varie, 21 ottobre 2008
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Frigo Giuseppe
• Brescia 30 marzo 1935. Avvocato. Dall’ottobre 2008 giudice della Corte Costituzionale • «[...] penalista che nel suo studio di Brescia conserva mobili e codici del ministro Zanardelli, ha lavorato gomito a gomito con l’ex Guardasigilli dc Mino Martinazzoli ma più recentemente ha assunto incarichi anche per la famiglia Berlusconi: insieme a Ghedini ha difeso i figli del Cavaliere e da presidente dell’Unione camere penali confermò proprio il giovane Ghedini per il posto di segretario dell’Unione. Ma Frigo ha anche difeso il pool ”Mani pulite” davanti alla Corte nel conflitto di attribuzioni sollevato dal Parlamento per la richiesta di arresto per Craxi. [...]» (Dino Martirano, ”Corriere della Sera” 22/10/2008) • «Un solo vezzo, quel paio di baffi all’insù che fanno pensare ad altri tempi, e due autentiche passioni, i libri antichi di storia, soprattutto storia veneta, e i libri di criminalistica. Per il resto [...] è un uomo di legge, un penalista da sempre. Un bresciano vero, dicono nella sua città, uno di quelli che ”mostrano carattere”, che non usano giri di parole e vanno diritto al sodo. ”In lui convivono una somma di qualità tecniche e professionali sovraordinate a una profonda e sincera umanità”, piace ricordare all’imprenditore Giuseppe Soffiantini, che l’avvocato Frigo ha rappresentato nel processo contro i suoi rapitori così come aveva seguito ogni fase di quella sua terribile esperienza di prigionia. [...] una moglie e due figli. All’Università di Brescia insegna procedura. un radioamatore e si diverte a pedalare in bici. Moltissimi i processi di cui è stato protagonista. Ha difeso il finanziere Emilio Gnutti nel processo per la scalata ad Antonveneta, ha tutelato gli interessi di Cesare Previti nel processo per calunnia ai danni dei magistrati milanesi Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, ma è stato anche avvocato di Adriano Sofri nel procedimento per chiedere la revisione del processo per l’omicidio del commissario Calabresi e ha tutelato gli interessi della procura di Milano e del pool Mani pulite, allora impegnato a districarsi nel conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento in occasione dell’arresto di Bettino Craxi. Inoltre ha difeso UniCredit, l’avvocato Giuseppe Frigo e, guarda il caso, proprio davanti a quella Consulta che ora lo annovera tra i giudici, difese gli interessi degli Stati Uniti d’America che volevano ottenere dall’Italia l’estradizione di Pietro Venezia, colpevole di avere ucciso un agente del fisco al termine di una violenta litigata e quindi prossimo alla condanna a morte. Con Frigo c’era l’avvocato Giorgio Luceri, ma in quel giugno del lontano 1996 la Consulta gli diede torto. ”Lucido, trasparente, incalzante, intellettualmente onesto – dice di lui Gnutti – uno che pensa sempre all’interesse del cliente anche quando questo non coincide con quello dell’avvocato... Un uomo davvero giusto, direi...”. E in fondo il ”giusto processo” è un po’ figlio suo. Dal 1999 al 2002 Giuseppe Frigo è stato presidente dell’Unione camere penali, organizzazione che rappresenta novemila legali. E proprio da leader dei penalisti Giuseppe Frigo ha contribuito alla stesura del codice di procedura penale e ha combattuto perché il principio del giusto processo fosse inserito in Costituzione. Un uomo colto, l’avvocato Frigo. ”Preparavamo un interrogatorio – ricorda ancora Gnutti – e dopo pochi attimi ci ritrovavamo a parlare di storia. Un suo pallino? Giuseppe Zanardelli (politico bresciano, presidente del Consiglio e, da ministro della Giustizia, padre del codice penale che nel 1889 abolì la pena di morte), poi si ritornava a dire e ridire dell’interrogatorio...”