Pietro Cheli, Gioia n.42, 25/10/2008, pp.91-94, 25 ottobre 2008
Petrini Carlo. Come definisce la sua professione? «Anche la mia povera mamma me lo chiedeva sempre
Petrini Carlo. Come definisce la sua professione? «Anche la mia povera mamma me lo chiedeva sempre. Anzi, la domanda era: te la danno la pensione? Direi organizzatore di attività culturali, le piace?». Non è meglio visionario? «C’è la mutua?» Quanto è stato importante aver studiato Sociologia nel 1968 a Trento? «Poco, molto poco. Per quello che ho fatto nella vita conta di più la formazione nell’associazionismo cattolico. Da ragazzo facevo attività con la San Vincenzo. Nel 1966 ho organizzato la prima raccolta di stracci in Italia. Leggo che in Francia l’Abbé Pierre ha avuto questa idea per aiutare i poveri. Durante una vacanza con degli amici lo andiamo a trovare e ci mettiamo all’opera. Cosa non usciva da quelle cantine… roba che era lì da inizio secolo. Poi c’è stata Firenze, volontario per aiutare dopo l’alluvione, poi la stessa cosa a Nizza Monferrato. L’idea dell’organizzazione di Slow Food nasce lì, inconsapevolmente». Aveva dei miti? «Soprattutto mio nonno, Carlin, macchinista ferroviere, socialista. Nel 1922 venne licenziato perché aveva partecipato a uno sciopero. I macchinisti erano l’élite della classe operaia. Andavo a vederlo quando arrivava sulla locomotiva, grande, immensa. Ma se ci penso bene, mi attirava soprattutto la locomotiva. Un mito di progresso, come canta Guccini». Nel cestino della merenda cosa le metteva? «Frutta, senza dubbio. Mi ricordo l’odore del cestino, un bell’odore di frutta che lo impregnava tutto». I suoi interventi o prese di posizione sono sempre molto netti. Non solo, fanno opinione. Si sente un guru, un integralista? «Per carità, no. Ho posizioni decise, che sono il segno di un’evoluzione politica, ma non da integralista. E’ un approccio inconcludente. Le faccio un esempio: sono convinto che gli Ogm siano una iattura se applicati all’agricoltura, però penso sia sbagliata una posizione che non sia dialettica e che in prospettiva non possa cambiare nuove scoperte. Dire no sempre è sbagliato». Pensa di aver fatto una rivoluzione culturale? «Che paroloni… I germi c’erano da tempo, quando Pier Paolo Pasolini (lui sì che era un visionario) diceva che stavamo distruggendo un patrimonio immenso come quello dell’Italia contadina. Noi siamo venuti avanti passo dopo passo, senza rivoluzione». Slow? «Ovvio. Le racconto una storia: 30 anni fa, mi ricordo che venne nelle Langhe Robert Mondavi (grande produttore di vino californiano, ndr) e sul belvedere della Morra, dove lo avevamo accompagnato con un gruppo di amici, ci dice: «Non sentite un rumore?». Noi ci guardiamo, cercando di ascoltare i trattori in lontananza… E lui, ridendo, incalza: «Sento che dormite alla grande». Non ci ha svegliato lui, avevamo già la volontà di mettere a frutto una terra che per anni era stata abbandonata, ma piano piano». Non teme che quando si lavora per dare valore poi ci sia il rischio dell’eccesso? «Esiste il problema del governo del limite. Quando come Slow Food ci mettemmo a difendere il lardo di Colonnata, non se ne faceva quasi più. Ora ce n’è fin troppo. Ma non sono pentito». Per il Time lei è ”uno degli eroi del nostro tempo”, per il Guardian ”una delle 50 persone più importanti al mondo”. Pensa di poter riuscire a salvare il pianeta? «Prendiamola più bassa…». Come si educano al gusto i ragazzi di oggi? «Con le buone pratiche. Portandoli nei luoghi di artigianato, facendo vedere loro un caseificio, gli animali, il lavoro per la ricotta. Quando poi l’assaggiano sono felici. I genitori per primi dovrebbero prendere per mano i ragazzi e passare la domenica in