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 2008  ottobre 25 Sabato calendario

I nuovi sogni si fabbricano a Bollywood. L’india sogna, fa sognare. Cresce anche quando la macchina dell’economia globale arranca e il sogno americano non basta più

I nuovi sogni si fabbricano a Bollywood. L’india sogna, fa sognare. Cresce anche quando la macchina dell’economia globale arranca e il sogno americano non basta più. Forse per questo ha creato la più grande fabbrica di fantasie al mondo: Bollywood, la Cinecittà di Bombay che sforna più di 800 film all’anno, applauditi da tre miliardi di persone dal Marocco all’Indonesia, dal Kazakhstan al Sua Africa. E che si prepara ora a conquistare il grande pubblico anche in Occidente, proiettando nel firmamento planetario nuovi divi e divine come Aishwarya Rai, e facendo lega con un mago del racconto per immagini come Steven Spielberg. Esiste un sogno indiano? Esiste il sogno degli indiani, Bollywood, appunto. Sentimenti, intrigo, riscosse. Tutto cantato e ballato. Tresche mielose, storie di mala, guerre al fronte, o capitoli della mitologia indù, in India il cinema è sempre musical. Mezzo narrativo per eccellenza in un Paese con il 40% della popolazione analfabeta, è fonte e contenitore di un immaginario collettivo che viene interiorizzato dal pubblico fino a mettere radici nella vita di tutti i giorni. Se le hit parade sono perennemente dominate dalle colonne sonore di Bollywood, eventi famigliari e sociali come i matrimoni sono l’occasione per ricreare i set di film di successo. Gli sposi vestono cioè modelli visti indosso alle star, mentre gli invitati vengono allietati con canti e danze ispirati alle coreografie dei film più amati. Il formato musical non è solo un espediente per far cassetta ma risponde ai canoni della tradizione. Nell’India classica la recitazione è sempre stata accompagnata da musica e danza. E gli attori, che devono eccellere anche in quelle arti, agli occhi del pubblico sono esseri straordinari. Divi, nel senso più letterale del termine, e guide spirituali. Vedi l’ormai scomparso N.T. Rama Rao e Amitabh Bachchan, mattatore di Bollywood da 40 anni, ai quali sono stati dedicati templi. O la sex symbol Shilpa Shetty, assurta allo status di guru da quando ha fondato una nuova scuola di yoga. Gli indiani credono nel loro sogno. E Bollywood permette a tutti di condividerlo. In India, un Paese grande come l’Europa, dove si parlano circa 50 lingue diverse, tutti i ragazzi chiedono ai parrucchieri tagli di capelli alla Shah Rukh Khan e tutte le ragazze sognano i monili di Priyanka Chopra. E se anche altre metropoli come Chennai e Kolkata hanno Cinecittà in grado di produrre centinaia di film all’anno, quelli di Bollywood sono gli unici sempre in hindi, la lingua nazionale che tutti, o quasi, capiscono. Persino un mostro sacro del costume nazionale come il sari è legato nella sua fortuna al cinema di Bombay. Nell’alta società degli anni 60 e 70, sotto l’incalzare della moda occidentale, il tradizionale abito femminile stava tramontando ma è poi tornato in auge grazie a Bollywood. Grazie cioè alle star, che hanno ripreso a indossarlo nelle occasioni mondane per accattivarsi le simpatie dei più e che hanno così contribuito allo sviluppo di nuovi mercati. Quello dei sari usati nei film e pagati dai collezionisti a peso d’oro, quello delle rare copie originali, che vendono fra i 50 mila e i 500.000 euro, e quello dei falsi, il più prospero. I modelli firmati dagli stilisti per il cinema vengono cioè copiati da sarti che lavorano nelle baraccopoli di Bombay, per finire sulle bancarelle dei bazar, dove vanno a ruba, già pochi giorni dopo l’esordio di un film. Spesso poi, grazie ai dvd pirata film e sari contraffatti escono addirittura in contemporanea. Quello dei cd e dvd pirata è un altro fiorente mercato legato al cinema. Controllato dalla malavita organizzata che a Bollywood ricicla denaro sporco, finanziando film attraverso piccole società create ad hoc, mentre ricatta e taglieggia attori e produttori. Secondo la pluripremiata star Preity Zinta, in diverse produzioni le cosche sono addirittura in grado di imporre comparse e protagonisti raccomandati. Per vivere fino in fondo le emozioni provate al cinema, gli indiani scelgono le location dei film come meta per le vacanze, alimentando un’industria turistica che organizza pellegrinaggi in ogni angolo del Paese e del mondo. Da Rishikesh a Londra, da Yellowstone alla Valle dei Re. Ma anche in Svizzera che, con i suoi paesaggi tanto simili a quelli del Kashmir ospita ogni anno diverse truppe di Bollywood. Non per questo mancano i film sulla tragedia del Kashmir. Non c’è d’altro canto storia senza dramma. E le contraddizioni dell’India d’oggi sanno spesso di tragedia. A dispetto del formato: tanti di quelli che sembrano insulsi e triti cineromanzi servono in realtà ad affrontare temi come le differenze di casta, i contrasti etnico-religiosi e il divario fra campagna e città. Vero è che in questo modo Bollywood si è guadagnata il bollo di cinema di serie B, incapace di conquistare l’Occidente. Dietro il successo di opere d’autore come Monsoon wedding e la bellezza perfetta di Aishwarya Rai che incarna il marchio L’Oreal, s’intravedono tuttavia i sintomi di un cambiamento. Nell’ultimo anno sono usciti solo due film made in Bollywood e frutto di un connubio con Hollywood – Sawaariya, prodotto dalla Sony, e Marigold, diretto da Willard Carroll – ma presto saranno molte le produzioni congiunte. A cominciare da quelle firmate dalla DreamWorks di Spielberg che, dopo il divorzio con Paramount, ha stretto un sodalizio con la Reliance, star delle case di produzione di Bollywood. Guardando al futuro, il veterano del cinema hindi Shekar Kapoor non ha dubbi: «Per il successo mondiale bisognerà abbinare un Tom Cruise a una star indiana o cinese». Anche noi dunque siamo destinati a innamorarci delle star di Bollywood. E’ solo questione di tempo.