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 2008  ottobre 22 Mercoledì calendario

Vanity Fair, mercoledì 22 ottobre Alla fine hanno provato a fermarmi perfino gli dei dell’Olimpo

Vanity Fair, mercoledì 22 ottobre Alla fine hanno provato a fermarmi perfino gli dei dell’Olimpo. Invano. Ero in partenza per la Grecia quando un amico mi ha dato una dritta «sicura»: «Compra Trevi. C’è una fusione in ballo. Il titolo sta per schizzare». Ho riagganciato e stavo per chiamare la banca e dare l’ordine di acquisto quando la voce dello steward ha pregato di spegnere i cellulari e le apparecchiature elettroniche a bordo: il volo Roma-Atene decollava. Era il primo avviso di Zeus & Co. Il secondo è arrivato il giorno dopo, quando alla decima telefonata l’operatore, dalla sede centrale della banca, mi ha detto: «Signore, oggi è sabato, gli sportelli sono chiusi, può aspettare lunedì?». Avevo già perso il senso del tempo, poi avrei perso il senno. Lunedì ero a Lipsi, uno di quei posti dove il mondo puoi, devi dimenticartelo. Su una spiaggia perfetta, deserta, in buona compagnia e con un ottimo libro, Come la rabbia al vento. E nel vento eccomi lì a nuotare con un braccio solo, tenendo il cellulare sollevato fuori dall’acqua per raggiungere uno scoglio a duecento metri dalla riva dove trovare campo, telefonare e ordinare infine l’acquisto delle Trevi. Sono passati tre mesi. Volete sapere quanto valgono ora quelle azioni? Al momento in cui scrivo: -42%. Non è bastato neppure il terzo avviso degli dei. Non è bastata una vita. Dice: c’è il crac. Non lo sapessi. una vita che mi casca addosso. Your Crac. My Crac. Se fossi stato ricco, sarei rovinato. Da spiantato, mi son potato i rami. Che cosa ho imparato? Provo a scriverlo qui. Il diario di ottobre parla di Borsa, di numeri, dei cosiddetti esperti di finanza. Del solido valore della parola divina tace, ne ha già parlato il Papa. Amen. La tentazione All’inizio fu Elaine. Lavorava a New York nella banca, la Chase, in cui avevo il mio conto corrente. Era la fine degli anni Novanta. Clinton era Presidente. Gore, il suo vice, aveva inventato Internet (o così avrebbe sostenuto, nella generale ilarità). Più o meno chiunque sapesse usare un computer apriva una società di traffici on line e prosperava, si quotava e le sue azioni bollivano. L’indice Nasdaq, quello dei titoli hi-tech, rincorreva il Dow Jones e gli «esperti» prevedevano l’avrebbe raggiunto nel giro di pochi anni, forse mesi. A che cosa serve andare al cinema se poi non fai tesoro di quel che hai visto? I soliti sospetti mi era sembrato una meraviglia. E avrei dovuto ricordarmelo: il diavolo, Keyser Söze, ha le sembianze del più innocuo, il claudicante Verbal. Elaine era una signora anziana, con le mezze lenti, lo chignon, vicina alla pensione. Non sembrava una che t’induce alla vita spericolata. Esaminò con aria da professoressa di scienze naturali il mio conto di risparmio e disse, in modo innocente: «Ma perché, ora che torna in Italia, non lascia qui questi dollari, magari investiti in un fondo? Abbiamo questo, per esempio, che l’anno scorso ha reso il trecento per cento...». Putnam! Non è un’imprecazione. il nome della società che gestiva il fondo. Ce n’erano anche di più «conservativi», ma questo consigliato da Elaine no, questo puntava tutto sulle biotecnologie e Internet, le nuove miniere del Klondike virtuale. «E se fosse una bolla, come dicono alcuni?». Scosse le spalle: «Cassandre!». Ecco, anticipo alcune conclusioni a cui sono arrivato. Una: le Cassandre, finanziariamente parlando, hanno sempre ragione. Se qualcuno liquida chi vede il bicchiere mezzo vuoto dandogli della Cassandra, non credetegli: è il diavolo. Due: se vi dicono la frase «Non vorrà tener fermi i suoi soldi? Li faccia lavorare per lei», scappate. I vostri soldi dovete legarli, ammanettarli, quelli non lavoreranno mai per voi, scapperanno, si faranno rapire e vi manderanno la richiesta di riscatto, costringendovi a lavorare per pagarlo e riaverli, almeno in parte. Terzo: se vi dicono «Almeno una parte, almeno il dieci per cento, deve necessariamente metterla in titoli con qualche rischio, è fisiologico», chiedete «Dove sta scritto? Se