Vittorio Sabadin, La Stampa 17/10/2008, pagina 38, 17 ottobre 2008
La Stampa, venerdì 17 ottobre Londra. Bisogna stare molto attenti, visitando Frieze, la più grande fiera d’arte contemporanea britannica, aperta ieri a Regent’s Park, perché il rischio di commettere errori è molto elevato
La Stampa, venerdì 17 ottobre Londra. Bisogna stare molto attenti, visitando Frieze, la più grande fiera d’arte contemporanea britannica, aperta ieri a Regent’s Park, perché il rischio di commettere errori è molto elevato. Quello che sembra un bidone della spazzatura sarà davvero un contenitore dove si può gettare un fazzolettino di carta usato o è un’opera d’arte in attesa di un acquirente? E quella persona seduta che non si muove da alcuni secondi assorta nei suoi pensieri è solo un visitatore stremato o un manichino da mezzo milione di sterline? Le minuscole cabine di vetro trasparente con posacenere e un grande tubo aspiratore sul tetto sono davvero luoghi dove andare a fumare una sigaretta o una rappresentazione di living art? Ma poco importa: circa 70 mila persone visiteranno Frieze, e già ieri la coda per entrare richiedeva almeno un’ora di attesa. Dopo che Damien Hirst ha incassato 111 milioni di sterline (144 milioni euro) nella sua ormai storica asta da Sotheby’s tutti sembrano pazzi per l’arte contemporanea e si prevede che nei tre giorni di esposizione le 150 gallerie di tutto il mondo che espongono le loro collezioni incasseranno 200 milioni di sterline. Ma potrebbe anche non essere così: molti segnali portano e pensare che il favoloso decennio che ha visto prezzi in continua crescita sia ormai alle spalle, che Hirst abbia segnato l’apice di tutte le follie nel giorno stesso del crollo di Lehman Brothers, e che per le quotazioni di molti artisti ci sia all’orizzonte una rovinosa discesa che seguirà esattamente il percorso degli indici di borsa. Sono giorni decisivi, da questo punto di vista a Londra: Sotheby’s ha in programma due aste di arte contemporanea, delle quali i teschi di Andy Warhol sono il pezzo forte. Ma ci sono molti dubbi che riesca a raccogliere i 5-7 milioni di sterline auspicati. L’indice della pop art americana ha cominciato a scendere da alcuni mesi ed è vero che chi ha acquistato un Warhol, un Rauschenberg o un Lichtenstein dieci anni fa ha visto il proprio investimento crescere tra il 350 e il 500 per cento, ma chi ha comprato nel 2007 per quasi un milione di euro una versione di Campbell’s Tomato Soup comincia a pentirsene, visto che ora vale circa il 10 per cento in meno. Ancora prima che i mercati crollassero, un’asta della un tempo richiestissima arte asiatica ha raccolto 7 milioni di sterline a fronte dei 30 previsti e persino i cinesi non vanno più così bene: sempre da Sotheby’s è rimasto invenduto il 70 per cento di un lotto. La prossima settimana da Christie’s ci sarà una importantissima asta di arte italiana, con Burri, Pascali e Manzoni quotati tra uno e due milioni di sterline. Secondo lo storico dell’arte Charles Duppin, «ci sono ancora circa 200 persone in tutto il mondo che potranno sempre permettersi di acquistare pezzi di arte-trofeo. Ma il vero mercato, quello con prezzi fino al milione di sterline, è già morto». Le esperienze del passato dovrebbero mettere in guardia. Dopo la grande crisi del 1929 a Londra si vendevano Turner a 90 sterline e Braque a 110. Un Degas pagato 21 mila sterline nel 1912 ne raccattò solo 4000 nel 1938, e nel 1932 nelle aste inglesi si vendettero in tutto otto quadri. Thersten Albertz, direttore di Arndt e Partner a Berlino, ha già notato una maggiore prudenza: «Il modo con il quale la gente compra è cambiato, ora è più calmo e prudente. Prima si rincorreva l’artista giovane, quello alla moda; ora gli acquisti sono diventati più riflessivi». Frieze è arrivata al sesto anno di vita e ospita solo artisti contemporanei viventi. Lo scopo sembra essere unicamente quello di stupire e c’è una sensazione di corsa alla stravaganza. Di fronte ad alcune opere, molti visitatori restavano ieri letteralmente a bocca aperta, con l’aria di pensare: «Ma sono cretino io che non capisco o chi ha creato questa roba?» Forse si è un po’ esagerato, nel percorso che ha portato il mercato dell’arte a divorziare dalla genuina capacità artistica. Il famoso critico d’arte Robert Hughes, uno dei più acerrimi nemici di Damien Hirst, è convinto che gli alti prezzi degli ultimi anni abbiano causato una epidemia di cecità. Si è comprato molto a qualunque costo perché il possesso di un autore quotato era un modo di rappresentare la propria ricchezza nella propria abitazione, così come lo era la Ferrari nel proprio garage. E gli artisti ne hanno approfittato. Isaac Julien, diplomato nel 1984 alla St Martin School of Art, sottolinea che «mentre l’uso della ripetizione in Warhol aveva un significato intellettuale, ora la serialità sembra essere diventata solo un modo diverso di stampare soldi». Ma i soldi sono sempre meno. Gli oligarchi russi, i miliardari indiani e arabi che hanno immesso enormi quantità di denaro nel mercato dell’arte facendolo crescere a dismisura stanno valutando che cosa è rimasto del loro patrimonio dopo i crolli della City e di Wall Street e se hanno un obiettivo a breve termine, sarà quello di vendere qualcosa, non di comprarlo. Come ha notato proprio sulla rivista Frieze lo scrittore inglese George Pendle, nei mercati normali è la scarsità del prodotto o la qualità a fare crescere i prezzi. Nel mercato dell’arte, che si occupa di prodotti che non hanno un valore intrinseco, i prezzi sono fatti salire (e scendere) solo dai prezzi. Vittorio Sabadin