Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  ottobre 14 Martedì calendario

Professor Berlinguer, lei è stato docente prima che ministro, che ne pensa dei provvedimenti della Gelmini? «Posso sottrarmi a questa polemica? La Stampa non me ne voglia ma, francamente, mi pare che di polemiche ce ne siano già abbastanza

Professor Berlinguer, lei è stato docente prima che ministro, che ne pensa dei provvedimenti della Gelmini? «Posso sottrarmi a questa polemica? La Stampa non me ne voglia ma, francamente, mi pare che di polemiche ce ne siano già abbastanza. E peraltro non ci portano da nessuna parte, perché non producono nulla a vantaggio della scuola». In questi giorni le piazze sono piene di studenti e docenti che protestano. E il fenomeno non è inedito: negli ultimi trent’anni chiunque abbia cercato di introdurre delle novità nel mondo dell’istruzione si è trovato di fronte la piazza. «E’ vero: è andata così. In questo paese non si può fare una riforma, che viene comunque contestata, e questo è avvenuto perché qui da noi l’ideologia ha sempre prevalso sui contenuti educativi». Ma è possibile, professore, che ogni anno a ottobre si assiste alla stessa sceneggiata ? «Intanto non accade ogni anno. Anzi, è un po’ di tempo che tutto questo non si verificava. Quest’anno, invece mi sembra che ci sia un ritorno di fiamma. E’ un segnale evidente di una tensione forte». Sarà colpa di qualcuno, o no? «La scuola italiana è stata per decenni il campo privilegiato di controversie ideologiche: opposti schieramenti, cioè destra e sinistra, si sono rapportati inalberando ciascuno dei vessilli, di più dei ”eidola”, me lo faccia dire in greco (idoli, ndr) che diventavano di volta in volta delle linee del Piave invalicabili. E nessuna di queste contrapposizioni c’entrava alcunché con la missione educativa della scuola. Sono servite solo a produrre la ricorrente discesa in piazza a ogni ottobre. E basta. Uno scontro sterile rispetto alla qualità della scuola». Ci spieghi meglio. «La scuola deve domandarsi quali siano i saperi, i contenuti fondamentali per i bambini e per i ragazzi di oggi che saranno adulti domani, e a questa istanza dare risposta, valorizzando le migliori pratiche nazionali, che pure ci sono, e facendo tesoro di esperienze straniere di successo. Questo deve essere il terreno di confronto e su questo, con l’aiuto degli studiosi, credo che si possano trovare convergenze importanti». Colpa della politica? «Intanto colpa del gentilismo che ci ha tenuto per decenni fuori da ogni contenuto moderno. La mia opinione è che noi dobbiamo confrontarci sul terreno epistemologico, cioè sui contenuti, sui saperi essenziali, su cosa la scuola debba trasmettere ai giovani. E fare un passo indietro rispetto alle questioni meramente organizzative, amministrative, burocratiche sulle quali, invece, ci si è combattuti per decenni. Io sono certo - perché così è avvenuto in tutti i paesi che hanno una scuola migliore della nostra - che su questo terreno una via di incontro sia possibile». Insomma, la politica e il sindacato li vogliamo assolvere? «Io credo che l’ideologismo a dover fare molti passi indietro, non la politica, che invece deve approntare il quadro normativo all’interno del quale il processo educativo deve svilupparsi. Ma - sia chiaro - la politica deve fare questo, non altro. Così come il sindacato deve occuparsi, come ha fatto egregiamente, di affrancare il lavoro, non di invadere ambiti che appartengono ai agli studiosi. Ne verremo a capo? «Io tento di essere ottimista, anche perché, nonostante le proteste infinite, alcune cose, anche molto importanti la scuola è riuscita ad acquisirle in questi anni. Faccio degli esempi: l’autonomia scolastica, che è forse la più importante conquista del nostro sistema di istruzione, è diventata pienamente legge. Altre proposte strategiche sono entrate nella cultura della scuola e ora stanno trovando anche una loro configurazione, per esempio la riforma dei cicli scolastici e, soprattutto, la valutazione». ROMA Continua la protesta delle scuole contro la riforma del ministro Gelmini, e nelle università - da Torino a Roma, da Milano a Firenze, da Napoli a Catania - si allarga la mobilitazione contro i tagli. Intanto la Camera si divide sulle nuove regole per l’accesso degli studenti stranieri alla scuola dell’obbligo. Ieri, infatti, l’aula ha approvato con 265 «sì» e 246 «no» una mozione del Pdl (primo firmatario il capogruppo della Lega Roberto Cota) che impegna il governo a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri. Come prima cosa questi nuovi alunni dovranno superare un test e specifiche prove di valutazione e in caso di esito negativo i «bocciati» verranno inseriti in «classi ponte» che consentiranno loro di seguire corsi di apprendimento della lingua italiana propedeutici all’ingresso nelle classi permanenti. Il testo, inoltre, impegna il governo a una «distribuzione proporzionata al numero complessivo di alunni» per scongiurare la formazione di classi di soli alunni stranieri. Dal Nord al Sud sono però le proteste a tenere banco. Al coro delle critiche ieri si è aggiunto il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, che ha accusato il governo di invasione di campo rispetto alle autonomie locali, per le norme emanate sull’istruzione, e ha annunciato un ricorso alla Consulta. A Firenze ieri risultavano occupate trenta sedi di scuole medie superiori, che si vanno ad aggiungere alle occupazioni e ai cortei che nei giorni scorsi hanno interessato tutta Italia. Ieri mattina a Roma, davanti al ministero, c’è stata anche la protesta dei lavoratori delle imprese esterne che si occupano delle pulizie degli istituti scolastici (sono 14 mila gli interessati) e che ora vedono a rischio i rinnovi dei loro contratti. Oggi genitori e insegnanti organizzeranno una notte bianca in diverse scuole di tutta Italia. La protesta contro i tagli dei fondi ordinari alle università (63 milioni su 7 miliardi complessivi), intanto, si allarga a macchia d’olio. Catania ha deciso di non celebrare quest’anno l’inaugurazione dell’anno accademico e la sostituirà con un incontro pubblico «sui problemi del sistema nazionale universitario». A Firenze, domani, lezioni in 14 piazze cittadine «per sensibilizzare la cittadinanza». Ieri mattina, alla Statale di Milano, una cinquantina di studenti hanno manifestato di fronte al rettorato. A Torino centinaia di studenti e ricercatori aderenti all’«Assemblea No Gelmini» si sono ritrovati nell’atrio di Palazzo Nuovo. Tra le iniziative decise, «lezioni a cielo aperto» e un presidio il 28 ottobre davanti all’Unione Industriale presso la quale è atteso il ministro Gelmini. A Napoli i collettivi studenteschi hanno indetto un’assemblea per oggi nella facoltà di lettere della Federico II, mentre all’Orientale continua lo stato d’agitazione. A Roma prosegue il blocco delle lezioni a Lettere al grido di «l’università non pagherà la vostra crisi». /