Lucia Annunziata, La Stampa 21/10/2008, pagina 1, 21 ottobre 2008
La Stampa, martedì 21 ottobre I servizi segreti fanno capolino nella crisi finanziaria e non riesco a capire se dobbiamo preoccuparci o considerare questa storia un’ennesima esagerazione della politica
La Stampa, martedì 21 ottobre I servizi segreti fanno capolino nella crisi finanziaria e non riesco a capire se dobbiamo preoccuparci o considerare questa storia un’ennesima esagerazione della politica. Mercoledì 15 ottobre il presidente del Consiglio annuncia che esiste il pericolo di «opa ostili». Opa ostili, spiega il premier, su «molte validissime imprese italiane», che oggi hanno «una quotazione che non corrisponde assolutamente al loro giusto valore»: «Io ho notizia che i Paesi produttori di petrolio, che hanno molti fondi, stanno acquistando massicciamente sui nostri mercati». L’annuncio non è di quelli che passano inosservati: evoca la possibilità che l’Italia venga comprata e dunque dominata da altri Stati, in particolare da quelli arabi. I fondi sovrani sono quelli controllati direttamente dai governi, utilizzati per investire il surplus fiscale o le riserve di valuta estera. Ad esempio, la Cina ha massicciamente investito in titoli di Stato statunitensi, creando in Usa molti timori. La dichiarazione di Berlusconi crea un gran trambusto, al punto che il premier reinterviene per precisare che si tratterebbe solo di «speculazione finanziaria», non di «entrate in aziende». Tuttavia, tanto per stare al sicuro, annuncia che l’Italia è pronta a scrivere una norma per tutelare le nostre imprese dalle Opa ostili. Due giorni dopo, Francesco Rutelli, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (l’organo di controllo del Parlamento sui servizi segreti, che come da tradizione è presieduto dall’opposizione), ritira in ballo la vicenda: « da maggio che i nuovi servizi segreti stanno monitorando i flussi d’investimento verso l’Italia e i movimenti di petrolio. C’è un giusto grado di attenzione verso la molteplicità di questi fondi sovrani e le loro strategie che potrebbero non essere più solo quelle di investimento». Il rischio è quello «legato ad interventi poco trasparenti di alcuni fondi sovrani, verso asset strategici per la sicurezza nazionale». Qualcosa a questo punto si muove: venerdì Rutelli incontra il Presidente della Repubblica e nel colloquio si parla anche (o soltanto?) dei fondi sovrani. Nelle stesse ore il ministro degli Esteri Frattini si reca in missione negli Emirati, regalandoci una nuova notizia: «Finora i grandi fondi sovrani hanno avuto come interlocutori le merchant bank, ora l’interlocutore diretto sarà invece il governo: perché l’Italia è il primo Paese europeo ad aver stabilito, quattro giorni fa, un Comitato strategico per l’interesse nazionale in economia. Il debutto non a caso è qui ad Abu Dhabi». Ieri infine, martedì 21, il Copasir inizia una serie di audizioni in merito a questi pericoli per la nostra economia: il primo ascoltato è il generale della Finanza D’Orrigo. Tutto pubblico, come si vede. A questo punto sarebbe importante che dal disegno che ci è stato delineato si scendesse nei dettagli. Non c’è dubbio che i fondi sovrani, nati soprattutto nei Paesi forti esportatori di petrolio - Emirati, Qatar, Abu Dhabi, Dubai - ma anche a Singapore e in Cina, fanno in questo momento paura a tutti perché la crisi dei subprime ha fatto emergere il loro peso. Così come non c’è dubbio che il controllo straniero su aziende che assicurano la nostra indipendenza nazionale aprirebbe un problema di sicurezza persino più grave di un attacco terroristico armato: ma siamo davvero al punto da dover impiegare i servizi segreti e formare una task force nazionale? Da questi primi passi nascono varie domande. La prima: questa attenzione dei servizi segreti sui fondi sovrani significa nei fatti che stiamo spiando le mosse finanziarie di altri Stati. E’ legittimo, è utile e soprattutto non rischia di logorare i nostri rapporti con queste nazioni? La seconda: quali sono i fondi sovrani che si stanno muovendo in Italia? Ad esempio, se i libici che entrano in Telecom vanno bene, sarebbe utile sapere perché non va bene invece il fondo Singapore. Frattini ad Abu Dhabi sembra aver stipulato un accordo bilaterale con un fondo «buono»: che cosa succederà con i fondi «cattivi»? Insomma, se tutto ciò è vero, non cambia anche il quadro delle relazioni internazionali del nostro Paese? Infine, sulla nostra sicurezza nazionale. Quali siano le aziende che coinvolgono la sicurezza nazionale più o meno si sa: energia, imprese militari, telecomunicazioni. Ma alcune, come l’Eni, sono già blindate contro Opa ostili. Se non l’Eni, allora quali altre? La Finmeccanica, Telecom, piccole imprese che paiono secondarie ma che in effetti, per vari accordi multilaterali, offrono prodotti che vanno a finire in settori strategici? E non pongono questioni di sicurezza anche le infrastrutture? Ricordo che un paio di anni fa fondi sovrani arabi volevano comprare il porto di New York e che l’offerta venne respinta con un intervento del Congresso Usa perché i porti sono il passaggio più esposto nel controllo delle frontiere, data la facile infiltrazione di persone e materiali. Forse queste sono preoccupazioni eccessive, ma ugualmente, vista la drammaticità della crisi finanziaria e le forze coinvolte, sarebbe meglio avere risposte chiare. Lucia Annunziata