Irene Maria Scalise, la Repubblica 19/10/2008, 19 ottobre 2008
IRENE MARIA SCALISE
Roma
Per alcuni attori il successo arriva al primo film. Un´esplosione improvvisa che li trascina nell´Olimpo e poi, costantemente, li fa vivere nel terrore di ricadere nell´anonimato. Un´ansia maledetta che prende alla gola e può rovinare l´esistenza. Ad Alessandro Gassman è successo l´opposto. Per una vita è stato solo due cose: il figlio di Vittorio Gassman e un bel ragazzo. Bello di una bellezza singolare, quel tipo di fascino che le donne sognano e gli uomini invidiano. Occhi carbone e un metro e novanta di flessuosa longitudine. In realtà era anche bravo, ma di una bravura cresciuta in piccoli teatri di provincia, di ruoli nelle retrovie oscurati dalle foto per un calendario di cui ancora si pente.
Poi, quasi per caso, è arrivato il film Caos calmo, tratto dal libro di Sandro Veronesi. Non si aspettava molto, se non l´opportunità di lavorare con Nanni Moretti. Il ruolo era quello scomodo di non protagonista, del secondo dietro al gigante. E invece gli è cambiata la vita. Il grande pubblico, non solo quello dei teatrini polverosi, si è innamorato di lui. Gli ha riconosciuto il talento e, soprattutto, l´umanità. Con novanta minuti di proiezione ha cancellato l´immagine del figlio d´arte privilegiato e inevitabilmente antipatico. Con Caos Calmo Alessandro Gassman è nato una seconda volta: vero, naturale, semplice. Come è nella realtà, quando si aggira in felpa verde e jeans per la casa che ha comprato dieci anni fa appena è nato il figlio Leo. «Eravamo troppo stretti nel mio buco di Trastevere e ci siamo trasferiti», spiega sorridendo tra una sigaretta e l´altra, gli occhi cinesi che si stringono, «sono contento perché abbiamo saputo scegliere un quartiere autentico, mio figlio va a piedi alla scuola pubblica, noi giriamo in motorino». E in effetti qui, in questo angolo di Roma dietro piazza Navona, la domenica mattina tutto sembra sorprendentemente normale: per le scale odore di pasta al ragù, nel portone biciclette e passeggini, in lontananza il rintocco delle campane. Anche casa Gassman è normale: divani di pelle e tante foto. Una cucina spaziosa, l´aria vissuta e felice.
«In realtà felice per quel che mi riguarda è una parola impegnativa, diciamo che sono molto attivo, ho tanti programmi e la consapevolezza di essere uno che ha avuto un gran culo». Neanche troppo vera questa storia del culo. Anzi. Questi primi quarantatré anni, per lui, non sono statati sempre allegri. «Dai quattordici ai quindici anni sono cresciuto di venti centimetri, ero altissimo, fuori misura nel corpo e nella mente, mi sentivo diverso e aggressivo, un vero freack». Poi è arrivata la boxe, un modo per scaricare il negativo e farsi del bene. Pugni e sudore. Rabbia e riscatto. «Mi ha convinto mio padre spingendomi ad andare in palestra perché aveva capito che ero una mina inesplosa, un potenziale pericolo».
Dopo la boxe, e gli studi terminati senza troppa passione, è arrivata la decisione di fare l´attore. «Ho sempre dichiarato onestamente di aver provato a recitare solo perché mi chiamavo Gassman, altrimenti avrei tentato la strada del perito agrario. Per fortuna nel mio primo spettacolo temevo talmente tanto di fare la figura del bamboccione, di quello che non si è guadagnato niente, che ho dato il meglio e il pubblico mi ha apprezzato». Un´altra cosa lo ha salvato: la voglia d´indipendenza. «Avere soldi miei è sempre stato importante, non sopporto di essere di peso per nessuno, neanche di andare ospite in casa di amici, se m´invitano mi prenoto l´albergo più vicino». Certo, non è facile essere indipendenti se tuo padre è Vittorio Gassman. «Nella realtà era l´opposto dei suoi personaggi fanfaroni e sopra le righe, un uomo timido e molto riservato, assolutamente silenzioso. Una volta abbiamo fatto un viaggio in macchina da Roma a Milano senza dire una sola parola. Il risultato è che da quando è morto la cosa che mi manca di più sono i suoi silenzi». Un´eredità preziosa. Non a caso il drammaturgo spagnolo Lope de Vega diceva che, se fosse stato re, avrebbe istituito una cattedra per insegnare a tacere. «Io riesco a rivivere quei mutismi pieni di armonia solo con mia moglie Sabrina, amiamo entrambi la natura e ci siamo comprati una piccola casa in Austria dove camminiamo per ore senza dire nulla».