lei avesse dieci figli, troverebbe fisiologico far fare necessariamente a uno di loro l’acrobata senza rete sul filo teso tra due grattacieli?». Non dissi a Elaine niente di tutto questo, seguii le sue indicazioni e salii in cima, appoggiando il primo piede sulla linea sopra il vuoto. «Fin qui tutto bene», pensai. Come l’uomo che precipita, l’avrei pensato anche a -30%. La quarta frase che ti dicono sempre è: «Finché non vendi in perdita, non hai perduto». Balle. Quando la discesa comincia, non c’è modo di risalire». «La Borsa ha cicli di sei anni, poi torna sempre al punto di partenza». Balle. Ho venduto quel fondo nel 2007, otto anni dopo. Quanto valeva? Meno 57%. Putnam! Il vizio Ma nel frattempo, mentre l’investimento americano era avviato, ero tornato in Italia. E, con qualche ritardo, anche qui era partita l’ondata bio-web-hi-tech. Vuoi non cavalcarla? Era una bellezza. Chiunque sarebbe stato capace. Sceglievi una qualsiasi società che stava per lanciare una iniziativa su Internet (L’Espresso, Rcs, Seat), acquistavi nell’imminenza e vendevi all’annuncio. Più 10, 20, anche 30%. In tre giorni, massimo 5. Cominciava a circolare l’ipotesi: «E se questo diventasse il mio lavoro principale?». Perché no? Lo pensavo io, che faccio un lavoro inessenziale, ma anche medici e avvocati che conosco. In un mese del ”99 i nostri guadagni in Borsa doppiarono quelli della professione. E lì scattò l’ingordigia, la voglia del colpo grosso. Come rapinatori inebriati, non ci bastavano più le filiali di provincia: meditavamo l’assalto alla Zecca. Ecco un’altra cosa che ho imparato: il tempo è tutto. Devi sapere quando entrare e, soprattutto, quando uscire. Quando entrare non so dirvelo per certo, quando uscire sì: appena siete in attivo. Più due o più venti, non importa. Attivo? Vendere. Perfino le Trevi, mentre io mi godevo Lipsi, hanno fatto il loro bravo +5%. Prima di inabissarsi. Le avessi vendute allora, anziché continuare a nuotare. Ma è niente in confronto alla memorabile vicenda e.Biscom. Qualcuno la ricorderà: la più attesa start up della nuova economia all’italiana. Una corsa per avere le prime emissioni, sorteggiate. La certezza di quadruplicare l’investimento in poco tempo. Mal che andasse. Bene: dovevo comprare un’auto usata, costo 12 milioni. Sul conto ne avevo 10. E non potevo mica vendere le mie Olidata che stavano a +80%, aspettavo il raddoppio (mai arrivato) per farlo. Come trovare i 2 milioni mancanti? Semplice: investendo in Aem, la controllante di e.Biscom. Alla vigilia del lancio della controllata, non poteva che decollare. Fatto. Parto per Pantelleria. Il giorno seguente, nell’Internet café ricavato in un dammuso, controllo: +19%. Che cosa avrebbe fatto uno sano di mente? Vendi, e le centomila mancanti le togli dal portafoglio. No, invece. Aspettiamo il nuovo balzo dell’indomani: -8%. Io sto ancora a +11%. Ora attendo il rimbalzo. Come no: -12%. Vendo in rosso, non acquisto l’auto usata. Meglio così, mi dirò poi attraversando Roma su uno scooter color salmone da cinquecentomila lire. Almeno ho cenduto prima del tracollo Aem. E non sono riuscito a ottenere le preziose, fasulle e.Biscom. Per il resto, non mi sono negato nulla. Una mattina, praticamente sonnambulo, ho persino ordinato le CDB Web Tech, che se una volta incrocio l’ingegner CDB me la faccio spiegare. Un prodigio: da 100 a 0,3 in due settimane. E il colpo grosso? Mai riuscito. Quando è andata bene, ho venduto con margini minimi. E ho visto di peggio. Conosciuto miliardari per una notte, amici precari che avevano investito in Tiscali e cavalcato un +700% senza riuscire a vendere, aspettando un +1000 e non più mille. Virtualmente rovinati. Traumatizzati. Avevano tanto, avevano niente. Poi hanno avuto niente per davvero. arrivato il 14 febbraio 2000, la malattia incurabile del Nasdaq. arrivato l’11 settembre 2001. finita. Pensate che abbia lasciato qualcosa d’intentato? Se seguite questo giornale, avrete visto da dove ho scritto. E ogni luogo conserva una lapide al mio portafoglio. Reduce da Shangai, ho puntato sul fondo Obiettivo Cina. Da Riga ho scommesso su Lukoil e Gazprom. Sono scoppiate le bolle asiatiche, i disordini in Georgia. Ogni fondo