Giovanni Pons, la Repubblica 17/10/2008, 17 ottobre 2008
MILANO
Dalla plancia di comando di Piazza Cordusio, dove ha sede l´Unicredit, Alessandro Profumo si è affrettato a dire che l´intervento dei fondi libici nel capitale della banca è stato consensuale. « un´operazione amichevole, un segnale di fiducia nella strategia della banca e nel management che la guida», fanno sapere i bankers della sua squadra. E in effetti, i fondi sovrani che maneggiano i petrodollari del mondo arabo, soprattutto in un momento così delicato, ben si guardano dal farsi dipingere nella veste di avvoltoi. Il pericolo sventolato da Silvio Berlusconi nei giorni scorsi, di possibili Opa ostili nei confronti delle aziende italiane lanciate da fondi sovrani, in questo caso non appare verosimile. L´allarme, semmai, potrebbe essere servito a confondere le acque e a preparare il campo a ciò che è successo ieri sera in Unicredit, un fatto che assomiglia molto alla "sterilizzazione" di Profumo nel sistema di potere italiano. Già, perché risulta difficile non rilevare come questi fondi libici siano gli stessi che entrarono in Banca di Roma nel lontano 1997 invitati dal presidente di allora Cesare Geronzi, oggi alla testa di Mediobanca. Gli stessi che salirono fino al 5% di Capitalia e che poi risultarono diluiti fino allo 0,9% in seguito alla fusione della banca romana con l´Unicredit nell´estate 2007. Ora con il 4,23% diventano il secondo azionista del gruppo di Piazza Cordusio dopo aver garantito una parte dell´aumento di capitale (attraverso il bond) lanciato da Profumo in tutta fretta meno di due settimane fa quando il prezzo del titolo correva pericolosamente verso i 2 euro.
Con questi precedenti come si fa a non pensare che Profumo si stia mettendo in casa l´amico del suo peggior nemico. La morsa che si sta stringendo intorno all´amministratore delegato di Unicredit, infatti, rischia di diventare letale. Basta scorrere i fatti: Berlusconi non più tardi di un mese fa ha firmato un protocollo di amicizia con Muammar Gheddafi in cui il governo italiano ha chiesto scusa per il passato coloniale in quel paese e ha stanziato una serie di compensazioni monetarie tra cui una lunga autostrada costiera. Tutto appare anche più chiaro se si dà uno sguardo al riassetto di potere interno che si sta consumando intorno a Mediobanca, protagonisti il presidente Geronzi e una serie di azionisti molto vicini a Berlusconi, tra cui Salvatore Ligresti, i francesi di Vincent Bollorè, la Mediolanum di Ennio Doris, Tronchetti Provera. Un asse che a Roma ruota intorno alla figura di Gianni Letta, il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio. L´unica voce fuori dal coro, finora, era rappresentata dall´Unicredit di Dieter Rampl e Profumo che anche recentemente aveva costituito un contrappeso importante per l´equilibrio dei poteri in Italia, dalle Generali al Corriere della Sera, fino alla Telecom. Ma con i libici buoni amici di Geronzi e Berlusconi che diventano azionisti di peso in Unicredit c´è da aspettarsi che alla prossima battaglia in Mediobanca le voci fuori dal coro verranno troncate sul nascere. Sicuramente gli emissari di Gheddafi otterranno almeno un posto nel consiglio di amministrazione e faranno sentire la loro voce nei vari comitati strategici della banca. Insomma, se non si tratta di un vero e proprio commissariamento di Profumo poco ci manca. E l´asse Berlusconi-Geronzi-Letta in questa fase risulta vincitore anche rispetto al compagno di viaggio e di schieramento Giulio Tremonti, il ministro dell´Economia che ha minacciato le dimissioni sull´emendamento salva-manager e che nei giorni scorsi, insieme a Emma Marcegaglia, aveva accarezzato la possibilità di collocare Matteo Arpe al vertice di Unicredit qualora lo Stato fosse stato costretto a entrare nel capitale della banca. Un´ipotesi che sarebbe suonata come un´affronto proprio per Geronzi, colui che in Capitalia condusse una durissima battaglia contro il manager che ha portato Capitalia fuori dalle secche, e ora sventata con l´aiuto di Gheddafi.