Giovanni Caprara, Corriere della Sera 21/10/2008, pagina 8, 21 ottobre 2008
Corriere della Sera, martedì 21 ottobre «La missione Shenzhou-7 è la più importante conquista scientifica e tecnologica del nostro Paese; è un altro passo del popolo cinese nell’ascesa verso la vetta della scienza e della tecnologia»
Corriere della Sera, martedì 21 ottobre «La missione Shenzhou-7 è la più importante conquista scientifica e tecnologica del nostro Paese; è un altro passo del popolo cinese nell’ascesa verso la vetta della scienza e della tecnologia». Con parole calcolate, mischiate ad un pizzico di retorica politica che ricordava la Russia dei Soviet all’epoca degli Sputnik, il presidente Hu Jintao ha voluto rimarcare il successo della prima passeggiata cosmica di un taikonauta di Pechino. E non era una vuota celebrazione. Il Celeste Impero sta sfidando i continenti nelle conoscenze d’avanguardia e ha indicato nella Luna il simbolo e la «vetta» da raggiungere per dimostrare capacità e potenza nei confronti del resto del mondo. Ma non c’è solo Pechino a guardare lassù. Il nostro satellite naturale è ormai l’obiettivo di una sfida per la supremazia giocata tra i Paesi d’Oriente: la Asian Space Race come ormai è nota sui giornali internazionali. Domani l’India lancerà Chandrayaan-1 la sua prima sonda in orbita lunare. Nel settembre dell’anno scorso il Giappone spediva Kaguya e il mese successivo Pechino inviava Chang’è-1 consentendo pochi giorni dopo, sempre al presidente Jintao, di mostrare con orgoglio la prima fotografia trasmessa con crateri e valli grigie assieme alle note di alcune canzoni popolari. A Oriente tutti vogliono la Luna. La corsa è già in atto e tanto concreta da aver costretto il presidente Bush nel gennaio 2004 a rilanciare la Nasa verso un ritorno sulle sabbie seleniche dopo gli sbarchi degli astronauti 40 anni fa. E se Bush ha chiesto la costruzione di una colonia permanente sul nostro satellite, la stessa aspirazione è coltivata tanto a Pechino, quanto a Tokyo e New Delhi. Potrà sembrare strano che l’India con 450 milioni di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà sia così proiettata nello spazio. Eppure è la nazione con il maggior numero (7) di satelliti ambientali in orbita e il paese asiatico con la maggior quantità di satelliti per telecomunicazioni (11). L’agricoltura, la meteorologia, la rete sanitaria, l’educazione fa ricorso ai mezzi spaziali; oltre naturalmente alla Difesa, perché i vettori adoperati per scopi civili sono tutti figli dei missili sviluppati per avere un ruolo strategico. La scelta politica di impegnarsi su questo futuro risale a Nehru e la realizzazione era frutto di Homi Bhabha e di Vikram Sarabhai, rispettivamente padre dell’atomica e dello spazio indiani. Tutti si dicevano convinti che un investimento sulla frontiera più difficile potesse aiutare più in fretta il Paese ad uscire dal sottosviluppo. Ora si sostiene che una rupia spesa in orbita ne genera due sulla Terra. Il lancio di Chandrayan-1 dalla base sulle coste del Golfo del Bengala una volta popolato solo dalle leggende, è l’inizio di una nuova fase (chiamata di «espansione»), più ardua, della sfida. A bordo, oltre a cinque strumenti scientifici indiani, ne ospita altri sei forniti dalla Nasa, dall’Esa europea e dalla Bulgaria. E una volta giunta a destinazione lascerà cadere una minisonda appuntita che si conficcherà nel suolo per studiarlo mentre dall’orbita censirà i minerali distribuiti nelle varie regioni. «Fra qualche decennio – dice Mylsswamy Annadurai, direttore del progetto – quando le colonie sulla Luna saranno realtà, l’India sarà partecipe dell’avventura ». «Fra 20 anni – aggiunge Madhavan Nair, presidente dell’agenzia spaziale indiana – i viaggi spaziali saranno normali come oggi i collegamenti aerei. E allora non vorremmo comprare biglietti per volare su astronavi di altri Paesi». Il programma lunare di New Delhi avviato nel 1999 è tracciato e non esclude alcuna collaborazione per materializzarsi il più rapidamente possibile. Già si lavora con i russi per costruire la sonda Chandrayan-2 la quale nel 2011 porterà un robot sulla Luna. Intanto ha già volato l’anno scorso il primo esemplare della capsula Sre, embrione di un veicolo destinato a portare presto nel cosmo (nel 2013, forse) il primo astronauta indiano. Nel frattempo si costruisce un potente razzo (GSLV-Mk3) che permetterà di lanciare i grandi carichi necessari e programmare i futuri passi tra i panorami selenici. «India e Stati Uniti non devono essere concorrenti per andare sulla Luna – ha fatto sapere Mike Griffin, l’amministratore della Nasa – Noi possiamo sperare di andarci assieme». Ma da New Delhi non è uscita alcuna risposta. «La questione – dice Krishnaswamy Kasturirangan, membro del Parlamento ed ex direttore dell’Isro – non è se noi possiamo affrontare l’impegno di andare sulla Luna, ma se possiamo ignorarlo». Nessuna incertezza o discussione c’è nel frattempo a Pechino dove la Luna, prima di essere un piano spaziale, è una divinità protagonista di una festa nazionale d’autunno, la festa della dea Chang’è. «L’esplorazione lunare è simbolo di forza della nostra nazione, aumenta il prestigio internazionale e consolida l’unità del Paese» scriveva sul Quotidiano del Popolo Ouyang Ziyang, scienziato responsabile della sonda Chang’è-1. Per continuare la corsa Pechino ora prepara una sonda che porterà una rover automatica per studiare direttamente la superficie, mentre per il 2017 è fissato il viaggio di un robot lunare che, dopo aver prelevato campioni di suolo, li porterà sulla Terra. A quel punto toccherà all’uomo, ai taikonuati come gli astronauti sono chiamati in Cina. E per spedire le nuove e più pesanti sonde e astronavi si sta costruendo il potente razzo Lunga Marcia-5 in grado portare in orbita 25 tonnellate. E si lancerà dal nuovo poligono nell’isola di Hainan dove, per realizzarlo, sono state trasferite seimila persone dai loro villaggi. Ma sia Indiani che cinesi guardano soprattutto alle risorse naturali della Luna che potrebbero essere preziose per la Terra. Soprattutto all’Elio-3 di cui avranno bisogno per far funzionare i futuri reattori a fusione nucleare che tutto il mondo sta studiando per produrre energia. «Nel suolo lunare – ricorda Ziyang’ abbiamo stimato la presenza di almeno 50 milioni di tonnellate del prezioso elemento mentre sulla Terra è quasi inesistente, non oltre 500 chilogrammi. Noi, con sole 10 tonnellate di Elio-3, potremmo soddisfare i bisogni energetici cinesi per almeno mezzo secolo ». Un filo concreto lega insieme le aspirazioni dei Paesi d’Oriente guardando allo spazio senza trascurare il fascino che l’immaginazione può liberare viaggiando tra le stelle. Come i giapponesi che mentre costruiscono sonde automatiche e dicono di voler condividere le colonie lunari con gli americani, ipotizzano hotel orbitanti intorno alla Luna con l’idea di offrire vacanze dal piacere cosmico. Giovanni Caprara