Francesco Manacorda, La Stampa 17/10/2008, pagina 6, 17 ottobre 2008
Tutti vendono Unicredit, i libici comprano Unicredit. Ieri sera, dopo un’altra giornata di passione per la banca guidata da Alessandro Profumo, che giunge a sfiorare pericolosamente i 2 euro, arriva l’annuncio
Tutti vendono Unicredit, i libici comprano Unicredit. Ieri sera, dopo un’altra giornata di passione per la banca guidata da Alessandro Profumo, che giunge a sfiorare pericolosamente i 2 euro, arriva l’annuncio. La Banca centrale della Libia, la Libyan Investment Authority e la Libyan Foreign Bank hanno «acquisito sul mercato una quota ulteriore che consente loro di raggiungere il 4,23% del capitale Unicredit». I fondi sovrani, evocati il giorno prima come un pericolo dal premier Silvio Berlusconi, si materializzano immediatamente. Ma, in questo caso, le loro intenzioni non appaiono ostili. Fino a ieri azionisti residuali di piazza Cordusio - avevano uno 0,87% eredità della fusione con Capitalia, dove invece possedevano il 5% - gli investitori pubblici arabi balzano adesso al secondo posto in classifica, preceduti solo da Cariverona con il 5% e seguiti dalle altre Fondazioni e da Allianz. E nella banca investiranno ancora: alla loro quota, che ai prezzi di ieri vale circa 1,2 miliardi, i libici hanno già affiancato dieci giorni fa la disponibilità a sottoscrivere fino a 500 milioni nelle obbligazioni che Unicredit dovrà emettere se l’aumento di capitale da 3 miliardi varato il 5 ottobre - e che ai prezzi di Borsa attuali andrebbe deserto - non facesse il pieno. La salita nel capitale è presentata e accolta come un’operazione amichevole. In una nota i tre soggetti libici si definiscono «investitori di lungo termine» e spiegano che, in linea con la loro strategia, l’investimento «mostra un chiaro potenziale di lungo termine e solide opportunità industriali». Ovviamente hanno giocato anche le quotazioni stracciate di questi giorni: è presumibile che le azioni siano state comprate attorno ai 2,5 euro. Soddisfazione anche da parte della banca, che per bocca di un suo portavoce esprime la massima fiducia nei nuovi azionisti di peso. Del resto la soglia del 5% ai diritti di voto - qualsiasi sia la partecipazione posseduta da un soggetto - esclude la possibilità che l’interesse dei libici diventi troppo forte. Quale l’accoglienza del governo all’operazione? Berlusconi non ha fatto commenti pubblici. Il giorno prima aveva messo in guardia dal rischio di Opa ostili, parlando di «paesi produttori di petrolio che hanno molti fondi» e che «stanno acquistando massicciamente nei nostri mercati». Ma il caso libico non pare proprio rientrare in queste preoccupazioni. Sia per la politica di distensione che proprio il premier Berlusconi ha messo in atto a fine agosto con Gheddafi - tra l’altro la Libia è stata anche in predicato di entrare in Telecom con la benedizione di Palazzo Chigi - sia appunto per la soglia del 5% ai diritti di voto nella banca che chiude eventuali spazi di manovra. Anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti non ha voluto commentare l’operazione. Alcune voci lo danno però irritato in generale per la gestione della crisi Unicredit nelle ultime settimane e assai critico nei confronti di Profumo. La spinta che viene dalla Libia aiuta comunque il titolo a riprendersi nel dopo Borsa. La seduta regolare di Unicredit, infatti, è l’ennesimo bagno di sangue, con una perdita del 13,07% che porta il titolo a 2,16 euro. In serata, invece, il titolo recupera il 6% arrivando a 2,3 euro. Soci e management non si capacitano in ogni caso della caduta senza freni dell’azione. Con il doloroso aumento di capitale Profumo riteneva di aver messo al sicuro la banca da attacchi speculativi. Così non è stato: nei dieci giorni trascorsi dall’operazione il titolo ha perso all’incirca un altro terzo del suo valore. Anche di questo si è parlato ieri, senza trovare una spiegazione, nel comitato strategico in piazza Cordusio. Francesco Manacorda