. Non molto tempo fa, dopo che il premier Silvio Berlusconi aveva manifestato l’intenzione di limitarle ai procedimenti per mafia e terrorismo, Frigo è intervenuto in materia di intercettazioni. ”Non bisogna restringere eccessivamente le intercettazioni telefoniche in relazione al novero dei reati per cui possono essere disposte – ha suggerito col solito tono garbato ma deciso – semmai sarebbe meglio impedire di renderle pubbliche sino al dibattimento con una disciplina più rigorosa”. Altro suo cavallo di battaglia, la separazione netta tra la carriera dei pubblici ministeri e quella dei giudici. ”Perché ognuno deve sapere fare bene il suo mestiere...”, predica sempre. Ed è per questo, forse, che alla sua amata toga d’avvocato penalista ha rinunciato una volta sola per indossare i panni del magistrato dell’accusa. Ma l’occasione era davvero speciale, si trattava di un processo storico, il tribunale era il Palazzo Ducale di Venezia e l’imputato era Napoleone» (Biagio Marsiglia, ”Corriere della Sera” 22/10/2008) • «[...] Con Niccolò Ghedini sono andati a braccetto per due anni, lui presidente delle Camere penali, l’altro segretario. E Giuseppe Frigo, allora (era il ”98) gli stessi baffi ottocenteschi d’oggi che tutti ricordano quando bucava il video come legale del sequestrato Soffiantini, se ne rammenta con assoluto entusiasmo (’Fu un rapporto buonissimo”). La sintonia col legale del Cavaliere, che è stato il suo unico e potente sponsor (’Silvio, convinciti, è la nostra carta vincente”), non è mai venuta meno. fatta di identiche convinzioni su giudici, carriere, garantismo, giusto processo, Csm, intercettazioni. Su tutto. Il consigliere giuridico del premier manda alla Consulta la sua fotocopia, colui che potrà difendere, qualora ce ne fosse bisogno, le future riforme costituzionali. A cominciare dal lodo Alfano su cui, di necessità prudente, Frigo non si pronuncia ”perché io non temo alcuna legge”. Ha vissuto a Roma la sua giornata di attesa. Ha chiesto una notte per decidere. Ha sciolto la riserva di prima mattina. ”Poi sono andato in tribunale per un processo e dopo mi sono chiuso in casa per studiarne un altro che avrò domani a Cagliari, ma se mi eleggono spiegherò che non posso più entrare in aula [...] Se la convergenza su di me significa spirito condiviso sulla giustizia, è un buon segno perché la giustizia è come la salute, non ci si può dividere”. [...] Sbottò davanti a Davigo nel 2002: ”Altro che lobby degli avvocati. A tenere sotto scacco l’Italia sono 8 mila magistrati. Al punto che non si può fare la separazione delle carriere perché questi non vogliono, pur se l’hanno chiesta 10 milioni d’italiani”. Stava coi Radicali e ne sposò il referendum. Con l’Anm, ai tempi dello scontro con l’ex Guardasigilli Castelli, non fu meno tranchant: 2Lo sciopero? Potrebbe configurare il reato d’interruzione di pubblico servizio. Se lo fanno i giudici è eversivo”. ”Eversivo” anche il Csm se critica il giusto processo. Il voto per lui è stato bipartisan. Ma a sinistra ricordano che ha difeso la Cirami. Disse della legge sul legittimo sospetto, fatta per spostare da Milano a Brescia i processi di Previti: ”Principio sacrosanto”. Difese le rogatorie, perché ”se i magistrati gridano che migliaia verranno buttate al macero significa che le hanno fatte violando la legge”. In aula ha difeso Previti, nel processo per calunnia contro i pm di Milano, e fuori ne ha sposato l’aggressività contro le toghe ”perché tra gli strumenti per garantire il diritto di difesa c’è la ricusazione dei giudici”. Oggi di Cesarone dice: ”L’ho difeso solo per ratione loci, perché il processo era a Brescia e quindi ho fatto da corrispondente locale per Sammarco”. Difeso anche i Berlusconi? ”Corrispondenze locali pure quelle”. Qui si arrabbia: ”Sono sempre stato indipendente rispetto ai miei clienti, sennò avrei tradito la mia professione”. Poi, per controbilanciare: ”Ho difeso anche il pool Mani pulite, me lo chiese Davigo, quando il Parlamento sollevò il conflitto alla Consulta sulle autorizzazioni a procedere di Craxi e Citaristi”. E pure Sofri per la revisione. Sui processi s’infiamma: ”Il caso che mi ha segnato la