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 2008  ottobre 19 Domenica calendario

«Seduti attorno al tavolo, ancora impegnati a finire di mangiare, ascoltavano tutti con grande rispetto i discorsi di Riccardo

«Seduti attorno al tavolo, ancora impegnati a finire di mangiare, ascoltavano tutti con grande rispetto i discorsi di Riccardo. Sempre, durante i pranzi domenicali – almeno due domeniche al mese, dopo la messa, venivano gli zii ”, lui teneva banco parlando del suo lavoro: la televisione. Sì, perché suo padre, Riccardo Mannucci, era una persona molto importante. Lavorava in televisione e conosceva dal vero tantissime persone famose: Raffaella Carrà, Corrado, le gemelle Kessler, Enzo Tortora, Pippo Baudo, Mike Bongiorno e poi lei, la preferita di Sabrina: Dora Moroni». I giorni felici di Teresa Ciabatti (edito da Mondadori) è forse il primo romanzo italiano che ha per protagonista la famiglia di un dipendente Rai, non una maestranza qualsiasi ma un responsabile dell’Ufficio Personale. Riccardo Mannucci è un integerrimo lavoratore, orfano a vita della Rai di Ettore Bernabei; dal punto di vista narrativo, è il personaggio chiave che permette all’autrice un inedito ritratto della Roma anni Settanta, composto in parte da quel demi- monde che ruotava attorno a Viale Mazzini nel momento i cui Viale Mazzini era il cuore dell’industria culturale italiana, e in parte da quella borghesia di palazzinari romani, con ancora indosso l’odore di burinaggine, mescolata alla calce e al cemento. Ci sono tutti, con nomi e cognomi quasi veri, gente molto furba che fa i conti in tasca, frequenta i circoli aziendali e quelli più esclusivi, e i licei che contano, i Parioli, i bar famosi, i socialisti che cominciano ad occupare la Rai. Da un momento all’altro ti aspetti di incontrare anche Barbara Palombelli sul motorino, nel fiore degli anni. E invece è assente. L’unica assenza di rilievo, gli altri ci sono tutti. La figlia di Riccardo si chiama Sabrina e, per la gioia del padre, corona un sogno che la segnerà per tutta la vita: partecipare e vincere lo «Zecchino d’oro». Il dramma del romanzo sta tutto qui: il padre, invece di fare come fanno tutti i padri Rai (il giorno della pensione far entrare in Viale Mazzini, per antico diritto medievale, il proprio congiunto), vagheggia per la figlia, un futuro da star, da artista, da grande intellettuale; fino allo stremo, fino a farglielo credere. Gli happy days di Sabrina sono quelli legati alla fiaba della televisione, al Mago Zurlì, a Topo Gigio: la vita vera si rivelerà molto più deludente, una sorta di «Chi l’ha visto?» dei sentimenti, delle aspirazioni, degli affetti, tanto da restare stordita dalla propria catastrofe. Così l’agonia del padre, un lungo tormento alla frontiera tra la vita e la morte, diventa lo specchio su cui riflettere i propri fallimenti, un sentimento di estenuazione che, per paradosso, la restituisce alla vita, in tutta la sua miseria (e magari l’unico modo per apprezzarne uno straccio è proprio la tv). La parabola di Sabrina, curiosamente, si rivela essere anche la parabola della Rai: dall’onnipotenza bernabeiana ai guasti della Riforma, dalla centralità dell’impero all’invasione dei barbari. Per consolarsi, il pensionato Riccardo Mannucci non trova di meglio che leggere i libri di Corrado Augias e Bruno Vespa, per lui ultima impronta di tv intelligente. I giorni felici è come se fosse diviso in due parti, due libri che faticano a integrarsi: nel primo (più riuscito) si snoda un affresco romano di grande sagacia, mentre nel secondo (più personale) si scivola nel privato e nel manierismo psicologico. La cosa che più sorprende del romanzo è la tecnica narrativa, di grande professionalità, di consumato mestiere (il gioco delle biografie vere, quasi maniacali, di alcuni protagonisti delle cronache, per poter avvalorare l’ultima biografia finta è una grande idea), cui però non corrisponde mai quel fuoco che ti avvicina alla grande letteratura: l’apprezzamento c’è, per il brivido bisogna attendere. Quanto ai dettagli, su cui il racconto si fonda non poco, c’è da precisare che quando arriva il colore in televisione, Bernabei non c’è più. E poi è strana la data degli sbraiti del mite Bruno Gambarotta perché la ricerca dei concorrenti di «Lascia o raddoppia? » è appena stata data in appalto a una ditta di Bologna. Nel 1972? La prima «Lascia o raddoppia?» finisce nel 1959, la seconda inizia nel 1979 e la terza (condotta proprio da Gambarotta) nel 1989.