Il silenzio di Vittorio Gassman non era però solo dovuto al carattere schivo. Era il risultato di una natura difficile, devastata da continui sbalzi di umore. Di quella tristezza opaca che trascina in un vortice senza via d´uscita. «Quando mio padre era depresso era terribile per sé e per tutta la famiglia. Una volta in tournée stava così giù che, contro la sua disperata volontà, ho dovuto costringerlo a fermarsi e tornare a casa perché era impossibile continuare. Mi sono sentito malissimo». Nei giorni di serenità, invece, aveva il grande dono dell´ironia. Sapeva ridere della sua malattia. «Il suo compagno di lamentele preferito era Ugo Tognazzi, altro gran depresso. Discutevano di continuo su chi era il più angosciato e poi si facevano delle gran risate».
Alessandro in questo non ha ripreso da suo padre. Ha una natura solare. Però ha avuto anche lui i suoi tormenti. «Pensavo che non sarei mai andato in analisi ma poi, un giorno, ero a Torino per uno spettacolo e mi è venuto il primo attacco di panico: inaspettato, crudele, devastante e allora sono finito dall´analista». iniziato un percorso doloroso, durato qualche anno, e intriso di quella sensazione indefinita che conosce solo chi gli attacchi di panico li ha vissuti: «Vivevo nella paura che mi potesse tornare quella paura, i medici la chiamano ansia anticipatoria. Giravo con il Lexotan in tasca e ho provato di tutto: analisi junghiana, transazionale e, soprattutto, tante medicine». Il risultato? «Decisamente sto meglio. Comunque, il miglior medico che conosco è Carlo Verdone. Un mago della chimica, in grado di dosare il Lexotan come nessun altro».
Se il cinema si è accorto di Alessandro Gassman quando era già uno "splendido quarantenne", con il teatro è stata tutta un´altra storia. «Nel palcoscenico ti premia il rigore e io per fortuna ne ho tantissimo, forse per reazione a questa società pressappochista. Ogni sera bisogna essere perfetti e lo stimolo continuo è il pubblico che ti chiede sempre di più di quello che potresti dare». Per alcune commedie Gassman è anche regista. « quello che mi piace di più, anche quando recito guardo gli altri attori e vorrei dare suggerimenti. Spero un giorno di avere la possibilità di dirigere e basta. Sono bravissimo soprattutto nel gestire i provini perché li ho sempre odiati, intuisco quel terrore che può condizionare e far sbagliare tutto e tranquillizzo gli attori». Il peggiore provino della sua vita è stato proprio quello per il miglior film: Caos calmo. «Ho sempre considerato Nanni Moretti un mito, conoscevo tutti i suoi film a memoria e avevo il terrore di rimanere deluso e soprattutto di deluderlo». Invece è andata bene, la strana coppia ha funzionato sul set e anche fuori. «Quando giravamo insieme tutti mi chiedevano l´autografo, Nanni si stupiva e io gli rispondevo che ero più famoso di lui solo perché avevo fatto un calendario». Un errore, quello di mettersi in posa per dodici mesi seminudo nelle spiagge messicane, in cui è scivolato sempre per quel maledetto desiderio d´indipendenza economica. Quando ne parla, anche se cerca di riderci sopra, gli occhi si stringono di più e diventano fessure: «Non lo rifarei mai».
Ultimamente è spesso all´Aquila dove ha fatto una scelta coraggiosa: la direzione del Teatro Stabile. «Abbiamo in programma uno spettacolo, Le invisibili, scritto da Lidia Ravera sulla violenza alle donne pakistane acidificate, un delitto mostruoso e ancora senza una pena. Poi ci sarà uno spettacolo che, partendo dalla realtà dei portoricani a New York, affronta la condizione dei romeni a Roma». Durante il mese di novembre, invece, sarà la volta di Milano con La parola ai giurati al teatro Manzoni. Nel suo modo di lavorare c´è molto del rigore di Vittorio. Adesso più di prima. «Ho cominciato ad assomigliare a mio padre dopo che è morto, è come se la sua anima mi avesse posseduto». In una cosa però sono diversissimi: «Lui viveva per lavorare, io lavoro per pagarmi le vacanze». Ma, soprattutto, per godersi la famiglia. Uno come lui, che avrebbe potuto avere mille donne, ha sempre scelto la fedeltà senza rimpianti. «Sono fidanzato da quindici anni e sposato da dieci e sapere che posso tornare da mia moglie e mio figlio è la sola certezza della mia esistenza. Come padre sono molto giocoso, ludico, purtroppo mi manca la pazienza ma supplisce Sabrina».