vita? Soffiantini, perché se vivi otto mesi così dopo non sei più lo stesso”. L’imprenditore di Manerbio lo ricambia: ” una persona che usa il cuore. Io e mia moglie eravamo le vittime, ma lui non ne approfittò. Ha gestito il mio sequestro senza scordarsi che di mezzo c’era un uomo, io”. Le toghe ricordano l’intransigenza sul giusto processo. Lui se ne fa una medaglia: ” stata la battaglia politica più importante. Coronata da un consenso bipartisan. Nella mia storia la cito come una delle cose più belle”. Sarà questo che gli fa dare un colpo di qua e uno di là. Nel processo Antonveneta, da difensore di Gnutti, se la piglia con la Forleo che desecreta le intercettazioni. d’accordo su una stretta, contro la manica larga dei giudici nel concederle, vuole colpire le fughe di notizie, ma non gli piace la riduzione dei reati. Forse solo per questo Berlusconi avrebbe potuto bocciarlo» (Liana Milella, ”la Repubblica” 22/10/2008) • «[...] una passione per Zanardelli (sul quale ha curato un volume) e per la buona cucina, ha dimostrato come si possano conciliare gli opposti. Per clienti vanta il rapito Giuseppe Soffiantini e il finanziere Emilio Gnutti, ma anche Adriano Sofri che chiedeva la revisione del suo processo. Ha assitito Cesare Previti che querelava Gherardo Colombo e Ilda Boccassini. Ma anche, bella giravolta, il Pool stesso. A un certo punto, infatti, i magistrati di Mani Pulite si rivolsero proprio a Frigo perché li difendesse davanti alla Corte Costituzionale. Il Parlamento si era opposto al mandato di arresto per Bettino Craxi. ”Mi trovai contro Giovanni Maria Flick”. Si era ai primordi di Mani Pulite; Frigo partecipò a molte riunioni con i pm. ”Da avversari, diventammo una cordata. Di Pietro veniva poco. Mi confessò che all’interno del Pool non lo consideravano un distillatore di fini questioni giuridiche”. Con Flick sono amici da sempre. ”Prima dell’udienza, mi disse: ”Che vinca il peggiore”. Andò proprio così. Vinse lui, noi soccombemmo”. Nel 1995, comunque, nuovo cambio di barricata, per difendere l’ispettore capo Ugo Dinacci, finito sotto processo assieme a Paolo Berlusconi e Cesare Previti, in quanto accusato di aver tentato, attraverso un’ispezione ministeriale, di costringere Di Pietro a dare le dimissioni dalla magistratura. Il suo capolavoro si chiama Giusto Processo. Era la fine degli Anni Novanta, Frigo guidava l’Unione delle Camere Penali. Ingaggiò un’aspra battaglia per far inserire i principi del Giusto Processo in Costituzione. Dapprima con una sentenza della Consulta, poi con una legge dello Stato. ”Sì [...] posso considerarmi un po’ il padre dell’articolo 111 della Costituzione. il nostro vanto, quella legge, che ci rende il Paese più avanzato d’Europa... Almeno sulla carta”. Fu uno scontro epico con un pezzo della magistratura, quella che prefigurava l’apocalisse dei processi. Un paio di anni prima, sempre davanti ai giudici della Corte Costituzionale, aveva duellato forte con Marcello Maddalena per un articolo del codice che obbliga i testimoni-imputati al contraddittorio. Frigo, garantista, arrivò a promuovere uno sciopero dei penalisti. All’epoca non capitava così spesso. Dal Quirinale, Oscar Luigi Scalfaro tuonò. E lui, a brutto muso: ”Siamo di fronte a esternazioni quasi patologiche”. A una prima occhiata, insomma, sembrerebbe facile etichettarlo nell’area del centrodestra. Epperò mostra spesso posizioni indipendent, che spiegano tanta considerazione bipartisan: sostiene la separazione delle carriere, per dire, ma non il taglio alle intercettazioni. La famosa riforma della Costituzione, poi, Frigo l’ottenne quando c’era una maggioranza di sinistra e Piero Fassino era ministro della Giustizia. A ricordarglielo, ridacchia: ”Io sono un tecnico trasversale che rispetta le opinioni di tutti. Ci tengo a questo mio ruolo, che mi è congeniale. Altrimenti, sa, il consenso a una riforma costituzionale non l’avrei mai ottenuto”. [...]» (Francesco Grignetti, ”La Stampa” 22/10/2008).