Antonio Scurati, La Stampa 17/10/2008, pagina 1, 17 ottobre 2008
La Stampa, venerdì 17 ottobre Probabilmente Barack Obama sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, probabilmente quest’uomo ancora giovane, dalle movenze sciolte, eleganti, sicure e rassicuranti sarà l’America del futuro
La Stampa, venerdì 17 ottobre Probabilmente Barack Obama sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, probabilmente quest’uomo ancora giovane, dalle movenze sciolte, eleganti, sicure e rassicuranti sarà l’America del futuro. Non meno probabilmente, però, il presidente del presente, l’uomo in cui si specchiano l’America e il mondo degli anni che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo si chiama John McCain, è nato a Panama nel 1936, ha 72 anni, fu abbattuto in volo nel 1967 mentre era in missione sopra Hanoi, catturato e torturato dai Vietcong, prigioniero di guerra fino al 1973, e da allora ne porta i segni nel corpo e nello spirito. La sua postura rigida da marionetta scassata, il suo incedere macchinoso, il suo passo inceppato sono la postura, l’incedere e il passo dei giorni del presente. Le foto in cui il candidato McCain si mette in caricatura accentuando la propria andatura spastica gli rimarranno, credo, attaccate addosso. E - forse - quest’apparente caduta d’immagine non gli fa torto ma onore. Scherzando sulla propria invalidità, rimarcandola, John McCain ha raccontato se stesso, le qualità e i difetti che ne fanno l’uomo dell’oggi. Anche il suo coraggio un po’ scomposto, quasi balzano, la sua zampata scoordinata di vecchio leone ferito sono i segni del presente. John McCain è, infatti, un uomo che porta da più di trent’anni una ferita insanabile, un reduce del Vietnam afflitto da Sindrome Post Traumatica da Stress, John McCain è, insomma, il primo nella storia ad aver basato la propria candidatura al ruolo di uomo più potente del mondo sulla piattaforma della propria debolezza, della propria invalidità. Ed è proprio questo a farne il Presidente della nostra epoca, un’epoca di traumatizzati anche se in assenza di un vero trauma. Uomini come Nixon (lo spione dei suoi avversari), come Kissinger (il grande diplomatico tessitore di trame oscure), come i Bush (sempre sospettati di subordinare la geopolitica a loschi interessi petroliferi) sono stati gli uomini di un’era post-guerra fredda. Dopo la fine della divisione del mondo in due blocchi separati e contrapposti, le cose si andavano facendo troppo tortuose, troppo complicate, ed eccoci pronti a ipotizzare un bel complotto che tutto spiegava. La paranoia è stata, per questo motivo, a lungo il modello psicopatologico atto a raccontare la perturbante inafferrabilità del mondo contemporaneo. Oggi la mano passa, però, alla sindrome post-traumatica da stress. Sì perché oggi ci sentiamo un po’ tutti afflitti dai disturbi psichiatrici un tempo circoscritti a quei rari soggetti che avevano dovuto affrontare un evento critico abnorme (terremoti, incidenti stradali, abusi sessuali, atti di violenza, guerre e attentati). Nella stragrande maggioranza dei casi non li abbiamo subiti davvero questi traumi ma è come se ne scontassimo le conseguenze. In ogni campo la nostra vita collettiva si agita in preda a manifestazioni continue di un multiforme panico morale: la vita politica da anni è decisa da una paura immotivata nei confronti del terrorismo (dopo l’11 settembre il terrorismo è diventato realtà quotidiana in Medio Oriente, non qui da noi), quella economica da cicliche crisi di fiducia e isterismi finanziari, quella sociale dai fantasmi terrificanti dello straniero invasore. Abbiamo avuto infanzie felici, giovinezze agiate, esistenze pacifiche, eppure accusiamo molti dei sintomi dei soldati traumatizzati in battaglia: vissuti intrusivi, stordimento, confusione, tendenza a evitare tutto ciò che ricordi in qualche modo l’esperienza traumatica (anche solo simbolicamente), incubi, insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate. In molti, in troppi casi, cerchiamo sollievo alle nostre sofferenze proprio come tendono a fare i traumatizzati: abuso di alcol, droga, farmaci e psicofarmaci. Insomma, il giovane Barack ci piace ma il vecchio John ci somiglia. Obama ci seduce come un divo di Hollywood ma, poi, quando ci mettiamo davanti a uno specchio nei nostri rari momenti di verità, ciò che vediamo riflessa è l’immagine di McCain che avanza guardingo e contratto con quel suo passo da animale coraggioso ma ferito. Proprio per questo verrebbe voglia di dire: avanti America, rendi l’onore delle armi al vecchio soldato, ma poi lasciatelo alle spalle. Fatti forza, fatti coraggio. Cerca per l’avvenire un diverso tipo di coraggio. Antonio Scurati