Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  ottobre 17 Venerdì calendario

Fioraso Simone

• Rho (Milano) 2 aprile 1949. Abate • «[...] monaco cistercense, anima ascetica, testa da Confindustria, carisma da leader, ha trasformato Santa Croce in Gerusalemme, una delle sette mete del pellegrinaggio a Roma, da chiesa abbandonata in abbazia tornata all’antico splendore, spettacolare e tirata a lucido, dotata persino di un albergo molto à la page. Centro di culto e di solidarietà permanente per le sedicimila anime della sua parrocchia, oltre che monastero con trenta monaci, è diventata anche un’enclave ambita e di rango grazie all’associazione Amici di Santa Croce, presieduta da un discendente di Carlomagno. Apprezzato da politici anche comunisti (Fausto Bertinotti), prefetti, cantanti pop (Madonna e Gloria Stefan), parrocchiani poveri e ferventi, principesse estatiche, l’abate è riuscito a ridare fulgore anche all’orto monastico all’interno dell’anfiteatro Castrense. A ridisegnarlo è calato dal Piemonte il paesaggista di Marella Agnelli e di Mary de Rothschild, vedova del barone Alain, ed ora è così biologico che soddisferebbe perfino la severissima Giulia Maria Crespi. “Don Simone è un angelo”, giura una delle sue pecorelle, una vecchietta con sporta piena di broccoletti dell’orto, venduti (non a lei, che li ha avuti caritatevolmente come molti dei nuovi poveri dell’Esquilino) nello spaccio del monastero (anche miele, marmellate e cioccolata by appointment della più alta nobiltà). “Potrebbe dirigere la Fiat”, segnala un altro, devoto ma più secolare, una busta con due chili di zucchine romanesche (pagate). Dopo la fama arrivata con la “Bibbia giorno e notte” molti parrocci di Roma, come sostengono i maligni, sarebbero rosi dall’invidia, se il loro spirito, come sostengono invece anime più pie, non fosse ben al di sopra delle misere passioni umane. Intanto il Vaticano, calato per la lettura della Bibbia con l’establishment più prestigioso (solo il papa e il cardinale Carlo Maria Martini sono stati registrati) ha osservato e molto approvato. A capo di tre abbazie, don Simone sale nella nomenklatura del potere di Roma, città con la coda di paglia, bisognosa di punti di riferimento spirituali che controbilancino la godereccia inclinazione al peccato. E soprattutto ansiosa di sostituire il vuoto lasciato da don Vincenzo Paglia, leader della Comunità di Sant’Egidio, nominato vescovo a Terni, grande mediatore di poteri temporali e spirituali. Se per alcuni Fioraso è meno politico di Paglia, per altri è più carismatico e soprattutto più contemporaneo, nonostante l’abito medioevale, molto apprezzato anche nei romanzi di Balzac e Dumas. Non solo per l’apertura mentale (“La sua modernità è formidabile”, dice Giuseppe De Carli, direttore di Rai Vaticano, inventore della non stop della Bibbia, uno che di monaci se ne intende), ma pure per la sua storia, quasi una sceneggiatura, meritevole almeno di una palma d’oro al festival di Cannes. L’abate, una bella chioma bianca, due occhi come laser, il sorriso di chi accoglie e comprende, proviene dal mondo meno caritatevole che c’è: gli atelier della moda di Milano. Chi dice quelli di Missoni. Chi dice quelli di Giorgio Armani. Lui non fa nomi e sorvola. Fatto sta che, quando a 34 anni si presenta a Roma alla chiesa di San Carlo al Corso per fissare la data delle sue nozze, accade l’impensabile. A fine colloquio, padre Ilario Marchesan gli dice: “Tu non sei chiamato al matrimonio, ma al sacerdozio”. È un seme che ci mette anni a crescere. Ma succede. Entra come novizio all’abbazia di Chiaravalle. Poi arriva a Santa Croce, archivista bibliotecario. È amore a prima vista: “Amo questo posto più di me stesso. È la nostra luce, il luogo dove Dio e l’’uomo vivono insieme". Ma l’abbazia è fatiscente. I monaci stanchi e anziani. Le casse vuote. Don Simone rammenta l’insegnamento di un antico maestro: “Bisogna scavare nuovi pozzi”. Più che scavare, si mette a trivellare. In effetti, si fa più in fretta. “Tutto questo? Opera della Provvidenza”, minimizza. Sarà stata allora la Provvidenza, tramite lui, a scrivere a Domenico Sissini, direttore generale dei Beni culturali, per segnalare l’estremo bisogno di restauri. A cercare la collaborazione del prefetto Francesco La Motta, direttore del Fec, il Fondo edifici di culto del ministero dell’Interno. A spingerlo a riprendere lo storico rapporto tra Santa Croce e la nobiltà romana. Così, bussa alla porta del discendente di Carlo Magno, di Ugo Capeto di Francia, di Ferdinando, re de Leon e de Castiglia etc, tutti riuniti ora in una sola persona: il marchese Giulio Sacchetti. Poi, la svolta del Giubileo con i suoi fondi. E la nascita degli Amici di Santa Croce: presidente, il marchese Sacchetti, vice presidente Olimpia Torlonia e un comitato promotore degno del Jockey club di Parigi. Sono loro a contattare il paesaggista Paolo Pejrone per l’orto e l’artista Jannis Kounellis per forgiare la porta del suddetto: sono persone generose pronte ad aiutare anche i parrocchiani in bolletta, così sofisticate che se c’è da cambiare la moquette pensano subito a Renzo Piano. Santa Croce è decollata. Ci passano Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Pier Ferdinando Casini. I pellegrini e i visitatori aumentano. Si inaugura l’albergo. C’è la fila per fare le mostre nell’orto. I bambini dell’oratorio estivo ne vanno pazzi. Poi si presenta la Rai con De Carli e il progetto “Bibbia giorno e notte”, irrealizzabile in altre basiliche sondate prima. Ora che l’evento ha avuto uno straordinario successo e che 75 mila persone sono venute ad ascoltare la Bibbia, l’abate ha già elaborato un’idea: creare una cappella della Bibbia per non perdere l’ondata di spiritualità provocata dal Libro dei libri. Ne avrà parlato nel lungo colloquio con il potentissimo cardinale Angelo Comastri, vicario del papa per la Città del Vaticano, passato a Santa Croce a leggere la Bibbia? Il cardinale, noto per la sua pietas mariana e anche per l’attenzione ai risvolti economici delle attività della chiesa, non avrà che apprezzato il gran lavoro dell’abate. Santa Croce è superstar. E don Simone al settimo cielo» (Denise Pardo, “L’espresso” 23/10/2008).