una cascina o in un’azienda agricola, saltando ogni tanto la visita agli outlet. La famiglia è centrale, poi viene la scuola. Come Slow Food abbiamo aperto solo quest’anno 120 orti scolastici. Basta chiederci, su certi progetti cerchiamo le risorse: che certe iniziative ricevano denaro fa parte della bella politica». Ma non è che la filosofia proposta da Slow Food – mangiare solo prodotti certificati, artigianali e di qualità – è solo per ricchi? «No, non me lo dica. Questo è una critica che ci portiamo dietro da sempre. Certo, c’è un lato aristocratico, se sostiene il diritto al piacere che va coniugato con moderazione e sobrietà. Difendiamo il piacere sostenibile. E condivisibile». Avete formato tantissimi gourmet. Ormai atteggiarsi o fare gli esperti di cibo è un must. «Vero, anche troppo. Per anni la cultura enogastronomica è stata centrale per noi, poi ci siamo resi conto che rischiava di essere onanista. E siamo andati oltre, verso la terra che produce, verso i contadini, i mestieri da salvare. La buona gastronomia dà status, ma spero anche maggiore attenzione su qualità e sostenibilità: il nostro è un movimento popolare. Pensi al Salone del Gusto e a Terra Madre». Il vino. Bianco o rosso? «Rosso» Come il Pd? «No comment» Il sindaco di Roma Gianni Alemanno dice che lei è oltre la destra e la sinistra. «Lo dice lui. Certo, da qualche tempo vedo molte cose per cui sono in sintonia con persone dell’altra parte». Se la nominassero ministro, qual è la prima legge che farebbe? «Salverei i terreni agricoli dalla cementificazione». Cos’è slow? «Una medicina omeopatica che, presa a piccola dosi, fa bene alla salute» Quando guida corre? «Non guido, ho dato quando da giovane ho fatto il rappresentante (il ragazzo di Slow Food che gli fa d’autista ride alla domanda se gli hanno mai tolto punti per eccesso di velocità, ndr)». Altri lavori? «Ho avuto una libreria, ho fondato la prima radio libera d’Italia Radio Bra Onde Rosse. A dirla ora sembra Radio Tirana. Era il 1974, abbiamo avuto tre sequestri. E così (sospira) abbiamo aperto la strada a Berlusconi» Siete mai stati soci? «No (ride e sospira)» Lo sarà mai? (Ride) E’ più slow scaricare musica dalla rete o andare a un concerto? «Concerto! A me piace la musica popolare. A Terra Madre arrivano gruppi da 38 Paesi, esperienze dirette delle comunità agricole, cori di Langa, la tarante, i mariachi. Lo scorso anno all’ultimo congresso di Slow Food in Messico mi hanno fatto la sorpresa della più grande orchestra mariachi di ogni tempo: 120 persone. Avevo le lacrime agli occhi». Nessun figlio? «Che io sappia no» A giugno farà 60 anni. «Ma la festa me l’hanno già fatta per i 50, a sorpresa. Fu dura, 300 persone, tutta la mia vita riunita» Pensa di cambiare vita? «A 60 anni? Se mi guardo intorno qui a Bra vedo coetanei in pensione che tornano a casa con la borsa della spesa. Non riuscirei mai a immaginarmi. Quando un weekend non faccio niente, poi il lunedì sono stravolto». E L’Italia? La salviamo? Come si fa con la crisi? «Bisogna far ripartire l’economia locale. E rendere gente partecipe. Abbiamo bisogno di stare con i piedi per terra. E anche di scegliere le persone da eleggere, decidere. L’economia e la politica che te lo impediscono uccidono la voglia di partecipazione. E non risolvono la crisi». *** Carlo Petrini è nato il 22 giugno 1949 a Bra, dove vive tuttora e dove ha sede Slow Food, l’associazione che dal 1986 difende attraverso presidi e iscritti – 100 mila in tutto il mondo – le produzioni tradizionali e le specie animali e vegetali a rischio. Gli obiettivi sono l’educazione al gusto e un nuovo modello di agricoltura. *** Nel suo studio una collezione di chiocciole, simbolo di Slow Food.