Andrea Bonanni, la Repubblica 20/10/2008, pagina 4, 20 ottobre 2008
la Repubblica, lunedì 20 ottobre BRUXELLES - «Questo accordo non mi sta bene. Del resto non sono stato io a firmarlo ma il mio predecessore, Romano Prodi»
la Repubblica, lunedì 20 ottobre BRUXELLES - «Questo accordo non mi sta bene. Del resto non sono stato io a firmarlo ma il mio predecessore, Romano Prodi». La frase pronunciata da Silvio Berlusconi al vertice dei capi di governo mercoledì scorso per giustificare l´opposizione dell´Italia al pacchetto sulla riduzione delle emissioni tossiche proposto dall´Unione europea, ha fatto infuriare non pochi dei suoi interlocutori. Per tre motivi. Il primo è che viola uno dei dogmi europei, cioè che ogni governo si fa carico delle decisioni prese dal governo precedente. Non essendoci guerre o rivoluzioni ma un normale avvicendamento democratico, in Europa si dà per scontato il principio della continuità statuale. Il secondo motivo è che il governo Berlusconi ha confermato a più riprese il proprio accordo di massima sul pacchetto clima, varato dai capi di governo nel marzo 2007 ma poi regolarmente riconfermato ad ogni successivo vertice europeo, in media ogni tre mesi. Senza contare le numerose riunioni dei ministri competenti che avrebbero potuto sollevare obiezioni di merito già da gennaio scorso, quando la Commissione presentò i dettagli dell´accordo, e si sono invece svegliati solo all´ultimo momento. Il terzo motivo è che, agli occhi della Commissione e degli altri governi europei, proprio grazie a Prodi, che venne apposta a Bruxelles per negoziare discretamente la questione, l´Italia ha già ottenuto condizioni di estremo favore che molti Paesi ci invidiano e che al tempo fecero arrabbiare parecchie cancellerie. Per capirlo, occorre fare un po´ di conti. L´accordo di principio varato nel marzo 2007 prevede che l´Unione tagli le emissioni di gas a effetto serra del 20 per centro entro il 2020. L´onere necessario a raggiungere questa cifra varia però da Paese a Paese ed è stato attribuito dalla Commissione in base ad alcuni parametri oggettivi, tra cui quello del Pil nazionale. Ma occorre tener presente che il nuovo pacchetto è solo la continuazione del protocollo di Kyoto, che già impegnava i governi a ridurre le emissioni di ciascun Paese entro il 2010 rispetto ai livelli del 1990. Ora l´Italia, in base agli accordi di Kyoto, avrebbe dovuto tagliare la propria quota del 6,5 per cento. Ma, negli anni del berlusconismo imperante, mentre altri Paesi come la Germania o la Gran Bretagna prendevano misure adeguate a raggiungere i tagli concordati, l´Italia invece che ridurle ha aumentato le proprie emissioni di un ulteriore 7 per cento. Entro il 2010, dunque, dovremmo abbattere le emissioni del 13 per cento già per rispettare gli accordi di Kyoto. Il nuovo pacchetto proposto dalla Commissione ci chiede invece di tagliare i nostri gas del 13 per cento entro il 2020. E lo fa partendo dal livello delle emissioni del 2005 e non del 1990. Poiché l´Italia è uno dei pochi paesi che, nonostante Kyoto, hanno aumentato le loro emissioni, ci troviamo dunque decisamente favoriti. E´ meglio infatti avere un tetto pari all´87 per cento di un volume di emissioni elevato, come quello del 2005, che un volume più basso, come era quello del 1990. Ieri Berlusconi ha voluto negare di aver posto l´Italia in una situazione di isolamento, spiegando che «altri nove» Paesi sono sulla sua stessa posizione. Questa considerazione è formalmente vera, ma sostanzialmente falsa. E´ vero cioè che tutti o quasi i Paesi dell´Est europeo, che hanno ereditato un sistema industriale antiquato e sono spesso stati costretti dalla Ue a chiudere centrali nucleari obsolete, si trovano in serie difficoltà a rispettare i termini del pacchetto energia e dunque preferirebbero rimetterlo in discussione. Ma, a parte ogni considerazione circa la convenienza politica di allineare l´Italia sulle posizioni dei paesi più regrediti d´Europa, è assolutamente falso che le nostre esigenze e quelle dei governi dell´Est coincidano. Anzi, sono diametralmente opposte. Paesi come la Polonia e suoi vicini, infatti, si battono tenacemente per mantenere come livello di riferimento nello stabilire il tetto delle emissioni, gli standard del 1990, e non quelli del 2005. Il motivo è semplice. Nel �90 questi Paesi erano ancora inseriti in una economia paleoindustriale di tipo sovietico e avevano livelli di emissioni tossiche elevatissimi. Dopo la caduta dei regimi comunisti ebbero un tracollo nella produzione industriale da cui cominciarono lentamente a riprendersi solo agli inizi del nuovo secolo. Per loro, dunque, ridurre le emissioni rispetto a quelle già basse del 2005 comporta un onere molto superiore che se dovessero prendere come riferimento le emissioni molto elevate del 1990. Esattamente il contrario dell´interesse italiano. Riaprire radicalmente il vaso di Pandora del pacchetto clima, come vorrebbe il nostro governo, comporta quindi il rischio che si rimetta in discussione la data di riferimento. Tornare a prendere come standard le emissioni del 1990 potrebbe in definitiva convenire sia ai paesi virtuosi, che per rispettare Kyoto hanno nel frattempo ridotto il loro inquinamento, sia ai presunti «alleati» di Berlusconi, che lo hanno ridotto per motivi di forza maggiore. Gli unici a cui non conviene siamo proprio noi italiani. E´ questo, in sostanza, che il commissario europeo per l´ambiente, il popolare greco Stavros Dimas, spiegherà oggi al ministro Prestigiacomo, suo collega di partito, in margine alla riunione dei ministri dell´ambiente che si terrà a Lussemburgo. Il governo italiano farebbe bene ad ascoltarlo attentamente. Andrea Bonanni