Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 17/10/2008, 17 ottobre 2008
Ogni volta che la Pixar mette mano a un nuovo lungometraggio d’animazione è come se alzasse sempre di più l’asticella delle difficoltà
Ogni volta che la Pixar mette mano a un nuovo lungometraggio d’animazione è come se alzasse sempre di più l’asticella delle difficoltà. Non solo tecniche (qui per esempio il ruolo centrale dei fondali) ma anche contenutistiche. Così, dopo l’elogio dell’ecologia fatto grazie alle automobili ( Cars), adesso ecco la più romantica delle storie d’amore interpretata da due «esseri » senza cuore. Due robot. Wall·E, acronimo che sta per Waste Allocation Load Lifter·Earth-class, è uno scalcinato robot azionato da batterie solari che più o meno da 700 anni sta impacchettando e impilando i rifiuti che l’umanità ha abbandonato sulla Terra prima di fuggire per cercare nello spazio luoghi meno inquinati. l’ultimo rimasto in funzione, instancabile e inarrestabile, e in tutti quegli anni ha sviluppato anche una specie di personalità, fatta di fascinazione e curiosità per alcuni oggetti desueti (desueti nel 2800 s’intende: un cubo di Rubik, un lettore di cassette dove può vedere un brano del musical Hello, Dolly!, lampadine più o meno colorate, un videogioco, ecc. ecc.) e di amicizia per uno scarafaggio con cui condivide il rifugio dalle ricorrenti tempeste di polvere: il rimorchio di un camion per l’immondizia. La monotonia e la solitudine della sua vita cambiano all’improvviso quando dal cielo piove un’astronave che libera un piccolo sofisticatissimo robot di ultima generazione, Eve (anche qui un acronimo, Extraterrestrial Vegetation Evaluator), incaricato di verificare se sulla Terra ci siano segnali di una qualche rinata forma di vita. Come quella piccolissima pianticella verde che Wall·E ha raccolto e conservato in una vecchia scarpa. Ma se all’inizio a Eve sembra interessare solo l’obiettivo della sua missione, per Wall·E l’incontro ha la forza di un colpo di fulmine – come ha imparato vedendo e rivedendo l’incontro tra i timidi attori di Hello, Dolly! – e così decide di seguire Eve nel suo ritorno verso la stazione orbitante (per la verità più simile a una nave da crociera che a una tradizionale stazione spaziale) che l’aveva lanciato. A questo punto siamo pronti per il melodramma. I due protagonisti non potrebbero essere più diversi: arrugginito e sferragliante l’uno, che richiama nel sua struttura di metallo le forme goffe e accattivanti di E.T.; tecnologica e levigatissima l’altra, che invece ripropone lo sguardo impenetrabile degli extraterrestri di Incontri ravvicinati. Uno conscio dei «sentimenti» che prova, l’altra apparentemente insensibile alle attenzioni di cui è oggetto. E c’è anche l’«insormontabile» ostacolo sociale che di solito si frappone tra i due amanti: nei romanzi dell’Ottocento era la differenza di classe e di censo, qui è naturalmente la differenza di tecnologia e di efficienza. Ma come nelle favole più belle, la forza del cuore finisce per vincere la freddezza della tecnologia e un primo, casuale contatto fisico innesca una «scossa» che annulla le distanze. A questo punto, però, il film cambia marcia, svelando allo spettatore chi aveva organizzato il viaggio di Eve sulla Terra e mostrando come si ridurrà l’umanità in un futuro dove tutto sarà affidato alle macchine mentre l’ex homo erectus assomiglierà sempre di più a una «larva» incapace anche di stare in piedi. La storia d’amore lascia il campo alla lezione ecologica e il film perde in tenerezza e fantasia, ma soprattutto abbandona i toni più infantili (e comprensibili da un pubblico infantile) per rivolgersi a uno spettatore un po’ più avvertito. Le trovate sono ancora tante, compresa una specie di rilettura ad usum delphini della rivolta contro lo strapotere della tecnologia già raccontata in 2001 Odissea nello spazio. Il messaggio ecologico si trasforma in un atto d’accusa contro l’umanità responsabile di aver trasformato la Terra in un’enorme pattumiera e di non voler difendere la Natura, ma la poesia di quell’amore inter-robotico perde un po’ della sua magia iniziale. Resta la straordinaria sapienza produttiva della Pixar e del suo regista e vicepresidente Andrew Stanton (già regista di Alla ricerca di Nemo e produttore di Ratatouille) che con questo film hanno compiuto un ulteriore passo in avanti nell’evoluzione dell’animazione computerizzata. Da notare, questa volta, la straordinaria cura nel restituire una qualità «cinematografica» agli sfondi terrestri, non più definiti e precisi come sono solitamente gli sfondi digitali ma per una volta più «sporchi » e «indistinti», proprio come se fossero ripresi da una normale cinepresa, con tutte le «imperfezioni» del caso. Se pensiamo che Toy Story, il primo film d’animazione interamente digitale, era di solo 13 anni fa, possiamo ben dire che ormai le differenze sono diventate quasi impercettibili e che il cinema è pronto per intraprendere le strade di qualche nuova rivoluzione tecnologica. 2800 Il film è ambientato nel 2800 circa: da oltre 700 anni gli uomini hanno abbandonato la Terra Batterie Wall·E è uno scalcinato robot azionato da batterie solari. A sinistra: due scene con l’ultratecnologica robot Eve GUARDA Le immagini, il trailer e la video-recensione del film su www.corriere.it