) uno sforzo maggiore rispetto a chi lavora sulle grandi cilindrate (Germania). «I tedeschi - riassume il fisico bolognese - hanno fatto passare il principio del peso delle vetture, così chi inquina di più taglia di meno». Cambiare si dovrebbe, insomma. «Magari parlando del merito e non prendendo il toro per le corna», chiosa Prodi. Il che, però, è già un altro discorso. M.Zat.