è andato a fondo. arrivato il crac. Non era mai andato via. Dal giorno in cui ho conosciuto Elaine. Putnam! Il saldo finale Qua sono e qua siamo. In una perfetta metafora dell’esistenza, siamo sospesi tra un brutto inizio e una pessima fine. Nessuno ci può aiutare. Leggete i giornali, ma non buttateli. Ritagliatevi gli articoli con le previsioni dei guru e aspettate una settimana: ne faranno una opposta. Perfino le Cassandre hanno avuto il loro momento di sventato ottimismo. Chiedete conto a tutti quelli che hanno pronosticato il petrolio a 200 dollari entro fine anno un mese fa e ora dicono «50 è una soglia fisiologica». Chiedete che si dimettano o siano licenziati. Perché viviamo in un mondo dove gli unici a pagare per i propri errori sono gli allenatori di calcio? Esigete che la smettano di fare paragoni con il ”29: « come allora», « peggio», «Non è altrettanto». Che cosa importa? Vogliamo sapere come sarà il 2009, senza confronti. Scende l’auro, scende il mercato immobiliare, scende il petrolio. Fateci capire: dove è andata a finire la ricchezza di ieri, era tutta immaginaria? Una bolla, dicono. Ma quelli che campavano d’aria, oggi di che cosa campano? Perché, se esplode la bolla, sotto le macerie finiamo noi che campavamo lavorando? Fin qui le domande. Poi c’è una risposta, l’unica. Prima di darla debbo raccontare di Warren Buffett. La persona che mi vide nuotare con un braccio solo per poter ordinare le Trevi, al ritorno, mossa da compassione o istinto di sopravvivenza, mi regalò un libro, un manuale scritto da Warren Buffett, il nonno più ricco e oculato d’America, che spiegava come investire i proprio risparmi al meglio. L’ho letto? No, ma mi sono ripromesso di farlo. Poi ho traslocato. A ogni trasloco riduco la mia libreria. Tengo 50 volumi e mi disfo degli altri. Questa volta li ho regalati alla biblioteca del carcere di Rebibbia. Per errore c’è finito anche il saggio di Warren Buffett. E così mi piace immaginare che un detenuto si stia arricchendo con il trading on line. Quanto a me, ho venduto tutto: Lukoil e Gazprom, Obiettivo Cina e Putnam. Putnam! Ho tenuto solo le Trevi, a memento. Di che cosa? Dell’unica risposta che ho scovato. Che tutto questo non accadeva per caso. Che Olidata, Aem, CDB Web Tech erano la mia via d’uscita. Se vincere significa accettare, se aver successo vuol dire ottenere il riconoscimento di una società che non si stima, arricchirsi è la colpa più grave. Non ho mai compreso la parabola dei talenti. Il servo doveva regalarlo e tornare dal padrone dicendo: ho fatto la cosa giusta. Oppure perderlo in Borsa, se filantropo non era e cercava un alibi per restare puro. La mia infanzia è stata costellata dal mantra di mio padre: «Ci vorrebbe della miseria». Ricordo ancora Benigni all’Oscar mentre ringraziava i genitori per «il dono della miseria». Non saprei, dal mio punto di vista la miseria rende miserabili, ma la ricchezza di più. La vita, più di chiunque, va sposata e onorata «in ricchezza e in povertà». Non ha senso accumulare se non puoi perdere, se non vuoi farlo. per questo che esistono i casinò, i tavoli da poker e la Borsa. Chiunque vi abbia giocato lo sa: si finge di farlo per conquistare il bottino, ma l’ebbrezza che si va cercando è quella della rovina. In questo perfino io, perfino i cosiddetti speculatori, esprimiamo un’esigenza di tipo religioso. Cerchiamo la punizione delle nostre colpe. Quando penso ai soldi che ho perduto in Borsa faccio la somma e poi, sull’altra colonna, li attribuisco a tutti i guadagni che giudico indegni. E così, la mia spiegazione del crac globale e totale, del fatto che scendono tutti i valori, mobiliari e immobiliari, solidi e liquidi, che la ricchezza del mondo sta letteralmente evaporando, è che la somma di tutti noi, l’umanità intera, sta cercando la sua punizione per tutte le indegnità commesse, autocomminandosi una pena pecuniaria, prima di passare a sanzioni più dure, perfino capitali. L’ho spiegata al mio nuovo bancario di fiducia, un distinto signore con gli occhiali dalla montatura rossa. Ha sorriso con qualche benevolenza. Detto: «Dotto’, per ora restiamo alla finestra, eh?». Sicuro. Fin qui, tutto bene. Gabriele Romagnoli